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aprile 2023 - DOMENICA DI PASQUA - RISURREZIONE DEL SIGNORE
(ANNO A)
Giovanni Francesco Romanelli: Pietro e Giovanni al sepolcro di Cristo (1640 ca.)
Los Angeles, County Museum of Art
PRIMA
LETTURA (Atti degli Apostoli 10,34a.37-43)
In quei giorni, Pietro prese la parola e disse: «Voi sapete ciò che è accaduto in tutta la Giudea, cominciando dalla Galilea, dopo il battesimo predicato da Giovanni; cioè come Dio consacrò in Spirito Santo e potenza Gesù di Nàzaret, il quale passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui.
E noi siamo testimoni di tutte le cose da lui compiute nella regione dei Giudei e in Gerusalemme. Essi lo uccisero appendendolo a una croce, ma Dio lo ha risuscitato al terzo giorno e volle che si manifestasse, non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio, a noi che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti.
E ci ha ordinato di annunciare al popolo e di testimoniare che egli è il giudice dei vivi e dei morti, costituito da Dio. A lui tutti i profeti danno questa testimonianza: chiunque crede in lui riceve il perdono dei peccati per mezzo del suo nome».
SALMO RESPONSORIALE (Salmo 117)
Rit. Questo è il giorno che ha fatto il Signore:
rallegriamoci ed esultiamo.
Rendete grazie al Signore perché è
buono,
perché il suo amore è per sempre.
Dica Israele:
«Il suo amore è per sempre».
La destra del Signore si è innalzata,
la destra del Signore ha fatto prodezze.
Non morirò, ma resterò in vita
e annuncerò le opere del Signore.
La pietra scartata dai costruttori
è divenuta la pietra d’angolo.
Questo è stato fatto dal Signore:
una meraviglia ai nostri occhi.
SECONDA LETTURA (Colossési 3,1-4)
Fratelli, se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù,
dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; rivolgete il pensiero
alle cose di lassù, non a quelle della terra.
Voi infatti siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio! Quando Cristo, vostra vita, sarà manifestato, allora anche voi apparirete con lui nella gloria.
VANGELO (Giovanni 20,1-9)
Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al
sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la
pietra era stata tolta dal sepolcro.
Corse allora e andò da Simon Pietro e
dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro:
«Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove
l’hanno posto!».
Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al
sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo
corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si
chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. Giunse intanto anche
Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i
teli posati là, e il sudario - che era stato sul suo capo - non
posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte.
Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti.
In altre parole…
Per quanto cruenta e crudele, la morte in croce di Gesù rimane comunque nella sfera umana ed ha una sua comprensibilità storica, anche se fin da subito si intravedono in essa risvolti di mistero, tracce di opera di Dio. Basterebbe questa annotazione del vangelo di Marco per rendercene conto: “Allora il centurione che gli stava di fronte, vistolo spirare in quel modo, disse: «Veramente quest'uomo era Figlio di Dio!»” (Mc 15,39). Non possiamo nasconderci neanche l’agitazione generale e controversa di un intero popolo. Un punto interrogativo che rimane in piedi anche per noi, che magari abbiamo congelato e sacralizzato il dibattito sulla “Parola della croce”, che oramai poco o niente dice al mondo, data anche la reticenza dei credenti.
Meno vistoso ma non meno agitato e acceso il dibattito che nasce al mattino di Pasqua e che si prolunga nel tempo, relativo all’evento che prenderà il nome di Resurrezione, anche questo fissato nel proprio immaginario religioso, ma in realtà depotenziato della sua carica dirompente. Dai vangeli possiamo cogliere l’animazione, le incertezze, le diffidenze, i dissensi, le illuminazioni improvvise davanti a questo dato del tutto inedito e irriducibile a prove o smentite: qualcosa che interpella la coscienza di ogni uomo di buona volontà e illumina ogni credente o aspirante tale. Ma a parte i dati evangelici, il coinvolgimento in simile evento è inevitabile, e mobilita fin da subito alla partecipazione in atto di professione di fede: siamo in un ordine inedito di realtà, in cui bisognerebbe imparare a rimanere, perché non si tratta di un punto rilevante da collocare nel proprio universo religioso, ma si tratta proprio di questo universo emergente da abitare in tutta la nostra esistenza umana. Ed anche la sua traduzione “religiosa” è sì funzionale, ma sempre ingannevole!
Non è da pensare di essere davanti a qualcosa di definito e di chiuso di cui prendere atto e basta, e magari farne oggetto di belle considerazioni edificanti: siamo davanti alla massima e imprevedibile espressione della potenza di Dio – di ciò che egli è per se stesso ma riversato sul mondo. Non è qualcosa di accessorio a quella che chiamiamo creazione: è una nuova creazione, la nascita di un uomo nuovo o nuovo Adamo. È un piano diverso di realtà in cui entrare e da abitare, tutt’altro che figurativo e simbolico ma realtà viva e piena, che non si spiega e non si conquista, ma in cui “viviamo, ci muoviamo e siamo” (At 17,28).
