RIFIUTO DEL MANICHEISMO


L'Italia sta evolvendo, sta.cioè raggiungendo - sia pure con ritardo e attraverso faticose contraddizioni - una dimensione civile e morale di livello europeo? Oppure l'Italia, ultima.tra le nazioni "progredite" (ossia industrializzate) dell'Occidente, sta perdendo la sua anima? Questo è il dilemma di fondo che, sotto le incrostazioni ideologiche più o meno caute, emerge dall'interpretazione di una serie di fatti più o meno direttamente collegati tra loro: l'esito del referendum sull'aborto, i risultati delle elezioni amministrative parziali del 21 giugno, l'incarico di formare il governo affidato ad un "laico" (leggi: a un "non democristiano"), il tutto condito, ampliato e complessificato dalle indagini e dai giudizi riferentisi alle attività della loggia massonica P2. Ma guai a cedere alla tentazione del manicheismo: una lettura "laica" (e non laicista, quindi non dogmatica) degli eventi presuppone che si rifiuti il meccanismo perverso dell'ideologia, e che si ritorni a far uso del senso critico, senza pretendere di avere sempre ragione, ossia di detenere tutta la verità.
Non mi è piaciuto il discorso della gerarchia a proposito dell'aborto: non mi è piaciuto né per il tono né per l'insistenza né per gli argomenti addotti. Esso è stato troppo unilaterale: si è parlato quasi solo del "nascituro", dimenticando troppo la donna, si è evaso il discorso sulla contraccezione (qui la posizione gerarchica è nota, ma la distinzione tra mezzi "naturali" e "artificiali" è poco convincente); si è condannata la violenza di una società edonistica e avara, ma non si sono spese troppe parole contro la violenza di una società repressiva che, specie in America Latina, miete decine di migliaia di vittime tra i diseredati e tra coloro che non accettano la logica di un potere perverso (e tra questi vi sono sacerdoti, religiosi e vi è pure stato un vescovo); si sono adottate le tesi minimali di un movimento che tendeva a ridurre le possibilità di aborto, senza per questo escluderle, assumendo però una posizione politica e non di principio, e questo atteggiamento, se è lecito per un movimento di ispirazione cristiana, non dovrebbe essere quello della gerarchia, a meno che essa compia una revisione teologica e morale, che invece è mancata.
Gli appunti di fondo che, in tutta umiltà, mi sento di opporre alla posizione della gerarchia sono due: in primo luogo se la legge positiva è sempre un compromesso con la realtà, e quindi anche con le forze del male che agiscono nel mondo, non si può pretendere che essa collimi in tutti i suoi aspetti con quella che alcuni chiamano "legge naturale" (ma ha poi senso parlare di una "legge naturale" a proposito dell'uomo? Non è invece l'emergere dalla natura, dalla fatalità delle sue leggi, che ha caratterizzato il sorgere dell'uomo come essere di libertà?); la legge non può essere che morale in negativo, proponendosi di limitare il male, mentre le "opere della fede" dovrebbero indirizzare gli uomini verso il bene: il "non uccidere" rientra nell'ambito della legge, l'"ama il tuo prossimo come te stesso" è una proposta che nessuna legge è abilitata a dare. E, in secondo luogo, bisogna vedere se il rispetto della vita è proprio un valore assoluto: per un immanentista lo può essere, per un cristiano sarei meno sicuro, anche se oggi questo discorso appare sospetto a molti; ma S.Tommaso credeva che, in determinate,circostanze, il tirannicidio fosse lecito; e tanti cristiani che parteciparono alla Resistenza armata pensavano in modo non dissimile. Può anche darsi che S.Tommaso e i resistenti cristiani avessero torto, tuttavia il discorso andrebbe approfondito, e non accantonato.
