Koinonia Aprile 2016


STARE ACCANTO A SERGIO

 

Ho vissuto accanto a Sergio Quinzio, e a sua moglie Anna, gli ultimi, preziosi, intensissimi anni della sua vita. E sono state per me inestimabili giornate e momenti di formazione e di crescita. Conservo ricordi tenerissimi di vicinanza, di dialogo, di confidenza. Momenti quotidiani di un sereno ritrovarsi nella fiducia e nella benevolenza di un padre sempre attento e premuroso, che ha avuto da subito il piacere di affidarmi le sue più sofferte emozioni e i suoi più travagliati pensieri. Ricordo i momenti finali della stesura de “La sconfitta di Dio”, le tante presentazioni alle quali ho avuto la possibilità di accompagnarlo. I confronti vivaci e sempre fecondi con i tanti interlocutori che in vario modo dimostravano il loro evangelico “scandalo” dinanzi a quella parola, a quella tragica ipotesi sulla storia della salvezza che Sergio osava lanciare con la parola “sconfitta”. Ricordo poi ancor più da vicino, la costruzione del suo ultimo libro, quelle mirabili encicliche di Pietro II alla cui elaborazione posso timidamente confessare di aver, in qualche modo, contribuito, nelle nostre lunghe e intense chiacchierate romane o perugine. Nei nostri viaggi insieme, nelle tante occasioni, più o meno piacevoli, sempre condivise.

L’emozione del racconto dei suoi più significativi incontri, come quello con il cardinal Martini a Milano; con Gianni Vattimo, che lo ricorderà poi come lo spunto iniziale per il suo “Credere di credere”, arrivato sulla scrivania romana poche settimane prima della morte; con Gustavo Zagrebelsky, a discutere di democrazia e apocalisse. E i tanti amici che sono poi diventati anche miei, come Massimo Cacciari, Sergio Givone, Erri De Luca, Bruno Forte, di cui ancora oggi gelosamente conservo la stima e l’amicizia.

I progetti comuni, quasi tutti purtroppo prematuramente spezzati. I giorni bui dell’ultima agonia, quella che sembrava potesse essere vinta, ma che alla fine rovinosamente lo vinse, ci vinse. L’ultimo viaggio da Perugia a Roma, insieme ad Anna e a Michele… L’ultima speranza di una possibile ripresa, presto infranta.

Avevo scritto un piccolo articolo, mi pare che si trattasse di Augusto Placanica o di Giacomo Marramao, o forse di entrambi. Una cosa da nulla, da pubblicare in una rivista calabrese. Già in terapia intensiva, all’ospedale di Perugia, Sergio ebbe la forza e la premura di leggerlo e di commentarlo con me, di incoraggiarmi, di pensare e di sperare, ancora una volta, insieme.

Ho tentato, in maniera incerta e maldestra, e tra mille difficoltà, in questi anni, soprattutto nei primi 10 anni dalla sua scomparsa, di tenere le fila della sua eredità di fede e di pensiero. 10 anni orsono, la mia monografia a lui dedicata, presentata a Napoli. Il progetto di un Archivio dei suoi scritti, alcuni volumi collettanei in cui si era riusciti a mettere insieme studi e testimonianze ancora oggi credo essenziali per tutti coloro che vogliano avvicinarsi ai suoi libri e alla sua vicenda. Poi, dinanzi alle fatiche e alle incomprensioni, ho dovuto gettare la spugna.

Cosa resta oggi di tutto ciò? Certamente il senso desolante di un vuoto, di una mancanza irrimediabile. Non c’è oggi voce che possa in qualche modo rievocare quella di Sergio Quinzio, nel panorama filosofico, teologico, culturale del nostro paese. Unico era il suo modo di toccare gli argomenti più pungenti dell’attualità, di dialogare con tutti, di rispondere alle incertezze di ognuno, senza mai però proporre le sue. Di ascoltare e interpretare le inquietudini di un tempo “ultimo”, che faticava e fatica ancora a finire.

 

Massimo Iiritano

 

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