RIFLESSIONI SUI SALMI (III)
LA LODE AL DIO DEI VIVENTI
Da tutti i poemi del
salterio si sprigiona un gran desiderio di vivere, che si esprime in una solida
fiducia in Dio, in una speranza che non v iene mai meno, anche se è flessibile
ed attraversa il dubbio: l'uomo biblico infatti sa di essere fragile e
vulnerabile, e la sua precarietà gli strappa grida di dolore e di sgomento,
poiché all'Antico Testamento è estranea l'attitudine rassegnata ed indifferente
dello stoicismo: "Tu fai ritornare l'uomo in polvere / e dici: 'Ritornate,
figli dell'uomo... sono come l'erba che germoglia al mattino: al mattino
fiorisce, germoglia, / alla sera è falciata e dissecca... Gli anni della nostra
vita sono settanta, / ottanta per i più robusti, / ma quasi tutti sono fatica,
dolore; / passano presto e noi ci dileguiamo" (Salmo 89). Ma è proprio la
coscienza della propria debolezza che induce il salmista a sperare non in se
stesso, ma in Dio. La modernità, troppo sicura di se stessa, ha rinnegato o
dimenticato la speranza, come ave va ben evidenziato Péguy: e quando vengono
meno le sicurezze umane si apre il baratro della disperazione. E' questa la
grande tragedia del nostro tempo: non si scorge più un orizzonte di speranza al
di là della contingenza umana.
Normalmente i salmi si
sviluppano lungo i tre momenti.della domanda, della risposta e del
ringraziamento, ma lo schema non è uniforme: lode e supplica si accompagnano in
genere all'interno di ogni salmo, in una sorta di attrazione reciproca; molti
inni, poi, sono attestazioni di una risposta di Dio, per cui ci invitano a
situarci.in una storia che è come una catena in cui si susseguono innumerevoli
atti di salvezza; ma spesso l'azione di grazie precede la supplica. Il salmo è
nello stesso tempo una preghiera di fiducia e di pellegrinaggio, in cui sono
intricati il prima e il dopo, le lacrime e la gioia di cui è impastato il
tessuto della nostra vita.
E' difficile incontrare
in queste preghiere-poesie il “tete-a-tete" di un uomo singolo con Dio,
poiché nella processione del discorso si introduce un terzo attore (un altro
uomo o molti uomini o tutta l'umanità). Occorre distinguere tra azione di
grazie e azione di lode: il ringraziamento è più personale, la lode più
comunitaria. Si ringrazia per quanto si è ricevuto (per la vittoria sulla
morte, sul male) e si invitano gli altri alla lode. Si esce insomma da se
stessi poiché si è convinti che la salvezza è comune, estendendosi a tutto il
popolo di Israele:.e a tutte le nazioni (in numerosi salmi composti dopo
l'esilio babilonese). La Bibbia non conosce la dimensione individualistica, che
è segno di grettezza d'animo, di invidia e di avarizia. L'attitudine degli
autori è sempre personalistica e comunitaria.
Si loda Dio per quanto
si vede e per quanto non si vede, per ciò che altri hanno veduto, per cui la
lode è sempre legata alla testimonianza dei padri, è sempre una lode “storica”,
riguardando un fatto avvenuto in Israele ed annunciato ai discendenti e agli
stranieri. I salmi ci rappresentano Israele che loda e che testimonia. La lode
sottolinea un aspetto centrale ed essenziale dell'amore che il popolo ebraico
ha per Dio, sì da diventare quasi sostitutiva di questo stesso amore: se non si
comprende la pienezza di significato che assume la lode non solo per il
salmista, ma per tutto il popolo, non si può comprendere la spiritualità della
Bibbia, in cui l'amore riveste un aspetto gratuito e disinteressato, che induce
a.dimenticare se stessi e a uscire da se stessi. Perché la lode è comunicativa
come il bene, essa sta all'inizio della preghiera (si supplica infatti il Dio
che già mi ha amato, che ha assunto l'iniziativa dell'amore) ed è insieme la
fine della preghiera (trasformata ed interiorizzata dalla supplica, essa
diventa un “canto nuovo”).
Le lodi che si
susseguono lungo tutti i salmi e lungo tutta la storia d'Israele costituiscono
una specie di "catena della fede" che non è mai ripetizione monotona.
spesso infatti si parla di "canto nuovo" (“Cantate Domino canticum
novum”, è l'inizio del salmo 149), perché ogni solista – ossia ogni autore di
salmi - riprende e rinnova tale canto. Fino a Gesù, che rinnovando il canto
porta a compimento la lode di Israele, comunicando tale novità anche.ai salmi
più antichi, che i cristiani leggono e recitano e cantano, ieri come oggi, alla
luce di tale assoluta novità.
