L'IDEOLOGIA "DEISTA"
DELLA "DOTTRINA SOCIALE CRISTIANA"
in un libro di Padre Chenu (*)


Credo che con me molti cristiani pensassero che il capitolo sulla cosiddetta "dottrina sociale cristiana" fosse definitivamente chiuso e che un ostacolo in meno si frapponesse ad un serio discorso ecclesiale; per alcuni di noi le lotte degli anni 60 (che non facevano che riprendere quelle di molti cattolici francesi negli anni 30) non erano quindi state vane. Anche il magistero ecclesiastico era evoluto in questo senso: "Octogesima adveniens", infatti, si poteva e si può considerare come la "magna charta" della disideologizzazione del cristianesimo.
Poi vi furono i ritorni di fiamma integristi, in particolare quello di "Comunione e Liberazione". E' un ritorno comprensibile, anche se gravido di conseguenze, poiché in tal sede ci si muove - come ha ben individuato Baget Bozzo - secondo una linea di l'ideologia cristiana" che intrattiene nuovamente una confusione di piani e nega in pratica l'autonomia delle scelte politiche, e quindi della laicità, riproponendo i logori schemi concettuali del vecchio integrismo, appena riverniciato a nuovo; ma ciò che più indigna è che a "Comunione e Liberazione" ci si richiami al personalismo-comunitario, ed in particolare a Mounier, dimostrando poca dimestichezza (o poco rispetto) verso il pensiero di colui che fu forse il pensatore cattolico più laico ed anti-integrista del XX secolo: a meno che non si voglia "correggere" ed "epurare" Mounier della sua laicità, considerata troppo poco ortodossa...
Il discorso di "Comunione e Liberazione" era, tutto sommato, poco serio e molto risibile, e non poteva avere presa che sulle persone poco avvedute. Ma ultimamente un discorso simile è riaffiorato ai vertici della gerarchia ecclesiastica, e ciò rischia di aumentare la confusione e di addebitare a "Comunione e Liberazione" quella serietà intellettuale di cui il movimento è sprovvisto.
Pertanto il libro di Padre Chenu ("La doctrine sociale de l'Eglise come idéologie", Cerf, Paris 1979) giunge quanto mai opportuno e mi auguro che sia tradotto al più presto in Italia. Il teologo domenicano esamina in breve le encicliche sociali di quattro papi (Leone XIII, Pio XI; Giovanni XXIII e Paolo VI), evidenziandone le intuizioni (o meglio l'ascolto dei segni dei tempi) e le lacune (dovute all'incapacità di incarnare nella storia i principi dottrinali).
Leone XIII esce piuttosto.male da questo esame lucido e sereno: il suo aspetto "profetico" si riduce ad un umanitarismo sincero ma superficiale, ad una specie di assistenzialismo idealistico, che condanna liberalismo e socialismo, ma non individua i mezzi per rendere credibile una "terza via".
Ben più profondo è il pensiero sociale di Pio XI, anche perché capitalismo e socialismo si dimostrano, quarant'anni dopo, dei sistemi sempre più globalizzanti e totalizzanti; anch'egli è favorevole ad una specie di Democrazia Cristiana popolare, cui è necessario l'apporto di sindacati cristiani. E' una posizione integrista, che però si pone almeno il problema degli strumenti di potere; ed è anche una posizione contraddittoria, perché è aperta verso le motivazioni dei socialisti, ma è intransigente verso la filosofia del socialismo, condannato ben più duramente di quanto l'avesse fatto Leone XIII, per il quale era inaccettabile qualsiasi attacco al principio di proprietà, mentre per Pio XI sono l'ateismo e il materialismo che rendono impossibile il dialogo. Però c'è "socialismo comunistico", e "socialismo democratico", che anche il papa distingue.
La novità si ha con Giovanni XXIII e con il Concilio: in "Pacem in terris" ed in "Gaudium et spes" il principio ispiratore è l'attenzione ai "segni dei tempi", ossia la necessità di confrontare la storia degli uomini con la Rivelazione di Dio, rifacendosi così all'ispirazione biblica, nonché al pensiero dei Padri e della grande Scolastica (non di quella che legge S.Tommaso "secundum Caietanum"...), e facendola finita con il manualismo meccanicista che per circa quattro secoli, dalla Controriforma in poi, aveva condizionato ed atrofizzato il pensiero teologico della Chiesa cattolica.
E' tuttavia con Paolo VI che si conclude la grande impresa di di.ideologizzazione del cristianesimo. Se "Populorum progressio" è ancora troppo occidentalista (al centro delle preoccupazioni del papa stanno i doveri dei ricchi, e non i diritti dei poveri), "Octogesima adveniens" è un documento 'laico", ossia anti-integrista, in quanto al popolo dei fedeli ('laos' in greco significa 'popolo') viene riconosciuta non solo la responsabilità delle scelte nel campo autonomo della politica, ma si afferma pure che sono essi - i laici - ad essere competenti in tali scelte (il che non significa che i laici debbano "istruire" i chierici su chi votare, rovesciando l'abitudine che ancora si trascina in molte zone clericali, ed instaurando così un integrismo alla rovescia). Vi è dunque una specie di specifico "ministero laicale" in questo campo, ministero che come dignità non è inferiore a quello sacerdotale, a meno che non si sia ancora fissi alla pseudo-teologia della gerarchia degli "stati di perfezione"...
Il pensiero di Paolo VI ha raggiunto in "Octogesima adveniens" la sua più profonda comprensione del rapporto che intercorre tra la storia e la Rivelazione. E' un punto da cui non si ritorna indietro: lo diciamo senza presunzione, ma con decisione. Pertanto dobbiamo ringraziare Padre Chenu che, in un periodo in cui si tenta di ridimensionare la novità del Concilio e del primo post-Concilio, ci indica le motivazioni su cui deve fondarsi la nostra fedeltà.

Ettore De Giorgis
* Per una definizione di "dottrina sociale della Chiesa" vedi Koinonia, n.8-9/1979, p.10. Padre Chenu aveva già affrontato il tema in maniera più sintetica nel volume "La dottrina sociale della Chiesa" (Ed.Queriniana, Brescia 1977) in cui sono riportati vari testi pontifici (n.d.r.).



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