Koinonia Aprile 2016
I “VIANDANTI” IN MEMORIA DI ERNESTO BUONAIUTI
Ai Referenti delle riviste aderenti
In occasione della ricorrenza dei 70 anni della morte di Ernesto Buonaiuti (20-4-1946), le riviste aderenti alla Rete dei Viandanti intendono fare memoria della figura dello studioso, protagonista del modernismo italiano.
Il ricordo, secondo le specifiche caratteristiche delle varie testate, è fatto contemporaneamente da: Dialoghi (Lugano/CH), Esodo (Mestre/VE), Il gallo (Genova), Koinonia (Pistoia), l’altrapagina (Città di Castello/PG), Matrimonio (Padova), Notam (Milano), Oreundici (Roma), Tempi di fraternità (Torino).
Anticipiamo il testo di uno degli articoli che il sito di Viandanti (www.viandanti.org) pubblicherà nella vicinanza della ricorrenza della morte (20 aprile) di Buoinaiuti”.
ERNESTO BUONAIUTI (1881-1946)
UN PROTAGONISTA DEL MODERNISMO ITALIANO
Buonaiuti nasce a Roma il 25 giugno 1881, compie gli studi avendo come compagni i futuri storici e archeologi Manaresi, Belvederi e Roncalli (futuro Giovanni XXIII), viene ordinato sacerdote nel 1903, e due anni dopo sostituisce Bonaccorsi nella direzione della neonata “Rivista storico-critica delle scienze teologiche”. Per un certo periodo diventa in seminario titolare dell’insegnamento di storia della Chiesa, sostituendo il suo professore Umberto Benigni, ma poco tempo dopo sarà sospeso da tale insegnamento.
Intensità e fame di conoscere
Divenuto il maggiore protagonista del modernismo italiano nei primi anni del secolo XX, incorrerà nella scomunica dopo la pubblicazione di una risposta all’enciclica Pascendi del 1907, con la quale Pio X condannava il modernismo, una risposta che però sarà pubblicata anonima, e quindi Buonaiuti non si ritiene toccato da quella scomunica. Nel 1906 ebbe modo di incontrare a Parigi il vero protagonista del modernismo, Alfred Loisy, e l’anno dopo in Inghilterra George Tyrrell. Conservò un cattivo ricordo dell’incontro con il primo, mentre per tutta la vita sentì una forte affinità con il secondo, che tra l’altro sarebbe morto nel 1909.
Sono anni in cui Buonaiuti, ma sarà una caratteristica di tutta la sua vita, si dedica allo studio e alla ricerca con un’intensità e una fame di conoscere, da stupire molti amici e collaboratori. Giovanni Papini dirà di lui che era un “lettore infaticabile di libri d’ogni colore e tenore”. Già nel 1904 pubblica un saggio sulla storia dei dogmi, saggio che diventa la premessa di una lunga serie di interventi, note, recensioni che pubblica in diverse riviste: si occupa di correnti filosofiche contemporanee, della crisi della filosofia scolastica e si avvicina alla filosofia dell’immanenza, leggendo le opere di Blondel.
Da Loisy coglie la tensione di Gesù verso il Regno, la sua predicazione messianica, e soprattutto l’annuncio da parte di Gesù del Regno imminente, e tale annuncio escatologico diventerà uno dei temi dominanti di tutte le sue pubblicazioni successive.
Professore di storia del cristianesimo
Si dedica quindi allo studio delle origini cristiane, pubblicando un saggio sullo gnosticismo, mentre inizia a occuparsi anche di millenarismo. I suoi lavori iniziano però a sollevare critiche da parte di molti, fino a quando troverà nel gesuita padre Enrico Rosa, prima scrittore e poi direttore della “Civiltà Cattolica”, il più fiero e pignolo lettore e accusatore. Tra l’altro, a partire dal 1905, la rivista romana dei gesuiti diventerà il luogo privilegiato in cui i vari autori accusati di modernismo saranno attaccati e condannati; molti di questi incorreranno nei rigori di qualche Congregazione romana, cosa che a Buonaiuti succederà dopo diversi anni, probabilmente perché lo stesso Buonaiuti può godere di qualche silenziosa protezione di amici che si trovano a operare nelle diverse Congregazioni.
Divenuto nel 1915, dopo la vittoria al concorso, professore di Storia del cristianesimo nell’università di Roma, fu a più riprese richiamato o anche sospeso a divinis, anche se sempre ottenne la revoca delle condanne grazie alle sue frequenti sottomissioni non sempre approvate neppure dagli amici. Ma egli stesso avrebbe spiegato questo suo atteggiamento, scrivendo che “è necessario, in vista di più alti interessi religiosi, piegare il capo alla autorità che condanna per non rompere un’unità religiosa che nel sacrificio vivifica”.
Scomunica e perdita della cattedra
Fu comunque scomunicato negli anni Venti e quindi fu a rischio di perdere la cattedra nel 1929, in seguito agli accordi lateranensi firmati dal Vaticano con il fascismo. Non perse la cattedra, ma fu distaccato dal Ministero per occuparsi della pubblicazione delle opere di Gioacchino da Fiore. Il suo amore e la sua appartenenza alla Chiesa si manifesta anche nella sua ostinazione a non volere abbandonare il segno esterno di tale appartenenza, l’abito talare. Lo lascia solo quando vi è costretto dalla legge.
Quella cattedra che non aveva perso nel 1929, la perse poi nel 1931, quando fu uno dei pochi professori universitari a rifiutarsi di giurare fedeltà al regime fascista. Le ragioni del suo rifiuto furono solo in parte di carattere politico: la vera ragione era di carattere religioso. Fedele alla dottrina evangelica, Buonaiuti non accettava di fare un gesto condannato dal Vangelo. Lo scrisse egli stesso in una lettera inviata al rettore dell’Università romana: “A norma di precise prescrizioni evangeliche… reputo mi sia vietata qualsiasi forma di giuramento (F. Parente, Ernesto Buonaiuti, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 1971, p. 80).
Sempre fedele, senza ritrattazione
Così, dopo il 1931, visse un lungo periodo di grande impegno scientifico ma anche di ristrettezze economiche, alle quali spesso ovviò grazie all’aiuto di alcuni suoi fedelissimi alunni e anche dalla possibilità di rispondere positivamente a tanti inviti per conferenze. Avrebbe forse potuto diventare professore ordinario in Svizzera, a patto di aderire alla Chiesa riformata: cosa che non volle fare, poiché per tutta la vita rimase in coscienza fedele alla Chiesa di Roma, come apparve chiaro anche quando pubblicò, nell’ottobre 1945, la sua autobiografia, che aveva come titolo una vera e propria dichiarazione di amore per quella Chiesa che lo aveva condannato: Pellegrino di Roma. La generazione dell’esodo.
Al momento della pubblicazione dell’autobiografia, stava pensando di occuparsi in modo diretto di politica, forse anche presentandosi candidato alle elezioni. Poco dopo però cadde gravemente ammalato e dal Vaticano inviarono alcuni, in particolare il cardinale Marmaggi, per una possibile riconciliazione con la Chiesa cattolica, a condizione che Buonaiuti firmasse un documento in cui si precisava che accettava tutte le posizioni della Chiesa e riprovava tutto quanto la stessa Chiesa riprova. Buonaiuti non accettò di firmare, e pochi giorni dopo morì. Era il 20 aprile 1946, la vigilia di Pasqua.
Maurilio Guasco
Professore Emerito di Storia del Pensiero Politico Contemporaneo