Koinonia Gennaio 2024


I GIOVANI E LA FEDE

 

Il giornale Avvenire ha pubblicato recentemente degli articoli a firma di Paola Bignardi su un tema estremamente interessante: i giovani e la fede. La pubblicista si è avvalsa dei risultati delle indagini dell’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo e dell’ascolto di moltissimi adolescenti tramite interviste individuali e di gruppo. E’ stato raccolto un gran numero di dati e testimonianze relative a come il mondo giovanile del terzo millennio guarda, giudica e si pone nei confronti della Chiesa, della religione, della fede e perché spesso si allontana da questo mondo. Ne è scaturito un quadro molto stimolante da considerare con particolare attenzione.

Scrive la Bignardi: certo, ognuno guarda ai giovani a cominciare da quelli che conosce e si accosta a loro attraverso il proprio vissuto e la propria personalità. Per questo c’è chi li dipinge indifferenti, superficiali, disimpegnati, mentre altri vedono in loro dei veri e propri “esploratori di un territorio nuovo”. A primo acchito potremmo pensare che le ragioni dell’abbandono dell’ambiente religioso si possano ritrovare nella mancanza di fede, nell’ateismo o nell’agnosticismo. E invece no: molti ragazzi non hanno chiuso il discorso, sono semplicemente “in ricerca”, in ricerca di qualcosa di nuovo che riempia il vuoto esistenziale che spesso si portano dentro. I vecchi modelli religiosi vanno loro stretti, sono percepiti come opprimenti, noiosi, lontani dal loro modo di guardare alla vita. Cercano con la fede, con Dio un rapporto personale; la loro idea di Dio è oggi molto diversa da quella che gli è stata presentata negli anni del catechismo. La stessa preghiera liturgica non fa più per loro. Hanno bisogno di intimità, autenticità, coinvolgimento, silenzio. Non si accontentano, vogliono qualcosa di diverso, di più profondo e personale, ma ancora non sanno bene cosa. Sanno però di andare alla ricerca di una fede gioiosa, ricca, amica della vita, diversa da quella delle precedenti generazioni.

Molti sono d’accordo nel ritenere che ciò che sono diventati come persone è dovuto in parte all’aver frequentato l’ambiente della parrocchia (catechismo, oratorio) che  ha dato loro senso di solidarietà verso gli altri e rispetto per la vita, ma quell’esperienza non ha avuto un valore religioso. Sicuramente l’abbandono di quell’ambiente è dovuto al fatto che la fede “bambina” della loro infanzia non è riuscita a fare il salto verso una fede adulta che, ad una certa età, entra in contatto col mondo della scienza, della filosofia, della storia ecc.: qui il confronto con la loro fragile fede è stato perdente perché tante domande non hanno trovato risposta.

I giovani intervistati dicono di essersi posti, crescendo, le grandi domande della vita: chi sono, da dove vengo, dove vado, cos’è la morte, da dove viene il male, chi è Dio? Spesso non hanno saputo dare delle risposte, né hanno trovato chi gliele sapesse dare. Non hanno potuto condividere con qualcuno questi grandi interrogativi esistenziali e proprio per questo vivono con un senso di precarietà, di incertezza, di paura, talvolta di angoscia. Per questi giovani non ci sono - come in passato - punti di riferimento forti che possano dar loro una mano: né sin casa, né fuori casa. L’individualismo esasperato tipico di questa società li fa sentire spesso soli; per questo hanno bisogno del gruppo come unico “luogo” in cui riconoscersi e acquistare forza e sicurezza.

Riflettiamo su un fatto: abbiamo visto in questi anni come i ragazzi amino partecipare alle Giornate mondiali della gioventù dove vivono momenti di allegria, di incontro, di comunicazione, di esperienze internazionale; al contrario li sentiamo molto critici nei confronti dell’ambiente ecclesiale che considerano freddo e poco interessante. Dicono di non sentirsi a loro agio all’interno di una Chiesa che ha un linguaggio e delle categorie mentali lontane anni luce dalle loro. L’istituzione è percepita troppo patriarcale, poco aperta al cambiamento, indietro coi tempi, lo stile ecclesiale è ritenuto noioso e chiuso. I giovani aspirano a una Chiesa gioiosa, aperta, povera, comprensiva, non politica, autentica: in una parola più aderente al Vangelo. Per questo molti la lasciano, ma il loro non è un rifiuto, ma la delusione per un amore tradito. Vogliono arrivare a Dio non attraverso esperienze altrui, ma secondo proprie modalità, in un’esplorazione personale che si compie dentro il proprio mondo interiore.

Secondo Daria Bignardi oggi la gioventù che è interessata al mondo dello spirito si accosta al trascendente attraverso modalità nuove: la bellezza, la natura, la gioia, la ricerca di benessere e armonia interiore, ma vede però il rischio che questo percorso possa condurre ad una spiritualità senza Dio, senza l’Incarnazione, legata essenzialmente alla ricerca di sé.

I giovani per loro natura sono portati a percorrere strade diverse, a fare nuove esperienze dell’anima: sono molto interessati, più che alla religione, alla spiritualità percepita come un’esperienza più libera, più personale, più intima, più rispondente alle loro esigenze. A questo proposito la Bignardi riporta alcune frasi del teologo e filosofo Thomas Halik che nel suo libro Pomeriggio del cristianesimo, scrive che “mentre le forme istituzionali della religione tradizionale ricordano sotto molti aspetti l’alveo di un fiume quasi in secca, l’interesse per la spiritualità di ogni tipo sembra una piena in precipitosa crescita che sfonda i vecchi argini e scava nuovi percorsi”. Dall’indagine risulterebbe che la domanda di spiritualità è il frutto di un’esperienza religiosa che non risponde più alle esigenze del mondo contemporaneo e che la vita cristiana non è spirituale.

I timori che la gioventù stesse andando verso una sorta di soggettivismo spiritualistico e narcisistico - scrive Daria Bignardi - estraneo alle modalità tradizionali del cristianesimo, ha portato in passato molti a guardare con forte senso critico, se non addirittura con grande severità a queste nuove esperienze, senza interrogarsi su cosa si celava, su cosa c’era dietro a tutto questo fermento.

Alla fine dei suoi interventi Daria Bignardi tira le conclusioni su questa interessante indagine sostenendo che tutto questo materiale deve concretizzarsi in prassi: i giovani hanno le loro buone ragioni e la Chiesa e le comunità cristiane hanno necessità di una “grande conversione” visto che “non curano le persone, ma gestiscono iniziative”.

La grande sfida per la Chiesa oggi è questa: “Il cuore (della conversione) non è il rito, ma il messaggio di Dio da umanizzare e rendere contemporaneo… Non crediamo in una fede fuori dal tempo perché non possiamo essere persone fuori dal tempo” come lo stesso Cristo fu un uomo del suo tempo.

 

Daniela Nucci

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