7 giugno 2020 - SANTISSIMA TRINITA' (ANNO A)

 

El Greco: Trinità (1577-79)

 

PRIMA LETTURA (Esodo 34,4-6.8-9)

In quei giorni, Mosè si alzò di buon mattino e salì sul monte Sinai, come il Signore gli aveva comandato, con le due tavole di pietra in mano.

Allora il Signore scese nella nube, si fermò là presso di lui e proclamò il nome del Signore. Il Signore passò davanti a lui, proclamando: «Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà».

Mosè si curvò in fretta fino a terra e si prostrò. Disse: «Se ho trovato grazia ai tuoi occhi, Signore, che il Signore cammini in mezzo a noi. Sì, è un popolo di dura cervìce, ma tu perdona la nostra colpa e il nostro peccato: fa’ di noi la tua eredità».

 

 

SALMO RESPONSORIALE (Danlele 3,52-56)

Rit. A te la lode e la gloria nei secoli.

 

Benedetto sei tu, Signore, Dio dei padri nostri.

Benedetto il tuo nome glorioso e santo.

Benedetto sei tu nel tuo tempio santo, glorioso.

Benedetto sei tu sul trono del tuo regno.

Benedetto sei tu che penetri con lo sguardo gli abissi
e siedi sui cherubini.

Benedetto sei tu nel firmamento del cielo.

 

 

SECONDA LETTURA (2 Corinzi 13,11-13)


Fratelli, siate gioiosi, tendete alla perfezione, fatevi coraggio a vicenda, abbiate gli stessi sentimenti, vivete in pace e il Dio dell’amore e della pace sarà con voi.

Salutatevi a vicenda con il bacio santo. Tutti i santi vi salutano.

La grazia del Signore Gesù Cristo, l’amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi.
VANGELO (Giovanni 3,16-18)

In quel tempo, disse Gesù a Nicodèmo:
«Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio, unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.
Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui.
Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio».


In altre parole…

 

Nel giorno in cui celebriamo il mistero della Trinità, stranamente incontriamo Mosè impegnato a ritrovare il senso del Dio unico e vero, dopo il pervertimento del popolo col vitello d’oro e dopo che egli aveva reagito con ira scagliando e spezzando le tavole della Legge. Come gli era stato promesso (Es 32,19-23), egli è invitato a risalire sul monte Sinai ad incontrare di nuovo il suo Dio, che si fa sentire e si presenta con queste parole: “Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all'ira e ricco di grazia e di fedeltà”. Una significativa auto-presentazione di Dio al suo popolo che esplicita le parole dal roveto ardente “Io sono colui che è”. Per tutta risposta, Mosè non può che prostrarsi e rallegrarsi di aver trovato grazia agli occhi del suo Signore, e non può fare altro che invocarlo per il suo popolo di dura cervice, perché faccia di loro la sua eredità.

 

Ma al di là dell’apparente controsenso, questo momento di grazia ci dice che siamo alle prime fasi della gratuita auto-rivelazione di Dio, e come il monoteismo biblico è una conquista e una esperienza di alleanza, alla stessa maniera arriviamo alla conoscenza e all’adorazione del Dio-Trinità attraverso la rivelazione di Gesù Cristo, l’azione del suo Spirito in noi e la conoscenza del Padre: e cioè come partecipazione all’intero mistero pasquale, che ci porta appunto a vivere e sperimentare la condizione di battezzati “nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”.

 

È quanto ci siamo detti in questo tempo liturgico, parlando di sequela pasquale di Cristo, che è poi l’esistenza cristiana intesa e vissuta come esperienza teologale: vale a dire come vita di fede, di speranza e di carità, riflesso trinitario che ci segna e ci accompagna. Perché pensare e lasciar credere che simile potenziale di grazia sia riservato a pochi e non sia invece la vitalità di tutta la chiesa, “Popolo radunato nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”?

 

Questo Popolo di Dio non è solo astratta denominazione formale, ma soggetto vivente, secondo quanto diceva san Paolo nel giorno di Pentecoste: “Vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti”. Non siamo, o non dovremmo essere che l’espressione e l’articolazione di questo Popolo, nella consapevolezza di essere segno e strumento di salvezza nel mondo.

 

L’incontro notturno di Gesù con Nicodemo (cap. 3 di Giovanni) ci offre la preventiva visione unitaria di una Trinità in azione. È quando Gesù dice al suo interlocutore che “se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio” perché “quel che è nato dalla carne è carne e quel che è nato dallo Spirito è Spirito”.  E per spiegarglielo fa questo esempio: “Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va: così è di chiunque è nato dallo Spirito”. Quindi ecco l’azione dello Spirito: far nascere e rinascere. Ma questa azione altro non è che manifestazione dell’amore di un Padre che ha a cuore la salvezza del mondo, tanto da mandare il suo Figlio, che comunica lo Spirito grazie alla sua “glorificazione” (cfr. Gv 7.39): “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui”.

