10 aprile 2022 - DOMENICA DELLE PALME (ANNO C)
Commemorazione dell'ingresso di Gesù in Gerusalemme

 

 

Pietro Lorenzetti: Entrata di Cristo a Gerusalemme (1310-1319 circa)

Assisi, Basilica inferiore di San Francesco

 

ANTIFONA

Osanna al Figlio di Davide.
Benedetto colui che viene nel nome del Signore:
è il Re d'Israele.
Osanna nell'alto dei cieli. (Mt 21,9)

VANGELO (Luca 19,28-40)

In quel tempo, Gesù camminava davanti a tutti salendo verso Gerusalemme. Quando fu vicino a Bètfage e a Betània, presso il monte detto degli Ulivi, inviò due discepoli dicendo: «Andate nel villaggio di fronte; entrando, troverete un puledro legato, sul quale non è mai salito nessuno. Slegatelo e conducetelo qui. E se qualcuno vi domanda: “Perché lo slegate?”, risponderete così: “Il Signore ne ha bisogno”».

Gli inviati andarono e trovarono come aveva loro detto. Mentre slegavano il puledro, i proprietari dissero loro: «Perché slegate il puledro?». Essi risposero: «Il Signore ne ha bisogno».
Lo condussero allora da Gesù; e gettati i loro mantelli sul puledro, vi fecero salire Gesù. Mentre egli avanzava, stendevano i loro mantelli sulla strada. Era ormai vicino alla discesa del monte degli Ulivi, quando tutta la folla dei discepoli, pieni di gioia, cominciò a lodare Dio a gran voce per tutti i prodigi che avevano veduto, dicendo:

«Benedetto colui che viene,
il re, nel nome del Signore.
Pace in cielo
e gloria nel più alto dei cieli!».

Alcuni farisei tra la folla gli dissero: «Maestro, rimprovera i tuoi discepoli». Ma egli rispose: «Io vi dico che, se questi taceranno, grideranno le pietre».

 

 

In altre parole…

 

È un momento di partecipazione in cui la religiosità popolare viene a coincidere col significato liturgico della Domenica delle Palme: qualcosa che meriterebbe d’essere decifrato, se non fossimo abituati a dare tutto per scontato. Ecco perché non necessariamente tutto questo aiuta ad entrare nel mistero profondo che si celebra con l’ingresso di Gesù a Gerusalemme, dove si percepisce che qualcosa di decisivo si fa presente. È significativo anche il fatto che la liturgia si apra non con tanti preliminari ma con la proclamazione del vangelo!

 

La splendida interpretazione pittorica del Lorenzetti ci lascia capire che non è un ingresso trionfale, anche se osannante: né si tratta di un semplice fatto di cronaca da illustrare, ma di un evento carico di pathos, di tensioni e di annunci. È come un intreccio umano e storico in cui si gioca l’evento della salvezza: se da una parte abbiamo il senso di un cammino fatto nel tempo, dall’altra si dischiude l’ora suprema, segnata e attesa del Figlio dell’uomo, che porta a compimento l’opera e il disegno del Padre nella storia.

Viene da ripensare a quanto si legge in Luca 9,51: “Poi, mentre si avvicinava il tempo in cui sarebbe stato tolto dal mondo, Gesù si mise risolutamente in cammino per andare a Gerusalemme”. Questo l’evangelista lo dice a posteriori, dopo che anche i discepoli sembrano aver preso coscienza di quanto avesse vissuto il loro Maestro giorno per giorno, qualcosa che rimaneva chiuso ai loro occhi ed a cui erano come  refrattari: si trattava del senso più profondo del “segreto messianico” nella sua piena attualità sia da parte di chi – il sommo sacerdote della nuova Alleanza – “vive sempre per intercedere per loro” (Eb 7,25), e sia per quanto riguarda “quelli che per mezzo di lui si avvicinano a Dio” (ib.).

