Koinonia Gennaio 2024


Per ricordare Giannino Piana  e il suo servizio alla Chiesa

 

UN PRETE AL SERVIZIO DELLA COMUNITÀ (II)

 

Acquisisce in tal modo consistenza reale (ovviamente senza la pretesa di esaurirlo) il concetto di “comunione”. Il rapporto tra “comunità” e “comunione” è un rapporto di interdipendenza dialettica: si va infatti dalla “comunione” alla comunità”, in quanto è la prima a orientare la seconda; e, inversamente, dalla “comunità” alla “comunione”, perché attraverso l’attuazione del tessuto comunitario si dà un volto concreto alla “comunione”, senza eliminare per questo la distanza mai del tutto colmabile tra le due e sollecitando, di conseguenza, la “comunità” ad una costante forma di metanoia. Un’analoga dialettica si ripropone peraltro sul fronte del rapporto tra la vita interna della comunità e la sua proiezione all’esterno. I legami che occorre di continuo approfondire tra i fedeli per consolidare la reciproca appartenenza non devono essere vissuti in modo chiuso e autoreferenziale, ma devono diventare il trampolino di lancio per un’apertura sempre maggiore al mondo circostante al quale le comunità cristiane devono offrire il proprio contributo per la promozione dell’unità e della pace.

Il compito del sacerdote è quello di orientare il cammino dei fedeli in questa direzione. Per dare efficacia all’esercizio del proprio servizio egli deve stare anzitutto “dentro” (non sopra) la comunità, deve farsi fedele tra i fedeli, in ascolto delle loro esigenze e con la disponibilità a dare loro una risposta plausibile. L’attuazione di questo compito esige, capacità dialogica di confronto con tutti; esige la coltivazione di un’attitudine a rimettere. di volta in volta, in discussione le proprie opinioni, uscendo da un dogmatismo autoritario, che è all’origine del clericalismo. Ma esige anche l’adozione di strategie adeguate e di strumenti istituzionali che consentano la messa in atto del progetto partecipativo delineato. Nel primo caso è indispensabile rintracciare momenti costanti di incontro, che consentano l’acquisizione di atteggiamenti di rispetto, stima e amicizia, valori che creano il clima di una vera collaborazione e rendono evidente l’importanza della corresponsabilità. Nel secondo occorre dare vita a strutture con poteri decisionali – gli attuali consigli pastorali hanno carattere esclusivamente consultivo, riservando la decisione ultima al parroco – che rinsaldano la partecipazione, mettendo tutti nella condizione di vedere riconosciuto il proprio apporto.

La seconda funzione ha come oggetto l’evangelizzazione.. Qui l’impegno del sacerdote occupa un ruolo centrale, anche se non esclusivo. L’annuncio del vangelo, che è missione di tutta la comunità, ha nel sacerdote un perno fondamentale. L’itinerario formativo di carattere teologico-pastorale lo mette infatti in grado di offrire un contributo peculiare alla crescita della coscienza religiosa. L’esercizio di questa funzione è oggi particolarmente importante. La situazione di secolarizzazione cui si è fatto cenno rende necessaria una vera ricostruzione della coscienza cristiana, a partire dalla risuscitazione della domanda di trascendenza e di assoluto – in questo senso si parla oggi di rievangelizzazione – non dando per scontato quello che scontato non è.

Si tratta dunque di partire da lontano ricreando o rigenerando quel tessuto valoriale – dalla gratuità alla disponibilità a ricevere, dalla solidarietà all’ospitalità fino al ricupero del senso del mistero – che costituisce la precondizione per aprirsi all’accoglienza del dono divino: la fede ha bisogno di un humus entro cui radicarsi e svilupparsi. Ma si tratta soprattutto di proporre il messaggio evangelico in tutta la sua radicalità e la sua bellezza, facendolo risuonare come “buona notizia” per l’uomo odierno, mettendolo perciò in stretto rapporto con le dinamiche socioculturali proprie dell’attuale situazione. La proposta cristiana non può (e non deve) certo venir fatta in modo arido e astratto; deve diventare un messaggio esistenziale che tocca le corde dell’interiorità della persona e la coinvolge in un processo di cambiamento.           

