PENSIERI PREOCCUPATI DI FINE

 

1) REAZIONI PASSIONALI ALLA PRESENZA DEGLI IMMIGRATI EXTRACOMUNITARI

 

            L’Italia sta diventando un paese multirazziale, come tutti gli altri stati della Comunità Europea. Il fenomeno riguarda il Mezzogiorno ed il Settentrione, e se è più vistoso nelle città si estende pure alle campagne. E’ uscito recentemente presso le edizioni Mondadori un libro interessante di Fiamma Nirenstein, dal titolo eloquente che può apparire provocatorio, ma non lo è: "Il razzista democratico". Si sostiene la tesi che è razzista anche tanta gente di idee  ineccepibilmente democratiche e di posizioni socialmente consolidate, che ha paura del "diverso", perchè questo pratica talora la piccola criminalità ed è "nel giro della droga", senza badare che tali devianze riguardano soltanto una piccola parte degli immigrati.

Ma questi hanno pure dei nemici nella gente povera, che li vede come potenziali concorrenti nella lotta per l’occupazione o per l’assegnazione di un alloggio: di qui i penosi conflitti tra i due tipi di emarginati. E’ ora dunque che si dissocino i due concetti di totalitarismo e di razzismo, perchè il razzista non è necessariamente un "fascista", come ha sempre dato ad intendere il cieco e demagogico discorso di una certa sinistra, che non ha certo aiutato a prendere coscienza del fenomeno.

A Dreux, grossa città "plebeo-immigrata"della regione parigina, iniziò verso la metà degli anni 80 la folgorante ascesa del Fronte Nazionale di Le Pen, che impropriamente è stato definito un "fascismo alla francese", dal momento che ha altri tratti che più lo avvicinano alle nostre Leghe: il numero del settembre 1990 di "Esprit" mette in evidenza forse il suo tratto più caratterizzante, quello del "partito-famiglia", ove tutti si conoscono, ove si cercano sicurezze, ove c’è un capo che è uno di noi e nello stesso tempo al di sopra di noi.

Se si può fare un rimprovero alla legge Martelli è di essere venuta troppo tardi, a causa del nostro eccesso di garantismo. Per il resto io penso che sia giusta ed equilibrata: lo so che i comunisti l’avversano, ma essi, ancorati all’ideologia, sono sempre gli ultimi a capire la storia; e lo so che sono contrari molti cattolici, in cui l’antisocialismo contingente si aggiunge al moralismo permanente: come se la politica fosse fatta di principi e ricercasse un "optimum" utopico, senza troppo preoccuparsi della scelta dei mezzi, come invece pensava Machiavelli.

E’ vero che purtroppo la legge è disattesa,  sia per le difficoltà obiettive che comporta la regolamentazione, sia per la carenza di strumenti di controllo tipica del nostro Paese. E poiché aumenteranno gli arrivi di extracomunitari aumenteranno anche i consensi alle Leghe. Per questo dovremmo attenderci nei prossimi anni un periodo di instabilità, non tanto del governo centrale quanto nei grandi centri e nelle amministrazioni regionali e provinciali del Nord-Italia.

 

 

2) IL DIBATTITO SU "GLADIO" IN FUNZIONE DEI GIOCHI INTERNI AL POTERE

 

            La divisione del mondo in "blocchi di influenza" rimonta agli accordi di Yalta, prima ancora dell’inizio della "guerra fredda": e anche nei periodi di maggior tensione tra USA e URSS il principio non è stato mai messo in discussione: i russi hanno permesso che gli americani stroncassero il tentativo di rivoluzione comunista in Grecia, e gli americani ricambiarono la cortesia non intervenendo nel 1948 in Cecoslovacchia, quando si consumò il colpo di Stato.

Anche se nel 1948 in Italia avesse vinto il Fronte Popolare e non la Democrazia Cristiana (o, meglio, i Comitati Civici di Pio XII e di Gedda), gli Stati Uniti sarebbero stati "costretti", vista la situazione strategica del nostro Paese, ad intervenire, e L’Unione Sovietica si sarebbe limitata a protestare. Se in Italia avessimo un maggior senso di politica estera, vedremmo che questo è il quadro in cui va situata quella interna, e che i nostri margini di manovra, benché reali, sono limitati. Per questo De Gaulle teneva tanto alla "force de frappe", simbolo di indipendenza nazionale.

La NATO non poteva non preoccuparsi delle nostre forze di sinistra; poi, quando a metà degli anni 50 i socialisti presero le distanze dall’URSS, rimasero pericolosi solo i comunisti, ritenuti nemici perché "amici del nemico". Mi pare che non vi sia nulla di strano in ciò, e nemmeno che fossero in pochi a sapere di "Gladio", poiché i servizi segreti somigliano allo spionaggio, e per essere efficienti pochi devono essere gli iniziati. E’ grave invece che ne fossero tenuti all’oscuro certi politici direttamente interessati all’affare: forse perché non ci si fidava troppo di loro?

