29 dicembre 2019 - SANTA FAMIGLIA DI GESÙ, MARIA E GIUSEPPE (ANNO A)

 

Caravaggio: Riposo durante la fuga in Egitto (1597)

 

 

PRIMA LETTURA (Siracide  3, 3-7.14-17a)


Il Signore ha glorificato il padre al di sopra dei figli
e ha stabilito il diritto della madre sulla prole.
Chi onora il padre espìa i peccati e li eviterà
e la sua preghiera quotidiana sarà esaudita.
Chi onora sua madre è come chi accumula tesori.
Chi onora il padre avrà gioia dai propri figli
e sarà esaudito nel giorno della sua preghiera.
Chi glorifica il padre vivrà a lungo,
chi obbedisce al Signore darà consolazione alla madre.
Figlio, soccorri tuo padre nella vecchiaia,
non contristarlo durante la sua vita.
Sii indulgente, anche se perde il senno,
e non disprezzarlo, mentre tu sei nel pieno vigore.
L’opera buona verso il padre non sarà dimenticata,
otterrà il perdono dei peccati, rinnoverà la tua casa.

 

SALMO RESPONSORIALE (Salmo 127)


Rit. Beato chi teme il Signore e cammina nelle sue vie.

 

Beato chi teme il Signore
e cammina nelle sue vie.
Della fatica delle tue mani ti nutrirai,
sarai felice e avrai ogni bene.

La tua sposa come vite feconda
nell’intimità della tua casa;
i tuoi figli come virgulti d’ulivo
intorno alla tua mensa.

Ecco com’è benedetto
l’uomo che teme il Signore.
Ti benedica il Signore da Sion.
Possa tu vedere il bene di Gerusalemme
tutti i giorni della tua vita!

 

SECONDA LETTURA (Colossesi 3,12-21)


Fratelli, scelti da Dio, santi e amati, rivestitevi di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità, sopportandovi a vicenda e perdonandovi gli uni gli altri, se qualcuno avesse di che lamentarsi nei riguardi di un altro. Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi. Ma sopra tutte queste cose rivestitevi della carità, che le unisce in modo perfetto. E la pace di Cristo regni nei vostri cuori, perché ad essa siete stati chiamati in un solo corpo. E rendete grazie!

La parola di Cristo abiti tra voi nella sua ricchezza. Con ogni sapienza istruitevi e ammonitevi a vicenda con salmi, inni e canti ispirati, con gratitudine, cantando a Dio nei vostri cuori. E qualunque cosa facciate, in parole e in opere, tutto avvenga nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di lui grazie a Dio Padre.

Voi, mogli, state sottomesse ai mariti, come conviene nel Signore. Voi, mariti, amate le vostre mogli e non trattatele con durezza. Voi, figli, obbedite ai genitori in tutto; ciò è gradito al Signore. Voi, padri, non esasperate i vostri figli, perché non si scoraggino.

 

 

VANGELO (Matteo 2,13-15.19-23)

 

I Magi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo».

Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Dall’Egitto ho chiamato mio figlio».

Morto Erode, ecco, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre e va’ nella terra d’Israele; sono morti infatti quelli che cercavano di uccidere il bambino».

 Egli si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra d’Israele. Ma, quando venne a sapere che nella Giudea regnava Archelao al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nella regione della Galilea e andò ad abitare in una città chiamata Nàzaret, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo dei profeti: «Sarà chiamato Nazareno».


In altre parole…

 

Non saprei dire quando e perché, ma di fatto c’è stato un cambiamento di denominazione di questa festa liturgica: da “Sacra famiglia” a “Santa famiglia”! Forse per uscire da quella sacralizzazione del modello famiglia che ha dato origine alla festa in regime di cristianità e ritrovare una visione più ampia sul piano della fede e sulla base della santità. Non ci potrebbe essere santità anche nel caso in cui la sacralità della famiglia venga compromessa? Sarà anche questione di parole, ma di fatto anche le parole hanno il loro peso e determinano mentalità e cliché funzionali ad un modo di pensare convenzionale. Se guardiamo alla storia, la festa della “Sacra Famiglia” nasce in regime di cristianità come apologia del modello di “famiglia cristiana”.

