25 dicembre 2020 - NATALE DEL SIGNORE - MESSA DEL GIORNO

 

François Boucher: La Luce del mondo (1750)

 

PRIMA LETTURA (Isaia 52,7-10)

 

Come sono belli sui monti

i piedi del messaggero che annuncia la pace,

del messaggero di buone notizie che annuncia la salvezza,

che dice a Sion: «Regna il tuo Dio».

Una voce! Le tue sentinelle alzano la voce,

insieme esultano,

poiché vedono con gli occhi

il ritorno del Signore a Sion.

Prorompete insieme in canti di gioia,

rovine di Gerusalemme,

perché il Signore ha consolato il suo popolo,

ha riscattato Gerusalemme.

Il Signore ha snudato il suo santo braccio

davanti a tutte le nazioni;

tutti i confini della terra vedranno

la salvezza del nostro Dio.

 

 

SALMO RESPONSORIALE (Salmo 97)

 

R. Tutta la terra ha veduto la salvezza del nostro Dio.

 

Cantate al Signore un canto nuovo,

perché ha compiuto meraviglie.

Gli ha dato vittoria la sua destra

e il suo braccio santo.

 

Il Signore ha fatto conoscere la sua salvezza,

agli occhi delle genti ha rivelato la sua giustizia.

Egli si è ricordato del suo amore,

della sua fedeltà alla casa d’Israele.

 

Tutti i confini della terra hanno veduto

la vittoria del nostro Dio.

Acclami il Signore tutta la terra,

gridate, esultate, cantate inni!

 

Cantate inni al Signore con la cetra,

con la cetra e al suono di strumenti a corde;

con le trombe e al suono del corno

acclamate davanti al re, il Signore.

 

 

SECONDA LETTURA (Ebrei  1,1-6)

 

Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha stabilito erede di tutte le cose e mediante il quale ha fatto anche il mondo.

Egli è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza, e tutto sostiene con la sua parola potente. Dopo aver compiuto la purificazione dei peccati, sedette alla destra della maestà nell’alto dei cieli, divenuto tanto superiore agli angeli quanto più eccellente del loro è il nome che ha ereditato.

Infatti, a quale degli angeli Dio ha mai detto: «Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato»? e ancora: «Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio»? Quando invece introduce il primogenito nel mondo, dice: «Lo adorino tutti gli angeli di Dio».

 

 

VANGELO (Giovanni 1,1-18)

 

In principio era il Verbo,

e il Verbo era presso Dio

e il Verbo era Dio.

Egli era, in principio, presso Dio:

tutto è stato fatto per mezzo di lui

e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.

In lui era la vita

e la vita era la luce degli uomini;

la luce splende nelle tenebre

e le tenebre non l’hanno vinta.

Venne un uomo mandato da Dio:

il suo nome era Giovanni.

Egli venne come testimone

per dare testimonianza alla luce,

perché tutti credessero per mezzo di lui.

Non era lui la luce,

ma doveva dare testimonianza alla luce.

Veniva nel mondo la luce vera,

quella che illumina ogni uomo.

Era nel mondo

e il mondo è stato fatto per mezzo di lui;

eppure il mondo non lo ha riconosciuto.

Venne fra i suoi,

e i suoi non lo hanno accolto.

A quanti però lo hanno accolto

ha dato potere di diventare figli di Dio:

a quelli che credono nel suo nome,

i quali, non da sangue

né da volere di carne

né da volere di uomo,

ma da Dio sono stati generati.

E il Verbo si fece carne

e venne ad abitare in mezzo a noi;

e noi abbiamo contemplato la sua gloria,

gloria come del Figlio unigenito

che viene dal Padre,

pieno di grazia e di verità.

Giovanni gli dà testimonianza e proclama:

«Era di lui che io dissi:

Colui che viene dopo di me

è avanti a me,

perché era prima di me».

Dalla sua pienezza

noi tutti abbiamo ricevuto:

grazia su grazia.

Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè,

la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.

Dio, nessuno lo ha mai visto:

il Figlio unigenito, che è Dio

ed è nel seno del Padre,

è lui che lo ha rivelato.

