Koinonia Gennaio 2024
L’AVVENIMENTO: CRISI E “GIUDIZIO”
Il Vangelo di san Giovanni, come è stato spesso notato, si presenta come un dramma. Da quando Gesù è venuto, l’omogeneità del mondo si frantuma, “l’umanità si scinde, i partiti si spezzano” (1), l’ordine tradizionale è sconvolto. Più egli parla ed agisce, più la rottura si aggrava. Di fronte al vero, - gli uomini vengono strappati alla loro incoscienza: nelle tenebre del loro cuore, “la luce arriva come un ladro” (1 Tess. 5, 2). Rivelandosi, quest’uomo rivela i dormienti a se stessi; strappa le maschere, toglie la sicurezza, suscita scelte personali e decisive. L’avvenimento è rivelatore: i testimoni si giudicano da se stessi giudicandolo.
Come sottolinea san Giovanni, l’apparizione di Gesù si traduce innanzitutto nel sorgere del “pro” e del “contro”, del “sì” e del “no”. Ognuna delle sue apparizioni provoca nella folla “divisioni” (2) e contestazioni (3) intorno a lui. Si discute e ci si scontra. “Alcuni dicono: è un brav’uomo. - No, dicono altri, inganna il popolo”: “molti dicono: è posseduto da un demonio, delira”, ma “altri dicono: non è il linguaggio di un invasato”; alcuni si tirano indietro, altri credono (4). Nella società religiosa, che ha un suo equilibrio, si crea la falla di una tensione interna. Senza cambiare le istituzioni e senza rifiutare le leggi, Gesù trasforma dal di dentro: essendo né utopista né rivoluzionario, ma figlio di questo popolo e fedele alla sua tradizione, egli ne sposta i valori. Il solo fatto della sua venuta basta a provocare tra i suoi una “crisi” .
La falla che divide il popolo sta a significare una sfasatura ed uno sconvolgimento più profondi. Essa costituisce, pubblicamente, l’aspetto che assume una azione più incisiva. È ciò che san Giovanni chiama il “giudizio”: un discernimento delle menti, una rivelazione dei cuori cominciano già ora, con l’accoglimento o il rifiuto di cui Gesù è la causa là dove arriva. Non si tratta, come faceva vedere la letteratura apocalittica, di una lontana e spettacolare catastrofe con cui l’Eterno interromperebbe brutalmente il corso della storia e sceglierebbe i suoi. Pur riprendendola interamente, l’evangelista interiorizza qui la rappresentazione che allontana l’Avvenimento in un avvenire in cui “qualcosa” accadrà dall’esterno. La prontezza del giudizio si attualizza in un incontro con l’uomo; la scelta finale è fatta già “adesso “.
Bruscamente, Gesù separa dalla ganga l’umana e divina verità che deve essere rivelata dal confronto con lui; costringe i curiosi ed i simpatizzanti alla scelta decisiva che era ostacolata da parole senza peso, o che era ancora impedita da sogni religiosi, da ambizioni politiche, da sentimenti di colpa o da superficiali giustificazioni. Ricerca nei suoi interlocutori ciò che hanno ricevuto dal Padre suo, quello che sono realmente e quello che sono chiamati ad essere. Viene a “salvare” in essi una vita fino ad ora perduta perché non aveva mai trovato a chi rispondere. Ma questa provocazione ha anche fatto sorgere dei rifiuti che s’ignoravano. “Se non fossi venuto, se non avessi parlato loro, non avrebbero peccato” (Gv 15, 22). La sua terribile seduzione libera il libero segreto che sonnecchia nel fondo delle vite che già l’annunciano, così come la sua presenza fa apparire la verità annunciata dall’Antico Testamento.
Ci si era spesso soffermati a parlare dell’ospite che turba l’ordine del banchetto, ma la sua venuta sorprende. Perché, dunque, se non per il fatto che essa è nascosta? Egli non apre la porta alla quale era atteso. Appare fin dall’inizio come un fatto inatteso, una notte, a Betlemme. Dal principio sino alla fine - fino nella stanza in cui gli Apostoli stanno “a porte chiuse” (Gv 20, 19) - egli arriva, bruscamente. Entra nella nostra storia solo come un avvenimento di questa stessa storia. Si pensava che aprisse, che spalancasse la stanza chiusa in cui si susseguivano i nostri dibattiti e le nostre discussioni. E invece è dentro. Ed è riconosciuto solo se, invece di osservare e di tenersi alla larga dalle “cose” per “contentarsi” di vederle, i testimoni sono essi stessi colpiti dai fatti e dalle gesta del loro contemporaneo, cioè nella misura in cui l’imprevisto li ferisce fino al punto da aprire dinanzi a loro, nello stesso tempo, la via di un rinnovamento e la capacità di comprendere ciò che accade. L’avvenimento è colto soltanto se entra in una storia personale; svela il suo significato solo in proporzione ad una risposta che modifica la vita; lungi dall’essere offerto come spettacolo, esso “parla” solo se impegna.
L’esperienza evangelica, dunque, capovolge l’idea di avvenimento e quella di “prossimo”. “Chi è mio prossimo?”, veniva chiesto a Gesù (Lc 10, 29), col desiderio d’individuare, fra gli uomini, quelli che bisognava amare. Gesù risponde: chi è secondo voi il vostro prossimo? Allo stesso modo, non si può classificare a priori quali siano i “segni”, né a maggior ragione determinare immediatamente ciò che un avvenimento vuol dire, come se la chiave per interpretarlo derivasse dal fatto stesso. Nel Vangelo, la domanda è diversa, ci mette in causa: di che cosa fate voi un segno? Cos’è che diviene per voi un avvenimento? Ciò che è inedito richiede una conversione che, essa sola, farà progressivamente della novità la nostra storia e del fatto accidentale un segno. Come il miserabile sul ciglio della strada diviene “prossimo” per il Samaritano che gli si accosta, così l’iniziativa di Gesù diviene un avvenimento per gli spettatori, allorché essi vi rispondono e ne vengono cambiati. Questo “qualcosa che accade” si trasforma in rivelazione per colui che vi si impegna e che “giudica” la verità che vi scopre.
Davanti al suo popolo o ai gentili, dinanzi alla sua tradizione religiosa o ai valori umani e, per esempio, davanti alle autorità spirituali o ai rappresentanti di Roma, Gesù domanda a ciascuno di fare un passo avanti verso la verità, e questo nuovo cammino “giudicherà” le scelte reali di un uomo. “Colui che opera nella verità perviene alla luce” (Gv 3, 21).
Michel de Certeau
In AA.VV., L’avvenimento, Editrice A.V.E. 1967, pp. 41-45
(1) D. Mollat, art. Jugement, in “Supplément du Dictionnaire de la Bible”, t. 4 (1949), c. 1380.
(2) Cf. Gv 7, 43; 9, 16; 10, 19.
(3) Cf. Gv 6, 43; 7, 12.
(4) Gv 7, 12; 10, 20 e 6, 68-69. Il “pro” e il “contro” emergono anche in diversi episodi: cf. Gv 6, 41 e 52; 7,31-32; 7, 40-41; 8, 30 e 59; 9, 9; 9, 16; 10, 39-42; 11, 45 e 46; 12, 10-11; 12, 29; ecc