28 maggio 2023 - DOMENICA DI PENTECOSTE - MESSA DEL GIORNO (ANNO A)

Jean Restout: Pentecoste (1732)

Parigi, Museo del Louvre

 

 

PRIMA LETTURA (Atti 2,1-11)

Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi.

Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano: «Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamiti; abitanti della Mesopotamia, della Giudea e della Cappadocia, del Ponto e dell’Asia, della Frigia e della Panfilia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirene, Romani qui residenti, Giudei e proseliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio».




SALMO RESPONSORIALE (Salmo 103)


Rit. Manda il tuo Spirito, Signore, a rinnovare la terra.

 

Benedici il Signore, anima mia!
Sei tanto grande, Signore, mio Dio!
Quante sono le tue opere, Signore!
Le hai fatte tutte con saggezza;
la terra è piena delle tue creature.

Togli loro il respiro: muoiono,
e ritornano nella loro polvere.
Mandi il tuo spirito, sono creati,
e rinnovi la faccia della terra.

Sia per sempre la gloria del Signore;
gioisca il Signore delle sue opere.
A lui sia gradito il mio canto,
io gioirò nel Signore.

 

 

SECONDA LETTURA (1Corinzi 12,3b-7.12-13)

Fratelli, nessuno può dire: «Gesù è Signore!», se non sotto l’azione dello Spirito Santo.

Vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune.

Come infatti il corpo è uno solo e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche il Cristo. Infatti noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti siamo stati dissetati da un solo Spirito.



VANGELO (Giovanni 20,19-23)

La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.

Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».




In altre parole…

 

Le prime parole con cui l’evangelista Luca apre il libro degli Atti fanno da spartiacque nel mondo delle Scritture: e cioè tra tutto quello che Gesù fece e insegnò dal principio e quanto invece accadde dal giorno in cui egli fu assunto in cielo (cfr. At 1,1). Se prima siamo nell’ordine dei fatti e degli accadimenti, un passaggio radicale ci porta  nel regno della grazia e della verità, della “vita eterna”, della libertà dei figli di Dio, qualcosa non di accessorio o di migliorativo di quella che chiamiamo “esistenza terrena”, ma ordine diverso di realtà e nuova esistenza. Se vogliamo qualificare questa nuova condizione potremmo usare la parola “santità”, se questo nome non fosse già compromesso come indice di situazioni singolari ed eclatanti, per diventare invece la cifra della esistenza cristiana.

 

Sarebbe per la verità fuorviante usare lo stesso registro narrativo dei vangeli per quanto accade dopo che Gesù fu assunto in cielo, quando il Verbo di Dio che aveva assunto l’umanità viene a collocarsi come uomo alla destra del Padre. Non è più semplice fattualità da raccontare, ma evento unico di grazia che si ripercuote nel tempo attraverso manifestazioni nel Corpo del Cristo che è la chiesa e nelle sue membra, è una nuova soggettività  come risposta all’opera di Dio che è la fede: “Questa è l'opera di Dio: credere in colui che egli ha mandato” (Gv 6,29).

 

Queste considerazioni preliminari per dire che “il giorno della Pentecoste” non è poi diverso dal “giorno fatto dal Signore” con la Resurrezione di Cristo da morte e dalla stessa Ascensione, che non sono episodi da registrare separatamente, ma sono l’unico mistero di gloria e di glorificazione. Sono la sostanza viva della fede, che non va relegata a scenario religioso per manifestazioni di altro tipo. Ma è chiaro che la rivelazione di questa gloria nel suo farsi ci coinvolge come credenti ed è attraverso di noi che essa si comunica, tanto da indurre altri a glorificare il Padre che è nei cieli. Ed eccoci allora alla Pentecoste come è presentata da Luca negli Atti e come è destinata a perpetuarsi nel tempo anche attraverso noi.

