DUE DIVERSE CONCEZIONI DI CHIESA
A proposito della "Lettera alla Chiesa fiorentina

La "Lettera alla Chiesa fiorentina" provocherà, spero, diverse risposte. Anch'io ne darei più di una, o, se si vuole, risponderei in modo articolato, esaminando punto a punto i diversi argomenti, che meritano tutti un'attenta riflessione. Ma in questo momento mi sta soprattutto a cuore far notare che dietro la concezione di Chiesa degli estensori della lettera ci sta un'antica tradizione, non certo di ribellione verso l'autorità ecclesiastica, bensì rivoluzionaria nei confronti dei costumi di un certo tipo di società. E' una tradizione che è stata illustrata in modo esemplare da Gregorio Magno, una delle più grandi figure dell'Occidente cristiano, la cui attività coincide più o meno con l'inizio del Medio Evo, che solo per gli ignoranti e gli anticlericali incalliti è sinonimo di periodo di barbarie e di oscurantismo. Nel suo commento a Giobbe scrive il grande papa e dottore della Chiesa: "Se il mio uditore e lettore, che certamente potrà comprendere il senso della Parola di Dio in un modo più profondo e più vero di quanto ho fatto io, non troverà di suo gradimento le mie interpretazioni, tranquillamente lo seguirò come un discepolo segue il suo maestro. Ritengo come un dono tutto ciò che egli potrà sentire e comprendere meglio di me. Quanti infatti, ripieni di fede, ci sforziamo di far risuonare Dio, siamo organi della verità; ed è in potere della verità che essa si manifesti per mio mezzo agli altri o che per gli altri giunga a me. Essa certamente è uguale per tutti noi, anche se non tutti viviamo allo stesso modo; ora tocca questo, perché ascolti con profitto ciò che essa ha fatto risuonare per mezzo di un altro, ora invece tocca quello, perché faccia risuonare chiaramente ciò che gli altri debbono ascoltare". E, nelle omelie su Ezechiele, Gregorio scrive: "So infatti che spesso, molte cose che nella Santa Scrittura da solo non riuscivo a comprendere, le ho capite quando mi sono trovato in mezzo ai miei fratelli. Dietro questa conoscenza, ho cercato di capire anche per merito dì chi mi era stata data tale intelligenza... Così con la grazia di Dio avviene che aumenti l'intelligenza e diminuisca la superbia, mentre per causa vostra imparo ciò che a voi insegno; perché, ve lo confesso candidamente, il più delle volte con voi ascolto quello che a voi dico. Perciò nella lettura di questo profeta, quando comprendo poco, è per la mia ignoranza spirituale; quando poi posso approfondire il suo senso, è per la grazia di Dio, concessami dalla vostra pietà".
Padre Benedetto Calati, Superiore Generale dei Camaldolesi, commentando questi e altri brani di Gregorio, da esperto conoscitore qual egli è di questo autore, evidenzia il ruolo dello Spirito, da cui viene suscitata la comunità cristiana: "Questa Provvidenza della parola, per il ministero spirituale della comunità, per Gregorio, Padre della sua Chiesa, è la garanzia del carisma della paternità; nel senso che mentre aumenta l'intelligenza della verità che il pastore e padre deve donare ai suoi figlì, egli è al sicuro dalla superbia che potrebbe provenire da tale penetrazione del mistero di Dio. Il maestro diventa così, a sua volta, discepolo di coloro cui deve insegnare, perché è per essi che gli è comunicata la sapienza delle Scritture Sante ... Umiltà certo; ma e per questo che discopre tutto il dinamismo dello Spirito Santo nell'assemblea dei fedeli che opera in essi la storia della Salvezza, rendendoli perciò atti, ciascuno nelle proprie grazie, all'opera dell'edificazione del Corpo di Cristo. 31 l'umiltà del Profeta, perché lo Spirito agisce quando e come vuole: capace di suscitare i figli di Abramo dalle pietre! In questa prospettiva la comunità ecclesiale è veramente edificata dalla parola di Dio. Quella Parola per cui tutto è stato fatto, che nella pienezza dei tempi si è incarnata, comunicandosi personalmente all'uomo, dando per ciò* la possibilità ad ognuno di essere figlio dì Dio, mosso e guidato dal suo Spirito" (cfr. B.Calati, "Comunità e Scrittura nel pensiero dì Gregorio Magnoll, Vita Monastica, Camaldoli, gennaio-marzo 1965, pp. 3-24).
Come si vede, la concezione della Chiesa come comunità "spirituale" ha le sue lettere di nobiltà. La concezione della Chiesa come forza organizzativa non è cosi nobile, anche se la sua tradizione è anch'essa più o meno millenaria. E' di questa seconda concezione di Chiesa (e non di quest'altra Chiesa, come opportunamente scrivono glì estensori della lettera: perché non esiste una Chiesa intesa come "società dei perfetti") che scriveva nel 1967 Ivan Illich, nel suo celebre (e ultimo) articolo teologico 111,a morte del clero", affermando che essa era la più grande burocrazia del mondo: e negli ultimi dodici anni la burocratizzazione è cresciuta, con tutte le commissioni e i consigli diocesani e parrocchiali, che si vogliono tutti applicazioni del Concilio, ma che del Concilio si fermano troppo spesso alla lettera. Altrimenti non verrebbe in mente di sprecare un'adunanza episcopale regionale a parlare delle "chierichette", anche se può apparire lodevole il desiderio di evitare la disoccupazione per tanti "chierichetti"...
Si vede che nella diocesi di Firenze e in quella di Novara le legittime e competenti autorità hanno della Chiesa due diverse concezioni. Infatti nella parrocchia di Mégolo (200 abitanti), frazione di Pieve Vergonte, in Val d'Ossola, è stata chiamata a svolgere l'attività pastorale suor Maria Irma Bettegatti, di 47 anni, delle Missionarie dell'Immacolata Regina Pacis.
Due diverse concezioni di Chiesa: una che è turbata dal problema delle "chierichette" e l'altra che non ha paura di una suora-parroco. Credo che sia questa seconda concezione ad essere più vicina all'idea di Chiesa che aveva Gregorio Magno...

Ettore De Giorgis





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