GIOVANNI XXIII: UN UOMO INVIATO DA DIO


Cent'anni fa nasceva un uomo che nulla pareva predestinare alla grandezza. Forse proprio per questo fu eletto papa, poiché il suo predecessore era stato un "grande", troppo grande per i nostri gusti attuali. Quest'uomo mite e familiare fu però un uomo inviato da Dio, e il suo nome era Giovanni: così lo definì, citando il prologo del IV Vangelo, quell'altro grande illuminato, quel suo fratello nella fede che fu Sua Beatitudine il Patriarca Ecumenico Athenagoras.
Giovanni XXIII aveva ricevuto, come la stragrande maggioranza dei sacerdoti del suo tempo, un'educazione tradizionale. Il suo breve papato (1958-1963) non seguì un programma prefissato: egli non sapeva bene da che parte muoversi, non sapeva soprattutto dove sarebbe arrivato. Ma aveva una grande fiducia nella forza dello Spirito, che turba i nostri poveri piani umani per metterli in sintonia con la volontà di Dio.
In questa breve memoria tratterò soltanto della sua concezione ecumenica. Come gran parte degli "ecumenisti" cattolici del suo tempo, egli vedeva nella Chiesa Ortodossa l'interlocutrice privilegiata del cattolicesimo, poiché le differenze dogmatiche.sono minime, e si riferiscono essenzialmente alla "disputata quaestio" dell'infallibilità pontificia (i dogmi mariani sono un ostacolo relativo, e riguardano semmai l'abilitazione o meno del papa a promulgare tali formulazioni di fede). Chi, come me, ha condiviso a suo tempo tale concezione, non può non essersi riconosciuto in tale ecumenismo giovanneo. Solo più tardi ci si avvide che l'unità dei cristiani avrebbe dovuto traversare un cammino molto più complesso.
La riconciliazione tra i cristiani doveva comunque passare attraverso un rinnovamento in profondità della Chiesa: non solo dei costumi, ma anche della liturgia e della teologia. Il Concilio fu indetto soprattutto per questo fine: molti, lo presero alla leggera e non videro in esso che un adeguamento canonico; ma altri furono attenti alle possibilità che esso poteva offrire. Quando, nelle prime riunioni, si delineò lo scontro tra i tradizionalisti curiali e i rappresentanti degli episcopati allora più aperti (la Francia e la Germania: ma che pena fanno oggi i vescovi tedeschi, ritornati indietro di tanti anni ...), Giovanni XXIII con saggezza, ma insieme con fermezza, invitò all'accordo le due parti: e ciò significava una sconfessione, appena larvata, dello schema sulle "Due fonti della Rivelazione" elaborato dalla Curia. Non si rinnegava la tradizione, certo, ma essa andava subordinata alla Scrittura, unica "norma normans non normata" (legge sorgente di legge e non oggetto di legge), come affermavano i dottori della Scolastica.
La riforma interna della Chiesa era la sola via per un sano ecumenismo, che rifiutasse la precedente teoria del "ritorno" dei cristiani non-cattolici nel grembo della Chiesa romana. Tutte le Chiese cristiane dovevano intraprendere questa salutare purificazione, ed il Concilio avrebbe dovuto essere la grande occasione che si offriva per tale ascesi alla Chiesa cattolica. Si riprendeva così la grande intuizione profetica dell'abbé Couturier, iniziatore nel 1933 dell'ottavario di preghiera per l'unità delle Chiese, unità che non consiste nella prevalenza di una Chiesa sull'altra, ma nel ritornare tutte alla comune matrice, al Cristo che prega per l'unità dei fedeli, al Cristo che vive, mediante lo Spirito, all'interno di ogni Chiesa, ognuna delle quali ha conservato meglio delle altre, per sé e per le altre Chiese e per tutta l'umanità, qualche aspetto del Crocifisso e del Resuscitato. Giovanni XXIII, morto dopo la prima sessione dei Concilio, non vedrà lo svolgersi, talora assai teso, di tali tematiche: sarà Paolo VI, suo continuatore nell'opera conciliare e soprattutto nello sviluppo ecumenico, a dare uno sprone decisivo in tale direzione.
E voglio concludere con uno spunto sull'aggiornamento, parola usata da Giovanni XXIII ma in seguito troppo logorata, ed il cui significato è troppo ambiguo. C'è un buon aggiornamento, quello che intendeva il papa, e che consiste nell'incarnare il messaggio evangelico in realtà sempre mutevoli, poiché l'annuncio dì Cristo deve parlare agli uomini ogni tempo: questo è l'insegnamento di S.Tommaso ed in questo senso si muove, tra gli altri, il cristianesimo di Péguy, di Chenu, di Mounier. Ma c'è pure un aggiornamento perverso e deviante, che consiste nel cedere alle mode, ora dì destra ed ora di sinistra, e che evacua il cristianesimo della sua specificità trascendente-incarnata per prediligere un solo aspetto di tale ambivalenza sostanziale, per farne quindi un'ideologia spiritualista o materialista. Oppure tale aggiornamento diventa un conformismo, un'abitudine, e si fanno convegni e commissioni che restano fini a se stessi; o anche si pensa che il rinnovamento spirituale passi attraverso modi, o mode, di preghiera, con un'inflazione di inchini, genuflessioni, contorsioni varie, in contrasto con lo spirito conciliare che si proponeva di eliminare gli orpelli che negli ultimi secoli si erano incrostati intorno al messaggio evangelico. In tal caso dove sta l'"annuncio ai pagani"?

Ettore de Giorgis



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