Ed allora possiamo ritrovarci anche noi, come i discepoli di allora, a rivivere gli stessi smarrimenti, il conflitto interiore di chi con lui ci vuole stare, ma non sa come farcela a stare. Egli intanto continua a sconcertarci con le sue decisioni sempre più imprevedibili, ma che a questo punto non possono essere più addolcite. Tante volte aveva attenuato la durezza oggettiva dei suoi annunci messianici, così come tante volte si era sottratto all’ora decisa da altri, a cominciare dalla sua prima apparizione alla sinagoga di Nazaret. Ormai non più e a decidere è lui, nella sua assoluta solitudine e libertà, di andar avanti per la sua strada, incurante di come i discepoli potessero prenderla e indifferente a quanto gli potesse derivare di osanna o di condanna da chi lo cercava e circondava con sentimenti diversi. Non possiamo dimenticare che da bambino questo Gesù è stato presentato da Simeone come “segno di contraddizione”, mentre Giovanni riassume nella parola “dissenso” (Gv 7,43; 10,19) le tensioni e i contrasti che ha dovuto attraversare.

Egli ha fatto di tutto per superare fraintendimenti, equivoci, ritorsioni ed essere inteso come voce di verità, ma alla fine ha come tirato i remi in barca, è rientrato nel suo silenzio e ha dato via libera a tutta la sua libertà per consegnarsi volontariamente “nelle mani degli uomini” (Cfr. Mt 17,22; Mc 9,31; Lc 9,44). Il fatto di vederlo camminare davanti a tutti salendo verso Gerusalemme, di procurarsi da sé un puledro “sul quale non è mai salito nessuno” - chiaro simbolo del Messia che viene - il fatto di lascarsi osannare dalla folla e di consentire a tutta la folla dei discepoli qualche residua illusione di Messia trionfante, tanto che “cominciò a lodare Dio a gran voce per tutti i prodigi che avevano veduto”: tutto questo, più che voler determinare il corso degli eventi a proprio piacimento, ce lo presenta  come ormai abbandonato  alla sua “ora”, da vivere in assoluta unione col Padre, ad esclusione di ogni umano sostegno.

Neanche il prevedibile invito dei farisei a far desistere dall’osanna quei discepoli lo trova consenziente, salvo qualche parola di replica, perché ormai a parlare saranno solo le pietre e non più consensi e plausi: quelle pietre da cui Dio “può far sorgere dei  figli di Abramo” (Mt 3,9) e che satana invita a far diventare pane (cfr. Mt 4,3), e che “i Giudei presero di nuovo per lapidarlo” (1Gv 10,31). Così come parlerà la grossa pietra sigillata e poi trovata rimossa dal sepolcro! Abbiamo davanti un Gesù che non ci viene meno, ma che forse è stanco di venirci incontro sempre secondo le nostre illusorie attese e pretese, e finalmente sembra presentarsi in tutta la sua autonomia e determinazione nel suo cammino verso Gerusalemme.

Emerge qui un richiamo: se il volto di Cristo sia quello che proiettiamo noi su di lui a nostra immagine e somiglianza, o se dobbiamo desiderare e cercare quello che ci presenta lui interiormente dal vivo. Non presumiamo troppo di aver compreso tutto di lui, quando invece egli è tutto proteso alla conoscenza del Padre a cui ci vuol portare? Giovanni ci indica quale dovrebbe essere anche per noi il cammino da fare: “Ora siamo figli di Dio, ma non è stato ancora manifestato ciò che saremo. Sappiamo che quando egli sarà manifestato saremo simili a lui, perché lo vedremo com'egli è” (1Gv 3,2).

Al di là di ogni spiritualismo e moralismo, c’è da dire che ci sono troppe immagini di Cristo Pantocratore nelle absidi di chiese, icone che si moltiplicano e che fissano aspetti e gesti singoli del Salvatore, troppe sacre oleografie a favore di devozioni varie, tanto estetismo religioso dentro musei, a tutto danno di un rapporto aperto e vero con colui che è luce del mondo che illumina ogni uomo. Un eccesso di venerazione, di culto, di esaltazione oscura la nuda realtà di questo Figlio dell’uomo che ci vuole semplicemente solidali con lui nel suo modo di essere Figlio dell’uomo.

Diciamoci pure che il nome di Gesù è troppo compromesso da quanto gli viene sovrapposto e da chi gli sta intorno in maniera sbagliata: mentre sarebbe davvero necessario farlo risuonare nel mondo come Parola vivente del Padre e come “il vangelo eterno, per annunciarlo a quelli che abitano sulla terra, a ogni nazione, tribù, lingua e popolo” (Ap 14,6). Non è solo qualcosa da fare o un proposito da attuare, ma diventare discepoli un modo del tutto diverso! Ma forse ci vuole più iniziativa interiore e meno inerzia rispetto a quanto celebriamo da estranei. (ABS)


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