 

 

In altre parole…

 

Abbiamo un Dio che ha ripetutamente parlato ai padri per mezzo dei profeti, ma che ormai parla a noi per mezzo del Figlio, il Cristo Gesù. Cerchiamo di superare lo smarrimento davanti ad un’affermazione del genere, ma anche guardiamo di sottrarci ad approssimazioni verso una Parola di Dio, che è diluita in soluzioni di ogni genere, dimenticando che essa è prima di tutto l’”unigenito Figlio di Dio”, come confessiamo nel Credo. Succede infatti questo: che, per la preoccupazione di rendere la Parola di Dio plausibile e significativa secondo nostre chiavi di comprensione, di fatto la snaturiamo: l’attenzione a quanto essa dice lascia in ombra chi lo dice.

 

C’è infatti la tendenza a rifarsi alle parole in cui si esprime  alla stessa maniera in cui una volta si partiva dal magistero della chiesa e dal catechismo, con la stesa logica deduttiva di far discendere di lì tutto quello che ci sembra rispondere a nostre prospettive di buonismo, di spiritualismo, di moralismo, di perbenismo religioso. Insomma la Parola di Dio farebbe da cornice alle nostre visioni di vita, contrariamente a quanto Paolo dice ai Galati: “E invero, fratelli, io vi dichiaro che l'Evangelo da me annunziato non è secondo l'uomo; poiché io stesso non l'ho ricevuto né l'ho imparato da alcun uomo, ma l'ho ricevuto per rivelazione di Gesù Cristo” (Gal.1,11-12). Sembra insomma che la preoccupazione maggiore sia che il vangelo torni “secondo l’uomo”, sia pure in chiave religiosa ed ecclesiale.

 

Una netta inversione di tendenza ce la offre invece San Giovanni,  che partendo dal basso tende a ciò che è al principio, come dichiara in apertura della sua prima lettera: “Quel che era dal principio, quel che abbiamo udito, quel che abbiam veduto con gli occhi nostri, quel che abbiamo contemplato e che le nostre mani hanno toccato della Parola della vita noi l'annunziamo anche a voi” (1Gv 1,1.3). È importante stare a quello che ci è dato di sperimentare, da cui non alienarsi, perché si possa cogliere quanto la Parola della vita lascia intuire di se stessa attraverso segni, gesti, parole con cui entra nella nostra sfera  di  esperienza.

 

È quello che Giovanni fa nel suo vangelo quando, a partire dalla sua convivenza con l’uomo Cristo Gesù, ne registra la vicenda nella sua effettiva storicità oltre la mera cronaca, per entrare nel mistero che abita quell’uomo e che egli intravede in trasparenza dal vivo: le parole d’apertura del suo vangelo, un prologo che sembra piuttosto una post-fazione, non sono, come può apparire, una elucubrazione per intellettuali, ma sono la testimonianza di una esperienza vissuta e di una rivelazione inesauribile, che lo fa risalire alla fonte.

 

Il suo non è un partire per la tangente verso mondi spirituali inaccessibili, ma mettersi in cammino tra luci e ombre, tra eventi e Parola di vita: è il cammino della chiesa di in un suo passaggio decisivo ed emblematico, al momento in cui è tentata di scindere il Cristo o in senso umano o in senso divino, che è il rischio che corriamo con scarsa consapevolezza. Quindi niente paura a rispecchiarsi nel prologo di Giovanni, che aiuta a leggere la nostra situazione di fede, nella comprensione del mistero che è “Cristo in noi, speranza di gloria” (Col 1,26): e questo sulla base della sua storia come luogo di rivelazione.

 

In queste parole del prologo c’è scritta tutta la nostra condizione umana da riportare al suo principio eterno, alle scaturigini dell’esistenza e della redenzione: là dove la comunicazione che nasce e si consuma in Dio si sprigiona e si diffonde come mondo; quando la parola che egli dice a se stesso – il suo Verbo – si esprime e si manifesta nella creazione di tutte le cose, quasi rinnovando gli inizi, quando “nel principio Iddio creò i cieli e la terra” (Gn 1,1).