 

Il saluto di benedizione con cui Paolo chiude la seconda lettera ai Corinti ci testimonia questo amore salvifico che si riversa sui credenti, per dare vita ad una comunione nuova dello Spirito in comunità che devono essere il riflesso di queste tre dimensioni che derivano dal mistero di un Dio incontenibile: “La grazia del Signore Gesù Cristo, l’amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi”. È questo il mistero della chiesa e di un vita trinitaria, che ci  dovrebbe portare ad essere gioiosi, a farsi coraggio a vicenda, ad avere gli stessi sentimenti, a vivere in pace, perché il Dio dell’amore e della pace sia con noi! Di fatto, siamo troppo inquadrati e ingessati!

Quando Paolo presenta e vuole così la comunità di Corinto, non fa una semplice esortazione di perbenismo ecclesiale, ma ci dice cosa può e deve scaturire da questa filiazione trinitaria che ci fa realmente figli e fratelli, “santi” nello scambio del saluto reciproco con il bacio santo. Forse è necessario più realismo e più profondità nel vivere la fede, per uscire da facili estetismi e sentimentalismi convenzionali di facciata, che poi generano come surrogato facile ritualismo e liturgismo! Questa fede ci dice che il Dio dell’amore e della pace è con noi, perché “chiunque crede non vada perduto, ma abbia la vita eterna”: è questo il vero fatto nuovo straripante, irriducibile a qualunque formula, a qualunque solennizzazione, enfatizzazione, se prima non viene vissuto là dove vede “tuo Padre che è nel segreto” (Mt 6,18): è solo grazia e verità, che “vennero per mezzo di Gesù Cristo” (Gv 1,17).

L’immagine di El Greco suggerisce una sorta di umanizzazione o anche di incarnazione della Trinità, che trovano conferma nella parola di Gesù: “Gli rispose Gesù: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui»” (Gv 14,23). L’amore del Padre ci dona il Figlio, mentre l’amore per il Figlio Gesù ci porta al Padre, quasi un ritorno a casa come per lui e con lui. Niente spiritualismo e nessun intimismo, ma compimento del mistero della salvezza totale che ci rende creature nuove.

 

A questo punto potremmo azzardare una lettura in chiave trinitaria della parabola del figliol prodigo, in cui vedere raffigurato lo stesso Gesù. Stando a quanto ci dice Paolo in 2Cor 5,21: “Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio”. È il mistero della “kenosi” e della dissipazione totale del Verbo di Dio fatto carne, “il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio” (Fil 2,6). Il Padre si presenta da sé nell’abbraccio del Figlio che era morto ed è tornato in vita.

 

Più oltre che nel figlio andato di via di casa, noi dobbiamo avere il coraggio di riconoscerci nel figlio osservante e servizievole rimasto in casa. Non sappiamo rallegraci del fratello ritrovato, rivestito delle vesti migliori, pronti a prendere parte alla gioia del banchetto col vitello grasso. Possiamo anche vantare di non aver trasgredito nessun comando del padre e di non aver approfittato mai dei suoi beni. Ci sarebbe solo da renderci conto e prendere coscienza che siamo stati sempre con lui e che quello che è suo possiamo ritenerlo anche nostro: se cioè smettiamo di sentirci come schiavi e torniamo a considerarci figli, ”per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio” (Rm 8,21). Appunto come il prodigo: o come il Figlio dell’uomo!

 

Quando nella Costituzione “Lumen gentium” del Concilio si afferma che “così la Chiesa universale si presenta come ‘un popolo che deriva la sua unità dall'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo’”, non possiamo non rientrare in noi stessi, e non pensare di nuovo alla casa del Padre come anche nostra: che vuol dire diventare Chiesa di Dio nel mondo!

 

Non sarebbe fuori luogo fare della celebrazione della SS.Trinità in cui si celebra il mistero della “Chiesa Popolo di Dio”, qualcosa che potrebbe essere un vero e proprio messaggio e avere un suo preciso valore pedagogico.  Quello che invece non dovrebbe succedere più è pensare che una siffatta “spiritualità trinitaria” sia riservata a pochi mistici riconosciuti, mentre deve diventare patrimonio e risorsa dell’intero Popolo di Dio radunato dall’unità del Padre del Figlio e dello Spirito Santo. Non è altro che la vita secondo il “Padre nostro”: il Figlio insegna ad invocare il Padre, ma è lo Spirito che ispira e attiva la comunicazione, perché “tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio” (Rm 8,14). Non sarebbe una riforma da poco, se fossimo capaci di farla nascere dallo stesso mistero trinitario, sostanza viva delle fede della Chiesa! (ABS)


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