 

Come per l’Ascensione, il racconto non descrive o ricostruisce fatti, ma traduce in comunicazione verbale quanto si dà nell’ordine di quel regno di Dio di cui Gesù continuava a parlare ai discepoli nelle sue diverse apparizioni, e cioè di quella realtà che non è di dominio umano ma che può essere fatta propria mediante la fede. Il messaggio che si coglie è che la comunità dei discepoli può sì ritrovarsi riunita nel cenacolo ma essa non è un cenacolo: è diaspora, è missione nella sua intima essenza e non solo come prerogativa supplementare. Non è ritrovarsi e rimanere “tutti insieme nello stesso luogo”, ma è questo vento che si abbatte impetuoso che spinge fuori “a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi”: ad andare in tutto il mondo a fare discepole tutte le genti, battezzandole nello Spirito di Gesù.

 

La Pentecoste di Jean Restout riportata sopra evidenzia il fatto che le lingue di fuoco apparse si dividono, per posarsi “su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo”: si posa su ciascuno ma tutti vengono colmati! Ciascuno col suo dono particolare ma tutto derivante e convergente nel medesimo Spirito. Così come del resto tutte le lingue si fondono nel proclamare le grandi opere di Dio. La meraviglia era che tutti coloro che parlavano erano galilei, ma ormai interiormente trasformati e proiettati in avventure insospettate, che purtroppo sono diventate ordinaria amministrazione, dove i mezzi e i modi della comunicazione sono diventati messaggi dottrinali, morali, spirituali che riportano in primo piano le nostre prestazioni e lasciano in secondo piano quella che è la vera opera di Dio in Cristo e di conseguenza in noi.

 

È quanto ci testimoniano le poche parole della prima Lettera ai Corinti, se non le leggiamo come dottrina teorica e dogmatica, ma appunto come testimonianza di vita vissuta della comunità di Corinto nella potenza dello Spirito, dove non si coglie dipendenza e passività, ma dinamicità interattiva, tanto che, se possiamo confessare “Gesù è il Signore”,  è grazie ad una mozione interiore dello Spirito che illumina  e dirige i nostri cuori, in segno di una partecipazione e comunione che interessa il tutto di tutti. È così che nella molteplicità di carismi, di ministeri e di attività da parte nostra, risalta il solo Spirito, il solo Signore e il solo Dio “che opera tutto in tutti”. Da qui la verità che “a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune”. Come la vite con i tralci, il Cristo è il corpo di cui siamo membra.  Ma anche se questo è diventato un modo di esprimersi abituale, quanto siamo distanti dal portarlo a comune coscienza: ci sono qui le infrastrutture di una chiesa nel mondo, ma quando diventeranno struttura della sua esistenza?

 

Quanto Luca ci prospetta negli Atti non sembra essere altro che la versione scenica di quanto già si era verificato la sera stessa di Pasqua nel “luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei”, appunto il cenacolo: quando improvvisamente si presenta Gesù col saluto di pace, mostrando mani e fianco in segno che è lui, il crocifisso. Le sue poche parole dicono tutto e sono la consegna finale a quegli uomini impauriti, che però ricevono ancora la sua pace, tanto che essi riescono a gioire al vedere il Signore. E le parole incisive e decisive sono queste: “Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi”.

 

Si potrebbe tornare al battesimo nel Giordano, che in qualche modo si rinnova questa volta per i discepoli come investitura e come mandato: e come allora è lo Spirito Santo ad intervenire, non come azione sporadica ma come presenza e assistenza continua. Ed anche la finalità di questo compito ci riporta al Giordano: lì c’era “l'agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo” (Gv 1,29); qui c’è il mandato di perdonare i peccati, e quando si dice che non saranno perdonati quelli a cui essi non perdoneranno, sarebbe un controsenso pensare ad un perdono negato, ma è da considerare il semplice fatto di non aver ancora ricevuto il perdono o il battesimo e lo Spirito Santo. In qualche modo questa precisazione avvalora il compito ricevuto. Se poi vogliamo dare un senso meno convenzionale al “perdono dei peccati” che anche i discepoli possono amministrare, basterebbe riconsiderare come l’ha inteso e praticato Gesù, venuto per i peccatori e non per i giusti. (ABS)


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