LA MESSA SECONDO LA LEGGE
E SECONDO LO SPIRITO


Giorno dell'Immacolata, sala d'aspetto di II classe alla stazione di Firenze. Ho viaggiato tutta la notte, il treno è arrivato un'ora fa, ho bevuto un caffè e mi sono messo a leggere una rivista attendendo che si faccia giorno per andare alla Messa in qualche chiesa e poi recarmi in ora meno inopportuna da degli amici. Ad un tratto sento l'altoparlante annunziare che sta per iniziare la Messa alla cappella della stazione, e subito mi avvio, sperando di non arrivare in ritardo, cosa che detesto. Il ritardo è davvero minimo, i pochi presenti stanno in silenzio a capo chino, e dopo qualche istante inizia il "Confiteor". Una messa vale l'altra, nella Cattedrale o alla stazione o in casa, nevvero? Sì, ma... Perché la Messa cui ho assistito (parlare di partecipazione in tal caso è forse esagerato) è una Messa da "società dei consumi", una Messa per tempi in cui la mobilità è regola, è misura anche del sacro. Per non stancare troppo i presenti (che già viaggiano o hanno viaggiato) e per invogliarli forse ad intervenire ad altre Messe-in-stazione si è pensato bene di eliminare l'omelia: e pensare che le letture, salmodiate da un anziano signore di tanta buona volontà ma di non altrettanto chiara dizione, avrebbero necessitato un po' di commento; è vero, si poteva seguire il testo sui foglietti, ma la Parola di Dio va proclamata e non solo letta individualmente, poiché altrimenti non può sviluppare la sua valenza comunitaria, non può fare di membri sparsi un unico popolo.
C'è una categoria di preti che si vuole moderna a tutti i costi, assecondando le mode del tempo: preti-beat, preti-balneari, preti-funzionali, ecc. La Messa di 20 minuti (tanto durò quella cui assistetti) soddisfa la fretta odierna, e dà buona coscienza al celebrante e ai fedeli, così costoro non potranno più trovare la scusa che il cristianesimo sia una cosa terribilmente difficile o impegnativa. E quello che è grave è che dei preti (e dei laici) pensano che in tal modo si "recupereranno" alcuni o tanti "lontani". Questa mondanità la detesto, e non ho nessuna perplessità ad affermare che preferisco di gran lunga a tali preti che ragionano secondo questa logica i buoni e limitati preti tradizionali, che sono meno disposti a scherzare con il sacro.
Mi è subito venuto in mente ciò che, la sera prima del giorno dell'Immacolata, diceva un giovane siciliano verso la fine di una Messa celebrata in casa di un prete operaio a Torino (e che dura sempre da un'ora e un quarto a un'ora e mezza). Appartenente ad una comunità ecclesiale del palermitano e residente da poco tempo in un comune della cintura torinese, egli affermava che la domenica prima non era andato alla Messa perché questa gli pareva anonima e senza calore, così diversa da quelle cui partecipava nella sua comunità e da quella cui aveva partecipato quella sera.
Una prima considerazione, che pare ovvia ma che non lo è tanto, se ancora capitano fatti come quello della Messa alla stazione di Firenze (e vi sono altri casi simili e altri peggiori, io ne posso citare e credo che molti lo possano parimenti), è che si dovrebbe parlare più esplicitamente dello "statuto" (brutto termine, lo so) della Messa: è essa un precetto da "soddisfare", che mi impegna per 20 minuti o mezz'ora o anche un'ora alla settimana, ma che è avulsa dalla mia vita? In tal modo la nostra schiavitù nei confronti della Legge è peggiore di quella degli Ebrei del tempo di Gesù e di Paolo, che almeno si consideravano religiosi durante tutta la giornata del sabato (a parte poi le preghiere quotidiane). Se invece la Messa è un'esigenza spirituale, allora essa sta all'inizio del mio impegno di vita, che guida e illumina, ed è insieme il suo compimento, in quanto gli dà un senso trascendente, collocandolo nella prospettiva di,Dio. Allora la Messa può essere giornaliera, o settimanale, e talora nemmeno settimanale, se altre esigenze lo impediscono: ma è una Messa vissuta dall'interno, e non come un fatto esteriore. Si elimina così il dualismo tra sacro e profano, fonte di grave alienazione religiosa.
In secondo luogo, vi è la questione dell'accoglienza, che la liturgia eucaristica dovrebbe sviluppare, e senza la quale sono vanificate tutte le riformo liturgiche. Alla Messa, specie nei luoghi di mobilità sociale (le stazioni ferroviarie come quelle balneari o alpine), convengono persone di diversi orizzonti, che non si conoscono, che non sono "popolo": qui, più che altrove, si dovrebbe cercare di dare spazio ai loro problemi e alle loro esigenze, senza temere di dover modificare qualche rubrica rituale. Sarebbe questo il vero offertorio, perché questo persone disparate, pur conservando la loro diversità, si riconoscerebbero popolo di Dio, e il prete potrebbe dar loro questa garanzia, invocando lo Spirito perché discenda in una nuova Pentecoste. E il popolo potrebbe intonare allora, come preghiera di intercessione e di lode, il "Veni Creator".

Ettore De Giorgis





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