Spetta in particolare al sacerdote, grazie all’iter culturale percorso (anche se oggi fortunatamente è sempre più numeroso il numero di laiche e di laici che frequentano le facoltà teologiche o i corsi di scienze religiose), mettere a disposizione della comunità la propria competenza, raccogliendo le suggestioni che vengono dall’esperienza variegata dei fedeli, che ha origine in mondi diversi: dalla famiglia al lavoro, fino all’impegno sociale ed ecclesiale. La  Parola di Dio, che è oggi giustamente ricollocata al centro dell’annuncio, ha a che fare con la vita quotidiana di ciascuno, spingendo nella direzione di un cambiamento di mentalità e di condotta, al cui centro vi è la ricerca del Regno di Dio come Regno di giustizia, di pace e di carità.

La scelta fondamentale che occorre fare, se si intende dare corso a questa prospettiva, è quella di passare da una “pastorale dei sacramenti” a una “pastorale dell’annuncio”, non rinunciando certo all’azione sacramentale, ma non facendo di essa la prima preoccupazione – ancor oggi sembra essere questo il principale assillo della maggior parte dei sacerdoti (si pensi soltanto alla moltiplicazione delle messe) – ma inserendola all’interno di un cammino di crescita interiore e di impegno etico e civile, dando alla celebrazione, in particolare a quella eucaristica, il carattere espressivo della convergenza di una comunità vera attorno alla mensa comune per rendere trasparente il senso di una forma di comunione in cui la carità vissuta nel quotidiano trova piena espressione nell’inserimento entro la pasqua del Signore e trae da quest’ultima una rinnovata energia per proiettarsi nel mondo come strumento di unità e di solidarietà concreta. Il sacramento, ogni sacramento sia pure in forma diversa, diviene in questo modo celebrazione di una sacramentalità esercitata nella esistenza e stimolo a rendere l’esistenza una realtà sempre più sacramentale; e l’azione del sacerdote acquisisce il significato di mediazione dei misteri divini al servizio della comunità e del mondo.

 

Il valore della testimonianza

Da ultimo (ma non in ordine di importanza) – è questa la terza funzione – un posto del tutto singolare va assegnato alla testimonianza personale. Qui accanto agli habitus già ricordati, funzionali soprattutto a dare il proprio contributo alla  crescita della comunità, due virtù meritano di essere particolarmente ricordate: la povertà e la dimensione contemplativa.

La prima – la povertà – ha un vasto raggio di implicazioni che vanno dalla sobrietà di vita, con una limitazione dei beni materiali e un ridimensionamento dei bisogni, come condizione per aprirsi ai doni divini e come via per dare corso a una maggiore giustizia verso le classi più povere, fino alla rinuncia al potere inteso come esercizio del dominio per fare propria la logica della gratuità e del servizio. Quanto queste due attitudini siano attuali è del tutto evidente. Il consumismo dilagante e la ricerca sfrenata della ricchezza, nonché la volontà di potenza sono gli idoli perseguiti da molti. Il che spiega, da una parte, l’accentuarsi delle diseguaglianze sociali, e, dall’altra, il ritorno degli assolutismi economici e politici, dei nazionalismi e dei sovranismi, che non sono soltanto appannaggio di chi governa ma godono di un consenso popolare sempre più ampio.

La seconda virtù – la dimensione contemplativa – è oggi avvertita da molti, consciamente o inconsciamente, come un bisogno fondamentale di fronte al dilagare del frastuono assordante che ammorba la vita. Il disagio che cresce nelle grandi metropoli, soprattutto nelle periferie sovrabitate e anonime, manifesta la presenza di uno stato diffuso di malessere ontologico, che non raramente assume  sembianze patologiche. L’accento contemplativo di una spiritualità che non ha nulla di sacrale o di magico, ma che rende trasparente il senso del mistero e della trascendenza diviene alimento prezioso che soddisfa in chi si accosta a chi lo vive il bisogno ricordato, perché rivela il volto di Dio, la cui ricerca, per dirla con Agostino, è la radice dell’inquietudine del cuore umano.. Questo è tanto più vero quanto più ad avere il predominio nell’interpretazione della realtà sono ai nostri giorni le logiche scientiste e utilitariste, che rischiano di inaridire l’anima, sottraendola all’appagamento che viene dalla poesia e dalla contemplazione; in una parola, dalla tensione mistica, che è il momento più alto dell’esperienza religiosa.

Un prete, in definitiva, quello di oggi che, accanto alla rinuncia al ruolo autoritario del passato per servire la comunità, attraverso l’impegno a costruirla e ad evangelizzarla, deve rendere con la propria vita omaggio alla bellezza del messaggio evangelico.

 

 Giannino Piana

Esodo, n. 4/2021, "Tantum aurora est" pp. 38-43

(2.fine)

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