Non si devono in ogni caso giudicare fatti del passato con gli occhi del presente, quando l’URSS e il PCI non costituiscono più un pericolo, allo stesso modo degli Stati Uniti, per i quali i comunisti nostrani e stranieri non manifestano  più sentimenti di ostilità.

Occorre però chiedersi se il dibattito sull’ "operazione Gladio" non serva a deviare gli interessi dell’opinione pubblica da certe gravi situazioni di politica interna (che hanno, naturalmente, grossi risvolti sulla scena internazionale): si tenta di privatizzare l’idustria petrolchimica, i trasporti sono in uno stato penoso, l’appuntamento con l’Europa comporta il rischio di dolorose sorprese, le misure contro la criminalità nel Mezzogiorno devono essere assolutamente prioritarie, ecc.

E allora non si può non chiedersi quale sia il fine di questa "scoperta" (e di quella del "dossier Moro"): è proprio un caso fortuito che l’ha portata alla ribalta in un periodo particolarmente delicato della nostra vita politica e delle stesse istituzioni democratiche? e chi è il burattinaio che manovra i fili delle marionette? e quale scopo si persegue, e a beneficio di chi? Domande inquietanti, almeno finché non avranno risposta...

 

 

3)  NELLA GERMANIA ORIENTALE  DOPO L’ENTUSIASMO SUBENTRA LA DELUSIONE

 

            L’anno scorso a quest’epoca in Germania vi era grande entusiasmo, era quasi interdetto pensare ad altro che non fosse il muro di Berlino. La sua caduta ebbe infatti un eccezionale valore simbolico, dal momento che esso era il segno più evidente della divisione dell’Europa (e del mondo) in due blocchi contrapposti: passando nel cuore di Berlino, a sua volta cuore della Germania, che si trova ad essere - non solo geograficamente - il centro dell’Europa, il muro stabiliva la divisione della Germania e dell’Europa. E, ci si era chiesto tante volte, fino a quando?

Non fu quindi troppa la gioia del 9 novembre 1989, data in cui si ritrovano le due Berlino, le due Germanie, le due Europe.  E questo all’interno dell’accelerato processo di decomunistizzazione dell’Est. Ma ogni matrimonio, si sa, dopo la luna di miele conosce periodi di difficoltà, e sono proprio questi che lo  mettono alla prova, che ne verificano la solidità.

Noi tutti sapevamo che il cancelliere Kohl era un "routier de la politique" (un volpone della politica), e come tale non esente da demagogia: non sono certo in dubbio le sue convinzioni pangermaniche, ma egli ha saputo sfruttare la situazione a beneficio del suo partito, rafforzando la sua posizione nella Germania Occidentale e in quella che sarebbe poi stata l’unica Germania. Una visita che feci la scorsa estate nella Germania Orientale mi confermò nella convinzione che una riunificazione lenta sarebbe stata meno traumatica: ma i politici tedeschi e il popolo della DDR decisero diversamente.

Ed ora vengono alla luce, brutalmente, le difficoltà post-unitarie, che l’entusiasmo aveva preferito non prendere in considerazione: è vero che c’è l’unità monetaria, ma ad Est si guadagna molto meno che ad Ovest e il costo della vita non è molto discosto nelle due parti; molte fabbriche hanno chiuso e chiuderanno, per cui la disoccupazione sta assumendo proporzioni preoccupanti. C’è il pericolo di una colonizzazione da parte della Germania Occidentale, per cui quella Orientale rischia di diventare un’area sottosviluppata alla maniera del nostro Mezzoggiorno; ecc.

Ed è così che in un clima depresso - molto diverso, ahimé, da quello dello scorso anno - si è celebrata quest’anno, in concomitanza con la "festa del muro", la ricorrenza della "Notte dei cristalli". Già, perché il 9 novembre ricorre un altro anniversario, e questo non certo festoso: nel 1937, infatti, iniziò in modo plateale la "caccia all’ebreo". Ed è giusto che si ricordi tale misfatto nazista, soprattutto perché molti tendono a dimenticare.

Guai però a stabilire un paragone tra il nazismo e il capitalismo odierno, che ha nella Germania un suo punto strategico. Dico questo perché nella Germania Occidentale, e altrove, non solo gli estremisti di sinistra, ma anche numerosi intellettuali di sicura fede democristiana furono tentati nei decenni passati di stabilire un simile raffronto. La Germania di Bonn è invece sicuramente democratica, e la discriminazione odierna verso le classi più deboli non ha nulla a che vedere con quella stabilita dai nazisti e fondata sulla terra e sul sangue. E sarebbe aberrante se dovesse emergere una specie di "Fuhrer di sinistra" (o "Fuhrer delle Leghe"), che cacciasse gli stranieri (in questo caso i turchi) dal "sacro suolo della patria" per far posto ai fratelli ritrovati. Eppure, quanti sono coloro che si augurano che al potere pervenga un "uomo forte"?

 

Ettore De Giorgis




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