 

Se però guardiamo alla verità delle cose, e stando ad alcuni dati evangelici, forse lo stesso Gesù non sarebbe troppo d’accordo nell’essere celebrato e strumentalizzato come icona oleografica di famiglia: celebriamo lui nel suo fare famiglia, o celebriamo la famiglia nel suo assetto sociologico? Intendiamo la Parola di Dio secondo schemi culturali precostituiti, o assumiamo questi secondo la Parola di Dio?  La nostra visione delle cose dovrebbe scaturire da quanto ci dice Paolo: “La parola di Cristo abiti tra voi nella sua ricchezza. Con ogni sapienza istruitevi e ammonitevi a vicenda con salmi, inni e canti ispirati, con gratitudine, cantando a Dio nei vostri cuori. E qualunque cosa facciate, in parole e in opere, tutto avvenga nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di lui grazie a Dio Padre”.  

 

A partire da questa sensibilità nuova, le situazioni possono essere valutate e risanate, più che attraverso la difesa di un’idea o modello di famiglia definito. Se ascoltiamo la Parola di Cristo, è la parola di uno che alla riprensione del padre e della madre al tempio, non esita a rispondere che lui deve occuparsi delle cose del Padre suo. Quando lo avvertono che la madre e i suoi parenti lo aspettano preoccupati fuori, non usa mezzi termini e si chiede: chi è mia madre e chi sono i miei fratelli? Dall’alto della croce dice alla madre e a Giovanni “ecco tuo figlio, ecco tua madre”, riportandoci ad una dimensione diversa di famiglia: non concezione ideale o dottrina a cui aderire, ma progetto da attuare e per il quale essere educati e preparati nella fede.

 

Quanto Paolo ci dice non va considerato solo nella modalità dei rapporti personali, di genere e generazionali, ma appunto in considerazione del Signore: “Voi, mogli, state sottomesse ai mariti, come conviene nel Signore. Voi, mariti, amate le vostre mogli e non trattatele con durezza. Voi, figli, obbedite ai genitori in tutto; ciò è gradito al Signore. Voi, padri, non esasperate i vostri figli, perché non si scoraggino”. In fondo, non sarebbe altro che osservare il comandamento “onora il padre e la madre”, avendo ben presente che anche figli e figlie vanno onorati e che anch’essi un giorno saranno padri e madri. E allora rileggiamo insieme - magari in famiglia con i propri figli – il capitolo 3 del libro del Siracide, che al versetto 8 (non riportato nel brano liturgico) dice: “Onora tuo padre a fatti e a parole, perché scenda su di te la sua benedizione”.

 

È la chiamata ad una responsabilità che non può essere delegata a leggi più o meno permissive o risolutive, né a moralismi colpevolizzanti; in questo campo sono previsti certamente abbandoni e cedimenti, ma proprio per questo si richiede ravvedimento e cambiamento di rotta per una rigenerazione totale e non solo settoriale. È significativo il fatto che la missione di Giovanni Battista sia presentata dall’angelo con parole del profeta Malachia applicate però a tutti i figli di Israele da ricondurre al Signore loro Dio: “Andrà davanti a lui con lo spirito e la potenza di Elia, per volgere i cuori dei padri ai figli e i ribelli alla saggezza dei giusti, per preparare al Signore un popolo ben disposto” (Lc 1,16-17).

 

Se proprio vogliamo guardare alla famiglia di Nazaret come modello, non possiamo dimenticare e sottovalutare il fatto che essa è chiamata e impegnata a rigenerare l’intera famiglia umana. Eccola allora messa alla prova per sfuggire ad Erode e rifugiarsi in un luogo che - realmente o simbolicamente - è l’Egitto, che è stato meta di salvezza per Israele, ma anche condizione di schiavitù da cui liberarsi. Questa narrazione è messa dall’evangelista in rapporto alla partenza dei Magi sulla strada del ritorno: colui che era riconosciuto e adorato come salvatore delle genti tutte, doveva ora essere salvato lui stesso in patria dalla mano di Erode.