È una nuova esistenza concentrata nel Risorto ma offerta indistintamente a tutti come grazia che sopravviene, al di là di perfezionismi spirituali e irreprensibilità morali. Si potrebbe dire che è la sfera dell’amore sostanziale e creativo, che anima tutte le cose e che ci solleva dalla condizione umana, per farci “entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio” (Rm 8,21). È chiaro che è qui il culmine della manifestazione della gloria ed opera di Dio, in cui siamo però totalmente coinvolti. Non sappiamo come tutto ciò si verifichi in quello che la liturgia ci fa celebrare come “giorno fatto dal Signore”. Possiamo intravedere come questo nuovo mondo viene scoperto e come ne abbiamo notizia.
Atteniamoci pure alla narrazione evangelica e alle sue dinamiche psicologiche e comportamentali su cui potremmo soffermarci come esercizio esegetico. Di fatto, il momento decisivo e rivelativo è quando Giovanni, entrato nel sepolcro vuoto, ci dice di sé che “vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti”. Sì, ci sono dei segni ben precisi da interpretare, ma alla fine scatta una presa di coscienza, quando gli occhi si aprono, e allora quanto era detto nella Scrittura – nel disegno salvifico di Dio – appare compiuto: dove non è tanto la Scrittura a portarci alla realtà quanto piuttosto è la presa d’atto dell’evento a far comprendere anche la Scrittura. In effetti, in una comunicazione di fede chi saprebbe distinguere se è la Scrittura a portarci alla fede o la fede ad aprirci alla Scrittura?
Pietro e Giovanni che arrivano al sepolcro dopo l’allarme di Maria, sono il primo anello di questa comunicazione di fede. Diversamente da quella di Giovanni, la testimonianza di Pietro va al di là del fatto personale, per diventare annuncio pubblico anche al di fuori della cerchia dei discepoli. Egli è pronto a testimoniare quanto è accaduto a Gesù di Nazaret in tutta la Giudea cominciando dalla Galilea, “perché Dio era con lui”; ma questo essere di Dio con lui non termina nel beneficare e risanare coloro che stavano sotto il potere del diavolo, se ad essere vinta non sarà la morte stessa “entrata nel mondo per invidia del diavolo” (Sap 2,24). Il fatto che Dio ha risuscitato il suo Figlio da morte secondo le Scritture non può rimanere patrimonio di una diversa confessione religiosa, ma è qualcosa da annunciare al popolo attraverso testimoni prescelti, non però come dottrina, non come semplice culto, non come itinerario spirituale, ma semplicemente perché prescelti da Dio come coloro che hanno “mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti”: annunciare al popolo e testimoniare il nuovo giorno fatto dal Signore, in cui si entra e si vive mediante la fede il lui, che assicura il “perdono dei peccati per mezzo del suo nome”.
C’è qui in embrione tutto il senso organico della “convocazione” del nuovo Popolo di Dio, là dove la chiesa trova il suo fondamento e la sua ragion d’essere nel mondo: niente di spiritualistico e di miracolistico, ma Regno di Dio in atto. E se la sua manifestazione non è immediatamente per tutto il popolo - quasi fosse fenomeno di massa - l’annuncio è destinato a tutto il popolo e al mondo intero. E se gli stessi vangeli nascono da e intorno all’evento del Risorto, di qui e per questo nasce anche una chiesa, qualcosa che non avviene sopra la nostra testa ma ci chiama in causa totalmente. Il fatto che questa nel tempo si sia quasi fossilizzata nei suoi assetti di potere e abbia perso la vitalità originaria non ci deve far dimenticare la sua genesi: a fronte di una predicazione spirituale, devozionale, moralistica, esortativa ed umanitaria, dov’è in effetti una “predicazione apostolica” vera e propria, da cui tutto dovrebbe scaturire? Non è a questa che bisognerebbe tornare al di là di ogni efficientismo pastorale di conservazione? A parte la qualità della fede celebrata che lascia a desiderare, il fatto è che anche la necessità di riqualificare la predicazione vera e propria non viene neanche presa in considerazione! Troppi alibi e troppa ostentazione, ma è chiaro che se qualcosa deve succedere non può avvenire senza una nostra convinzione e decisione in proposito. Non in maniera volontaristica ed opzionale, ma come esercizio di dignità e di libertà.
Le poche parole della lettera ai Colossesi ci dicono ancora una volta quale è l’esistenza cristiana dentro il quadro di una chiesa che confessiamo ”apostolica”, purché non vengano intese come aspirazione celestiale e non invece come presa di coscienza della nostra condizione di “risorti con Cristo”, nostra vita, in cui tutta la nostra storia si sviluppa. Verrebbe da ripetere che un radicale rinnovamento della chiesa esistente - la “rivoluzione copernicana” di perduta memoria - non può non scaturire dalla Resurrezione, che è quanto di più incondizionato e liberante ci possa essere. Il Cristo risorto relativizza anche la morte! (ABS)