Koinonia Gennaio 2024


L’ALTRA FACCIA DELL’ANGELICO*

Vita, passioni, tormenti (e pure eresie) di Tommaso, sommo teologo

 

Chi era veramente l’Aquinate? Il personaggio puro e casto gli fu cucito addosso dagli agiografi per giustificarne la canonizzazione, che avveniva 700 anni fa. Ma la sua storia è ben più complessa

Ha fatto tanti miracoli quanti articoli ha scritto!”: sembra abbia tuonato così papa Giovanni XXII al processo di canonizzazione di Tommaso d’Aquino rivolgendosi all’avvocato, il cosiddetto “avvocato del diavolo”, che si era permesso di fargli notare come fra’ Tommaso di miracoli ne aveva fatti pochi: ogni articolo è un miracolo, aveva replicato il papa, e quindi i miracoli erano migliaia. Strano. Perché i manoscritti di Tommaso d’Aquino che ci sono pervenuti sono pieni di cancellature, correzioni e la maggior parte degli articoli è stata chiaramente riscritta tre e spesso quattro volte. Se furono miracoli, certo Dio onnipotente dovette fare non poca fatica, visto che, stranamente, non gli riuscirono al primo tentativo. Eppure la Chiesa mai ha avuto dubbi a proposito dell’ispirazione divina dell’opera dell’Aquinate, tanto che, per citare solo un esempio, al Concilio di Trento (XVI secolo) la sua Somma di Teologia fu esposta addirittura sull’altare insieme alla Bibbia.

I suoi manoscritti che ci sono pervenuti sono pieni di cancellature e la maggior parte degli articoli è stata chiaramente riscritta tre o quattro volte

Quasi mai, a onor del vero. Perché diversi degli articoli cosiddetti “ispirati” di Tommaso furono condannati nel XIII come eretici dal vescovo di Parigi mentre Tommaso era ancora in vita e poi ben altre tre volte a Parigi e a Canterbury pochi anni dopo la sua morte. E il maestro domenicano Richard Knapwell, per essersi rifiutato di condannare Tommaso d’Aquino – ripeto: rifiutato di condannare – fu dapprima scomunicato e poi, per gentile concessione del papa che gli tolse la scomunica, condannato al silenzio perpetuo (il poveretto a quel punto si ritirò a Bologna, morendovi pazzo nel 1286 e, narrano le cronache, di una morte, per pudore non meglio specificata, “orribile”). La questione è certo quella della coerenza della Chiesa, che prima condanna e poi santifica o, come il Dio di Manzoni, “atterra e suscita, affanna e consola” (sebbene nessuno santificò, suscitò o consolò il povero Knapwell nemmeno dopo morto). Tuttavia, visto che l’incoerenza della Chiesa non fa certo notizia, la vera questione qui è l’enorme discrepanza tra il Tommaso raccontato dopo la santificazione e il Tommaso reale. Le origini di questa discrepanza vanno ricercate concretamente in quei trentasette anni che separano la morte di Richard Knapwell, nel 1286, dalla canonizzazione di Tommaso d’Aquino, nel 1323, quando fra’ Tommaso da uomo in odore di eresia fu trasformato in santo.

Giovanni XXII e la sua gratitudine nei confronti dei domenicani: fece sapere di essere disponibile a fare santo uno di loro

Che cosa accadde in quegli anni? Si deve - finalmente - sapere come andarono effettivamente le cose. Un bel giorno del 1316 fu (difficoltosamente) eletto papa con il nome di Giovanni XXII il cardinale Jacques Duèze. Ora, il neo papa volle dimostrare la sua gratitudine nei confronti dei domenicani che avevano ospitato generosamente il lungo conclave nel loro convento di Lione, e fece sapere di essere disponibile a fare santo uno di loro (così andava il mondo nel secolo decimo quarto). A quel punto il re d’Aragona propose Raimondo di Peñafort. Il papa, tuttavia, non amava la casa d’Aragona ed era molto legato invece alla casa d’Angiò, sicché scartò la candidatura dello spagnolo e chiese alla regina Maria d’Angiò, vedova del re di Napoli, di fargli un nome. La regina e i suoi figli fecero il nome del napoletano fra’ Tommaso dei conti d’Aquino e il papa accettò. C’era però un piccolo problema: molti nella Chiesa lo consideravano ancora vicino all’eresia – e ci credo: i vescovi continuavano a condannarlo! – quindi bisognava creargli intorno una buona reputazione e fugare ogni sospetto sulla sua dottrina.

Guglielmo da Tocco scrisse la prima biografia di Tommaso, cucendola sul candidato alla canonizzazione secondo i criteri della curia

Fu così che Guglielmo da Tocco, non prima e a prescindere ma durante la causa di canonizzazione, scrisse la prima biografia di Tommaso, cucendola su misura sul candidato secondo i criteri della Curia pontificia di allora per essere dichiarato santo. Ma il giudice, ossia il papa, aveva già stabilito a tavolino, su richiesta della regina, l’esito della causa, e al diavolo le perplessità dell’avvocato del diavolo sui suoi miracoli! Bastava fargli avere un curriculum vitae scritto come Chiesa comanda, una Ystoria sancti Thomae de Aquino, ossia una biografia, non dico inventata ma certamente interpretata, abbellita, insomma “impupata”, come si suole dire nell’ex Regno di Sicilia, e la cosa era fatta. E siccome i criteri per diventare santo all’epoca escludevano i peccatori pentiti, come Sant’Agostino ad esempio, e, invece, esigevano candidati letteralmente impeccabili, e in particolare castissimi, ecco che, miracolosamente, la biografia risultò piena di prove di impeccabilità e di castità.