 

Non sono che anticipazione di quanto dovrà ripetersi per questo bambino nel resto dei suoi giorni terreni: ciò che porta a compimento quanto i profeti avevano preannunciato e al tempo stesso prefigura quanto continua ad accadere nel tempo per chi è di Cristo. A guidarci nella fuga, nel ritorno e nella destinazione, come per Giuseppe, è sempre il sogno, questa via di comunicazione che non va ignorata e sottovalutata. Sta di fatto che un bambino per cui non c’era un posto dove nascere, è costretto a fuggire, peregrinare e trovarsi un rifugio a Nazaret, da cui non sembra possa venire qualcosa di buono (cfr. Gv 1,46). È quel “figlio dell’uomo che non ha dove posare il capo” (Mt 8,20). Ed è la condizione del discepolo che non può essere da più del maestro, ma neanche molto di meno!

 

Non abbiamo davanti un quadro idilliaco a cui potersi ispirare: certamente persone animate “di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità”, ma prima di tutto in quanto “scelti da Dio, santi e amati” come strumenti del suo disegno. Abbiamo davanti tre persone delle quali una, Maria, disponibile a che si faccia di lei secondo la parola dell’angelo; Giuseppe pronto a prenderla come sua sposa dopo tutte le perplessità; Gesù che accetta di essere sottomesso a loro, pur precisando che lui deve occuparsi delle cose del Padre. Se proprio questa famiglia ci deve essere di esempio, forse ci deve ridare il coraggio di avventurarsi come presenza nuova di fede sul terreno reale di un mondo non più “cristiano” alla vecchia maniera. (ABS)

 

 

Con preghiera di lettura comune

con l’augurio di Buon Natale!

 

Quello che andiamo dicendoci da decenni per operare di conseguenza, lo sentiamo detto solennemente oggi da papa Francesco nel suo discorso alla Curia Romana - 21.12.2019 in questi precisi termini:

 

 

 

 “Fratelli e sorelle, non siamo nella cristianità, non più!”

 

Quella che stiamo vivendo non è semplicemente un’epoca di cambiamenti, ma è un cambiamento di epoca. Siamo, dunque, in uno di quei momenti nei quali i cambiamenti non sono più lineari, bensì epocali; costituiscono delle scelte che trasformano velocemente il modo di vivere, di relazionarsi, di comunicare ed elaborare il pensiero, di rapportarsi tra le generazioni umane e di comprendere e di vivere la fede e la scienza. Capita spesso di vivere il cambiamento limitandosi a indossare un nuovo vestito, e poi rimanere in realtà come si era prima. Rammento l’espressione enigmatica, che si legge in un famoso romanzo italiano: “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi” (ne Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa).

 

L’atteggiamento sano è piuttosto quello di lasciarsi interrogare dalle sfide del tempo presente e di coglierle con le virtù del discernimento, della parresia e della hypomoné. Il cambiamento, in questo caso, assumerebbe tutt’altro aspetto: da elemento di contorno, da contesto o da pretesto, da paesaggio esterno… diventerebbe sempre più umano, e anche più cristiano. Sarebbe sempre un cambiamento esterno, ma compiuto a partire dal centro stesso dell’uomo, cioè una conversione antropologica.

 

<…>Affrontando oggi il tema del cambiamento che si fonda principalmente sulla fedeltà al depositum fidei e alla Tradizione, desidero ritornare sull’attuazione della riforma della Curia romana, ribadendo che tale riforma non ha mai avuto la presunzione di fare come se prima niente fosse esistito; al contrario, si è puntato a valorizzare quanto di buono è stato fatto nella complessa storia della Curia. È doveroso valorizzarne la storia per costruire un futuro che abbia basi solide, che abbia radici e perciò possa essere fecondo. Appellarsi alla memoria non vuol dire ancorarsi all’autoconservazione, ma richiamare la vita e la vitalità di un percorso in continuo sviluppo. La memoria non è statica, è dinamica. Implica per sua natura movimento. E la tradizione non è statica, è dinamica, come diceva quel grande uomo [G. Mahler]: la tradizione è la garanzia del futuro e non la custodia delle ceneri.

