IMPRESSIONI DI VIAGGIO
Cari amici,
vi
scrivo stanco nel corpo ed anche un po' estenuato nello spirito. A conclusione
di un viaggio in Palestina ci siamo infatti recati al Sinai e questa notte
abbiamo scalato il monte che la tradizione dice essere stato quello di Mosè,
del roveto ardente, dei dieci comandamenti (o delle due tavole) della prima
Alleanza. E poi siamo stati - molto, troppo rapidamente, in verità - al celebre
monastero di Santa Caterina, uno degli “hauts lieux” della spiritualità
dell'Oriente cristiano.
Stasera, stanchi e
disfatti per la lunga traversata in pullman del deserto (ove le temperature in
questa stagione sono sempre al di sopra dei 40 gradi, talora dei 45), siamo
ritornati a Gerusalemme, donde partiremo definitivamente domani.
E quando si sale a
Gerusalemme, soprattutto la sera, allorché la città di Dio è sommersa in una
vasta luminaria, si sente sempre uno struggimento di cuore. Appunto perché la
città di Dio è Gerusalemme, non Roma né Costantinopoli.
Qui occorre ritornare
per bere alle sorgenti genuine della fede. Ma come farlo se i cristiani sono in
questo luogo più divisi che altrove? E pare non provino vergogna per questo
scandalo, che ogni volta che ritorno qui trovo più intollerabile. Le varie
confessioni presenti in Palestina pare vogliano ritagliarsi brandelli della
tunica di Gesù: ma come possono allora pretendere di annunziare Gesù nella sua
pienezza? "Siate uni, perché il mondo creda": che abbiamo fatto noi
di tale comandamento del Signore?
E poi c'è un altro problema che
mi angustia, più politico che religioso, anche se la distinzione tra i due
aspetti, in Oriente, è molto aleatoria. Che si è fatto del problema
palestinese? Lo si è solo sfruttato per motivi di propaganda? Oppure lo si è
lasciato cadere perché il terrorismo è divenuto sinonimo di un popolo e di una
causa? Certo, finché il problema di dare una patria a dei nomadi moderni non
sarà risolto, vi sarà terrorismo: i figli e i nipoti dei rifugiati di Gerico
non possono dimenticare che le loro casupole furono rese inabitabili con il
napalm; e fra questi ve n'è un certo numero che vuol farsi vendetta da sé. Non
è bello, ma è umano. Chi non ha vissuto la disperazione, come può giudicare gli
atti disperati?
Ettore De Giorgis
Gerusalemme, 21/8/86