L'Italia comunque non ha accettato il discorso della gerarchia a proposito dell'aborto; allo stesso modo, o in modo non troppo dissimile, i nove milioni di italiani chiamati a votare il 21 giugno sono stati meno sensibili che in passato alle lusinghe del partito che si dice di ispirazione cristiana. Qui si dirà che tra i due fatti non c'è diretto collegamento, che la gerarchia non si impegna in prima persona per sostenere il "partito cristiano": non discuto che vi sia un disimpegno teorico sempre più accentuato al riguardo, ma a livello intermedio o di base non è così, e parrocchie, movimenti cattolici e mass-media confessionali sono ben lungi dall'assumere un atteggiamento neutrale, o anche soltanto dal dimostrare comprensione verso i cristiani non democristiani.
Eppure dovrebbero essere più guardinghi: se un tempo l'integrismo poteva apparire connaturale per la nostra subcultura (pochi eravamo, dieci o vent'anni fa, a rifiutare per principio la concezione di "partito cristiano"), ora anche i più indotti dovrebbero rendersi conto che l'unità si fa intorno ad un'unica fede, e non ad un'unica politica. Non c'è per questo da richiamarsi al Concilio e soprattutto a quel mirabile testo che è l'"Octogesima adveniens", di cui quest'anno ricorre il decimo anniversario. No, basta vedere quanti democristiani notori non sono dei cristiani nella vita pratica: l'iscrizione alla massoneria (non importa se "sporca" o "pulita") di parecchi di loro potrà almeno servire ad aprire gli occhi a tanti ciechi nati?
L'Italia non è più terra di cristianità, l'Italia va laicizzandosi sempre più, nel bene come nel male. E' un fatto tanto evidente, questo, e ogni cristiano che non viva di ricordi lo constata nella sua vita di tutti i giorni. Di qui una duplice reazione, apparentemente diversa ma simile nel fondo: da una parte l'incitamento alla crociata, alla riconquista, dall'altra la depressione, la tentazione di adeguarsi agli umori del mondo. Sono due atteggiamenti che riflettono uno stesso pessimismo sull'uomo e sulla storia. Non con questo che si voglia predicare l'ottimismo mondano, che pure ha contagiato e contagia ancora una larga fetta del così detto "mondo cristiano"; quell'ottimismo che si esprime in termini di crescita economica, di più alti salari, di maggiori consumi. Ma tra le due vie ve n'è una terza, che è stretta, poiché esige responsabilità e speranza: è la via dell'"ottimismo tragico", come la definì Mounier negli anni '30. La vita sarebbe infatti una tragedia, un'assurdità, un non-senso, qualora non fosse inserita in una prospettiva meta-terrestre, ossia nel disegno della storia della salvezza. Ed i cristiani, che hanno ricevuta la rivelazione, "sono tenuti ad annunziare a tutti gli uomini, "fino agli estremi confini della terra", questo messaggio di liberazione. Per questo l'evangelizzazione è sempre nuova ed è sempre la stessa.
E' con gioia pertanto che ho appreso l'invito del Presidente della Repubblica al senatore Giovanni Spadolini di formare il nuovo governo. E' giusto che in un'Italia sempre più laicizzata il Presidente del Consiglio sia finalmente un "laico": i cristiani non dovrebbero sentirsi offesi, ma dovrebbero coadiuvare il suo sforzo; per loro esistono altri spazi, più importanti di quello della politica. Poiché questa, diceva Mounier, "se è dappertutto, non è tutto".

Ettore De Giorgis

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VOCABOLARIO

MANICHEISMO - Dottrina religiosa di Manes o Manete (III secolo d.C.) risultante da elementi di cristianesimo e di religioni orientali (Zaratustra). Secondo questa dottrina, ci sarebbero due distinti principi creatori del mondo, l'uno buono e l'altro cattivo; da qui il dualismo tra spirito e materia, tra luce e tenebre, tra bene e male. Anche se non più seguito come sistema di pensiero, il Manicheismo continua ad incarnare un modo di pensare ricorrente o una mentalità diffusa che tende a vedere il male tutto da una parte ed il bene tutto da quell'altra nelle varie formazioni culturali e movimenti storici.



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