 

(Una volta) si era in un’epoca nella quale era più semplice distinguere tra due versanti abbastanza definiti: un mondo cristiano da una parte e un mondo ancora da evangelizzare dall’altra. Adesso questa situazione non esiste più. Le popolazioni che non hanno ancora ricevuto l’annuncio del Vangelo non vivono affatto soltanto nei Continenti non occidentali, ma dimorano dappertutto, specialmente nelle enormi concentrazioni urbane che richiedono esse stesse una specifica pastorale. Nelle grandi città abbiamo bisogno di altre “mappe”, di altri paradigmi, che ci aiutino a riposizionare i nostri modi di pensare e i nostri atteggiamenti: Fratelli e sorelle, non siamo nella cristianità, non più! Oggi non siamo più gli unici che producono cultura, né i primi, né i più ascoltati. Abbiamo pertanto bisogno di un cambiamento di mentalità pastorale, che non vuol dire passare a una pastorale relativistica. Non siamo più in un regime di cristianità perché la fede – specialmente in Europa, ma pure in gran parte dell’Occidente – non costituisce più un presupposto ovvio del vivere comune, anzi spesso viene perfino negata, derisa, emarginata e ridicolizzata. Ciò fu sottolineato da Benedetto XVI quando, indicendo l’Anno della Fede (2012), scrisse: «Mentre nel passato era possibile riconoscere un tessuto culturale unitario, largamente accolto nel suo richiamo ai contenuti della fede e ai valori da essa ispirati, oggi non sembra più essere così in grandi settori della società, a motivo di una profonda crisi di fede che ha toccato molte persone»

<…> Si tratta dunque di grandi sfide e di necessari equilibri, molte volte non facili da realizzare, per il semplice fatto che, nella tensione tra un passato glorioso e un futuro creativo e in movimento, si trova il presente in cui ci sono persone che necessariamente hanno bisogno di tempo per maturare; ci sono circostanze storiche da gestire nella quotidianità, perché durante la riforma il mondo e gli eventi non si fermano; ci sono questioni giuridiche e istituzionali che vanno risolte gradualmente, senza formule magiche o scorciatoie.

 

C’è, infine, la dimensione del tempo e c’è l’errore umano, coi quali non è possibile né giusto non fare i conti perché fanno parte della storia di ciascuno. Non tenerne conto significa fare le cose astraendo dalla storia degli uomini. Legata a questo difficile processo storico, c’è sempre la tentazione di ripiegarsi sul passato (anche usando formulazioni nuove), perché più rassicurante, conosciuto e, sicuramente, meno conflittuale. Anche questo, però, fa parte del processo e del rischio di avviare cambiamenti significativi.

 

Qui occorre mettere in guardia dalla tentazione di assumere l’atteggiamento della rigidità. La rigidità che nasce dalla paura del cambiamento e finisce per disseminare di paletti e di ostacoli il terreno del bene comune, facendolo diventare un campo minato di incomunicabilità e di odio. Ricordiamo sempre che dietro ogni rigidità giace qualche squilibrio. La rigidità e lo squilibro si alimentano a vicenda in un circolo vizioso. E oggi questa tentazione della rigidità è diventata tanto attuale.

 

Il Cardinale Martini, nell’ultima intervista a pochi giorni della sua morte, disse parole che devono farci interrogare: «La Chiesa è rimasta indietro di duecento anni. Come mai non si scuote? Abbiamo paura? Paura invece di coraggio? Comunque la fede è il fondamento della Chiesa. La fede, la fiducia, il coraggio. [...] Solo l’amore vince la stanchezza».


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