Koinonia Aprile 2016
PRIMA DEL BUIO O PRIMA DELLA LUCE?
Testimonianze dinanzi al termine dell’esistenza
Qualche settimana fa nella Chiesa di S. Antonio in Corigliano Calabro (CS) si è svolto un incontro di riflessione sul termine dell’esistenza, con letture di brani di celebri letterati, credenti e non che nei loro scritti si sono misurati sul tema del “cosa c’è dopo la morte”. In questo spazio, vorrei soffermarmi attraverso scritti e riflessioni di uomini e donne di fede sul passaggio più importante che l’uomo compie con la morte: dalla vita alla Vita.
Comincio con il padre del monachesimo antico: Antonio abate, il quale, avvicinandosi la “fine” ebbe a dire a coloro che divennero suoi seguaci: “io, come sta scritto, me ne vado per la via dei Padri. Vedo che il Signore mi chiama. Voi siate vigilanti, non lasciate che la vostra lunga ascesi si perda, ma preoccupatevi di tener viva la vostra sollecitudine come se cominciaste solo adesso (…) E ora, figlioli addio! Antonio se ne va e non è più con voi”.
Facciamo un lungo salto nella storia, dal 356 d. C. anno della morte di Antonio al 1993 e all’ultimo messaggio consegnato da don Tonino Bello, vescovo di Molfetta indirizzato ai giovani, quando era già stremato dalla malattia: “ragazzi… vorrei dirvi tante cose, soprattutto vorrei augurarvi la pace della sera. Coraggio! Vogliate bene a Gesù Cristo, cercate di tradurre in pratica quello che Gesù vi dice con semplicità di spirito. Poi amate i poveri perché è da loro che viene la salvezza. Vi abbraccio, tutti, uno ad uno e, vi vorrei dire, guardandovi negli occhi: ti voglio bene”.
Il fondatore della Congregazione salesiana Giovanni Bosco si congedò dalla sua grande famiglia religiosa con queste parole: “io vi lascio qui in terra, ma solo per un po’ di tempo. Spero che la infinita misericordia di Dio farà che ci possiamo tutti trovare un dì nella beata eternità”. E che dire del meraviglioso testamento spirituale redatto da Angelo Roncalli, poi papa Giovanni XXIII: “nato povero, ma da onorata e umile gente, sono particolarmente lieto di morire povero, avendo distribuito quanto mi venne fra mano, durante gli anni del mio sacerdozio e del mio episcopato (…) nell’ora dell’addio, o meglio dell’arrivederci, ancora richiamo a tutti ciò che più vale nella vita: Gesù Cristo benedetto, la sua santa Chiesa, il suo Vangelo”.
Un altro grande testimone è don Primo Mazzolari, definito dal papa buono “la tromba dello Spirito Santo”. Così ebbe a scrivere nel suo testamento spirituale: “Non possiedo niente. La roba non mi ha fatto gola e tanto meno preoccupato. Verso questa grande casa dell’”Eterno, che non conosce assenti, m’avvio confortato dal perdono di tutti, che torno a invocare ai piedi di quell’altare che ho salito tante e tante volte con povertà sconfinata, sperando che nell’ultima messa il Sacerdote eterno mi serri fra le sue braccia dicendo a me: entra anche tu nella pace del tuo Signore”.
Il continuatore del Concilio Vaticano II, definito anche papa amletico, Giovanni Battista Montini, Paolo VI col suo testamento saluta la sua giornata terrena che tramonta: “ora che la giornata tramonta, e tutto finisce e si scioglie di questa stupenda e drammatica scena temporale e terrena, come ancora ringraziare te, o Signore? (…) circa i funerali: siano pii e semplici. La tomba amerei che fosse nella vera terra con umile segno”.
Una santa del nostro tempo, per dedizione totale di sé ai poveri: Madre Teresa di Calcutta ebbe a dire: “ogni religione parla di un’eternità, di un’altra vita. Ha paura della morte chi crede che si tratti della fine. Ieri è passato e domani non è ancora venuto, perciò dobbiamo vivere ogni giorno come se fosse l’ultimo. Il Paradiso è la nostra casa. La gente mi domanda della morte, vuol sapere se io ci penso, e io rispondo: “sì, certo”, perché per me morire significa andare a casa”.
Pensare alla morte non deve mettere tristezza. Esso è un passaggio, dalla vita alla Vita, è un andare a casa, alla vera casa che è Dio dal quale siamo venuti, poiché siamo nel pensiero di Dio sin dall’eternità. Valgono le parole di Paolo, l’apostolo dei gentili: “mihi vivere Christus est”, “per me vivere è Cristo” (Fil. 1,21) e anche quelle di Papa Giovanni: “La vita è pellegrinaggio. Del cielo siamo fatti. Stiamo un poco qui e poi riprendiamo il nostro cammino”. Quindi possiamo dire: non prima del buio, ma prima della luce.
Gaetano Federico