Non fu un caso, dunque, che nella Ystoria di Tocco venne messa ben in risalto la lotta vittoriosa del giovane Tommaso contro le tentazioni di una giovane bellissima, una puella pulcherrima, introdotta di nascosto dai fratelli nel castello di famiglia con l’intento di farlo desistere dal proposito di farsi frate domenicano. Non fu un caso che vi sia riportata la testimonianza del suo confessore a proposito dell’assoluta castità di Tommaso, che mai conobbe i “moti della carne” (tranne nel caso della puella pulcherrima, quando “vide e sentì risvegliarsi dentro di sé lo stimolo carnale”). E infine non fu per caso che vi si trovi in primo piano il famoso racconto degli angeli che, vinta la tentazione della puella pulcherrima, regalarono a Tommaso una invisibile ma potentissima cintura di castità, onde renderlo per sempre simile a loro, ossia angelico.

Restava però il problema del sospetto di eresia. E lì Tocco ebbe un’idea geniale, di quelle che solo a un napoletano potevano venire in mente: trasformare il motivo del sospetto, ossia le novità da lui introdotte nella dottrina cristiana tradizionale, in prova di santità: “Nel corso delle sue lezioni – scrisse – egli introduceva nuovi articoli, risolveva questioni in un modo nuovo e più chiaro con nuovi argomenti. Perciò, coloro che lo ascoltavano insegnare tesi nuove e trattate secondo un metodo nuovo non potevano dubitare – e qui arriva il colpo da maestro – che Dio non l’avesse illuminato con una nuova luce: infatti, si possono insegnare o scrivere opinioni nuove, se non si è ricevuta da Dio un’ispirazione nuova?”. Voilà: ecco trasformato un uomo in un santo senza macchia né dottrinale – fu ispirato da Dio – né morale – fu castissimo: Dottore Angelico. E la trasformazione da quel momento fu definitiva, perché la Ystoria di Tocco servì da esempio e da base per tutte le altre successive biografie di Tommaso nei secoli a venire.

Ma chi fu veramente Tommaso? Forse è venuto il momento di chiederselo, di liberarlo dalle finte narrazioni trionfalistiche da supereroe della castità e della dottrina, da supercampione della teologia, per il cui merito, come scrisse Pio V, “le eresie, vinte e confuse, si disperdono come nebbia” e “il mondo si salva ogni giorno dalla peste degli errori”. Forse, a settecento anni dalla sua canonizzazione, è tempo di rendere giustizia all’uomo che veramente fu. Il lavoro è stato già iniziato da grandi studiosi (James Weisheipl, Jean-Pierre Torrell, Pierre-Marie Gils, René-Antoine Gauthier, Ruedi Imbach, Adriano Oliva, Pasquale Porro e altri), ma molto resta ancora da fare. Manca infatti un’opera come le Confessioni di sant’Agostino, che ci avrebbe permesso di conoscere Tommaso dal di dentro della sua percezione di sé, sicché non resta che provare a ricostruire la sua vita a partire da dati storicamente accertati: gli incontri umani che fece, i libri che lesse, gli avvenimenti in cui fu coinvolto.

 

Giovanni Ventimiglia 

Il Foglio, 18 settembre 2023

 

*Sembra che san Tommaso d’Aquino torni in auge, non tanto per le ricorrenze centenarie che lo riguardano (2023 - ottavo centenario della canonizzazione; 2024 - settecentocinquant’anni dalla morte; 2025 - ottavo centenario della nascita) e che immancabilmente finiranno in celebrazioni ufficiali. L’interesse è per il suo pensiero.  Lo scorso 5 dicembre, su Avvenire troviamo un articolo di Pierfrancesco Stagi con questo titolo “Il grande ritorno del pensiero medievale per ritrovare l’unità dei saperi”, e con questa sottolinea “Tommaso d’Aquino & Co. stanno godendo di nuovo successo tra le nuove generazioni di filosofi della religione di tutto il mondo per la capacità di indagare le ‘radici’ e capire la contemporaneità”.

Siamo stati sempre dell’idea che simili risorse di pensiero - del pensare prima e del pensare la fede poi -  non siano una riserva per accademici  ma abbiano una loro valenza ecclesiale intrinseca all’esperienza di fede, in genere asfittica. Non era questa l’intenzione di san Tommaso, così come la esprime nel proemio della sua opera monumentale, la Somma teologica: “Poiché il dottore della verità cattolica deve istruire non solo gli iniziati, ma gli tocca anche insegnare ai principianti, secondo il detto dell’Apostolo: «come a neonati in Cristo, vi ho dato da bere latte, non un nutrimento solido» (cf. 1Cor 3, 1-2); l’intento che ci proponiamo in questo lavoro è di esporre ciò che concerne la religione cristiana in modo confacente alla istruzione dei principianti”. Non mancano maestri in questo campo, e questa volta abbiamo modo di affidarci fraternamente al P. Dalmazio Mongillo con una sua riflessione a sfondo pastorale ma non carente di spessore teologico. Allo stesso tempo ci capita di imbatterci in un articolo di Giovanni Ventimiglia, che aiuta a far uscire san Tommaso dal mito e dalla mistificazione per riportarlo nella sua condizione storica.

.