La lode è quello che in
terra più somiglia all'eternità, e per questo essa va oltre noi stessi che la
pronunciamo, è una parola che viene a noi dal Dio eterno. Come può allora farsi
parola dell'uomo che passa così rapidamente in terra, che è come polvere e
erba, che vive al massimo settanta o ottant'anni? Per la "legge
dell'Incarnazione” - l'espressione è di Mounier - essa è una realtà
divina-umana, per cui ha bisogno di situarsi nel "qui-ed-ora” con tutte le
implicazioni che quest'essere-nel-tempo comporta. Quindi non c'è da stupirsi se
la lode si appaia e si accoppia con situazioni che paiono ad essa tanto
eterogenee, quali la prova, il silenzio, la notte. Nessuno come i mistici ha
compreso e vissuto tale condizione paradossale.
I salmi sono una
profezia, ciò che interessa è quanto viene dopo, è la speranza, dal momento che
il prima, nella profezia, è modellato sul dopo. La salvezza non è una
ripetizione, ma una rinascita: Gesù ci ha insegnato che per essere assunti
all'eternità divina si deve passare attraverso quanto le è più dissomigliante,
attraverso l'istante supremo in cui ci è richiesto di perdere noi stessi. “Chi
non prende la sua croce e non viene dietro a me, non è degno di me. Chi
cercherà di conservare la sua vita, la perderà; chi avrà perduto la propria
vita per me, la ritroverà" (Mt 10,38-39). La "notte mistica" è
una spoliazione che crediamo sia richiesta a pochi prediletti di Dio, anche se
questo giudizio mi pare troppo sommario; ma molti hanno in qualche modo
sperimentato periodi di "assenza di Dio”, molti hanno conosciuto il
"désespoir" (che non è la “désespérance”, ma piuttosto la condizione
di una vera speranza in Dio, che esige l'abbandono delle speranze-sicurezze
umane). E' per questo che il discorso del salmista e l'esempio di Gesù sono
delle realtà che ci toccano da vicino: “imitazione di Cristo" non
significa certo fare le cose che ha fatto lui né tanto meno cercare una
perfezione volontaristica che ci faccia sentire meno indegni di lui, ma
piuttosto indica l'accettazione di un'attitudine di obbedienza al volere di Dio
e di fiducia piena nella sua benevolenza.
Se lode e supplica sono
la totalità della preghiera, se la supplica è finalizzata alla lode, da cui è
come avviluppata, resta però un caso in cui questa armonia non si raggiunge. Il
salmo 87 è solo supplica, e supplica angosciata e disperata, in cui non possono
trovare posto la lode e il ringraziamento. Il finale non lascia adito a dubbi.
"Hai allontanato da me amici e conoscenti,/mi sono compagne solo le tenebre”.
Vorrei credere che questo salmo non fosse che la parte di un più ampio
componimento, e che la divisione canonica avesse lasciato il testo incompiuto.
Dal momento però che nessun commento autorevole (né quello della "Bible de
Jérusalem" né quello della “Traduction oecuménique de la Bible")
accennano ad una simile ipotesi, devo accettare tale anomalia che mi lascia
perplesso e sgomento. Anche fra gli autori ispirati, quindi, vi è stato chi ha
conosciuto il dubbio metafisico, chi non è stato illuminato dalla speranza.
Certo, può trattarsi di un episodio nella vita di un poeta sacro, e la speranza
può essere rinata, non però nello stesso salmo, come avviene negli altri casi.
Avviene anche nella nostra vita e nella storia che certe situazioni siano come
conchiuse in negativo: lo sterminio di milioni di.Ebrei nella Seconda Guerra
Mondiale fa parte certo del disegno di salvezza di Dio, ma questo passa
attraverso un cammino tanto paradossale che non si riesce a trovare nessuna
spiegazione umana a tale fatto, anzi, non si riesce neppure ad accettarlo, ed
anche se si levano le mani verso Dio per la preghiera, questa non ha il suono
della lode, ma della domanda angosciata che, non ricevendo risposta,
spasima nell'interrogativo:
"perché, perché?”. Dio ci perdona certo questi momenti di troppo audace
interpellazione, perché sa che il parossismo della sofferenza ci inebria come
il vino forte.
Soltanto Gesù può del resto rendere la vera lode, perché soltanto lui è disceso sino in. fondo alla morte, alla morte sua ed a quella di tutti gli uomini, e così ha dato senso alla nostra morte ed ha salvato per sempre la nostra gioia. L'autore del salmo 87 non poteva sapere che la morte si vince solo con la morte (“thanàto thànaton patìsas”, ossia "con la morte calpestando la morte” si canta nel tropario di Pasqua nella liturgia bizantina). E tante volte anche noi lo dimentichiamo, invece di fare come lui, che pregò il Padre per essere liberato dalla morte; e Dio lo esaudì, dichiarandolo risuscitato: “Durante la sua vita terrena, Gesù si rivolse a Dio elle poteva salvarlo dalla morte, offrendo preghiere e suppliche accompagnate da forti grida e lacrime. E poiché Gesù era sempre stato fedele a lui, Dio lo ascoltò. Benché fosse il Figlio di Dio, tuttavia imparò l'ubbidienza da quel che dovette patire" (Eb 5,1-8).
Ettore De Giorgis
(3. continua)