 

Ma anche se le prime parole del prologo sono l’apertura del discorso, sono di fatto il punto di arrivo e di ritorno di tutta la rivelazione del vangelo di Giovanni, che non dobbiamo considerare solo come testo di apprendimento o di racconto, ma come processo in cui lasciarci coinvolgere per una elementare esistenza cristiana, tutt’altro che un lusso o una singolarità spirituale! Per cui non è da escludere una rilettura del testo dal fondo, per risalire il corso stesso della storia del mondo nella luce di Cristo secondo verità.

Si tratta infatti di questo: che “Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato”. E questa rivelazione non è altro che il riversarsi in noi di quella grazia e verità che prendono il posto della Legge di Mosè come via di salvezza. E questo ad opera di colui che il Battista aveva testimoniato venire dopo di lui. Mentre Giovanni evangelista si fa interprete di quanti hanno fatto la sua stessa esperienza e dice anche a nome loro: “E noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità”.

Gloria, grazia, verità: sono le parole chiave di lettura di tutto il IV vangelo, e parlano di quel Gesù che quei testimoni hanno conosciuto come rivelazione luminosa di Unigenito del Padre, donatore di spirito e di verità, qualcosa che fa gravitare anche noi nella sfera del Padre: “La nostra comunione è col Padre e col suo Figliuolo, Gesù Cristo” (1Gv 1,3). E tutto questo – ecco il punto centrale – grazie al fatto che  l’esistenza e la condizione umana di quel Gesù era sotto gli occhi di tutti, ma ad essi lasciava percepire che fosse la stessa Parola di Dio in persona: il Verbo fatto carne che aveva preso dimora tra gli uomini e che conviveva con loro.

Questa Parola di verità è presente nel mondo come luce che illumina ogni uomo, tanto che dirà di sé: “Mentre sono nel mondo, io sono la luce del mondo” (Gv 9,5; 8,12). Ma il dramma è che proprio nella sua dimora – il mondo dei suoi e della Legge - non viene riconosciuta e accolta come dono di grazia e di verità. Mentre chi si apre ad essa con la fede nel suo nome riceve il potere di diventare figlio di Dio o figlio della luce. E questo perché nel Verbo era la vita, e questa vita era la luce degli uomini. Questo ci assicura Giovanni sulla base di una esperienza condivisa, e ci dice che per quanto possa essere rifiutata e temuta, questa luce splende nelle tenebre e non può essere offuscata. È come se in una nuova creazione venisse ripetuto il “fiat lux”, sia la luce!

Questo porta a riconoscere che tutte le cose sono create dalla sapienza e dalla potenza di questa Parola viva ed efficace, Parola che è spirito e vita senza cui nulla è stato fatto di ciò che esiste. Ritrovarsi e riconoscersi creati non vuol dire sentirsi gettati nel mondo a caso e abbandonati a se stessi, ma il fatto di esistere è il presupposto perché si possa entrare in relazione personale con colui che ci ha creati, per essere partecipi della sua stessa vita e godere della sua luce: attraverso le cose tutte si fa sentire la voce del Verbo di Dio che è vicino e parla a noi.

Ma al tempo stesso dobbiamo prendere atto che non si deve parlare del Verbo di Dio solo in funzione nostra, in quanto egli è sussistente, ha cioè una sua irriducibilità ed incondizionata “alterità” o “a-priorità” che lo avvicina a Dio ed è Dio stesso. In genere si dice che è Dio fatto uomo, ma nella prospettiva di Giovanni forse è più giusto dire che è l’uomo elevato a Dio, nel senso che “in principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio”. Affermazioni che sembrano buttate lì e da lasciare all’attenzione di qualche appassionato, mentre sono la misura ultima di tutte le cose e di noi stessi. Colui che ha dimorato tra noi – noi “che abbiamo mangiato e bevuto con lui” (At 10,41) - è lo stesso che siede ora “alla destra della maestà nell’alto dei cieli, divenuto tanto superiore agli angeli quanto più eccellente del loro è il nome che ha ereditato”.

Volendo focalizzare la nostra attenzione su un punto centrale per essere solidali nel vivere il mistero del Natale, l’augurio è di poter ripetere: “E noi abbiamo contemplato la sua gloria”. Uno sguardo all’immagine di François Boucher “La Luce del mondo” ci riporta al Natale come un venire alla luce e sorgere del giorno con la nascita del Salvatore. E allora “tutti i confini della terra vedranno la salvezza del nostro Dio”. (ABS)


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