Koinonia Gennaio 2024


Su “Avvenire” di domenica 3 dicembre è apparso questo articolo di Paola Bignardi, conclusivo dei suoi interventi su “I giovani e la fede”, di cui Daniela Nucci ci ha parlato. È opportuno riportarlo per intero e non sarebbe male che qualche voce si facesse sentire in proposito, di giovani e non giovani, perché il problema ci tocca e ci interpella tutti indistintamente.

 

UNA GENERAZIONE IN RICERCA.

NELLE DOMANDE DEI GIOVANI C’È LA CHIESA DI DOMANI

 

Tutte le sfide aperte al termine del viaggio nel rapporto tra i ragazzi e la fede. Il Vangelo ha bisogno di loro per restare acceso

Siamo arrivati al termine del nostro percorso che ci ha portato a esplorare, domenica dopo domenica, il mondo complesso e un po’ misterioso della generazione giovanile. Una realtà molto diversa da quella delle generazioni che l’hanno preceduta, dentro un cambiamento che per alcuni è preoccupante, per altri promettente: dipende dallo sguardo. Lungo il nostro itinerario ci siamo resi conto che il problema della formazione cristiana dei giovani non è tanto quello di trovare nuove forme comunicative o nuove strategie quanto quello di riconoscere che i giovani sono diversi da come ce li siamo immaginati; che la loro immagine non combacia con quella che noi adulti, soprattutto noi educatori, abbiamo in mente.

Ho cercato in queste settimane di ripercorrere con i lettori lo stesso cammino del gruppo di ricerca che ha condotto le indagini dell’Osservatorio Giovani Toniolo. Siamo partiti immaginando che il nostro studio riguardasse dei giovani in fuga dalla Chiesa, per renderci conto che si trattava di un’immagine inadeguata; che forse i giovani, più che essere in fuga, erano nell’atteggiamento di chi abbandona un territorio su cui non hanno più interesse o possibilità di vivere. La maggior parte di loro ora è lontana dalla Chiesa; molti sono lontani da una visione credente della vita. Eppure nemmeno questa visione ancora ecclesiocentrica della loro posizione ci è sembrata adeguata a esprimere una realtà molto più complessa. Sono i giovani che si sono allontanati dalla Chiesa o è la Chiesa che si è allontanata dai giovani, e quindi dal suo futuro, da questo tempo? Dipende dallo sguardo.

Ponendoci dal punto di vista dei giovani, ci si rende conto che le loro posizioni o opinioni sono i loro modi di lanciare alla Chiesa dei messaggi, che possono essere promettenti per il suo futuro e per quello del cristianesimo nel nostro contesto italiano. I giovani sono figli del loro tempo. Parecchi di loro, sia tra quelli che se ne sono andati che tra quelli che sono rimasti, hanno affermato che la Chiesa è vecchia, che la sua proposta non è in grado di comunicare con le persone di oggi. Afferma un giovane ventitreenne: «La Chiesa mi appare come qualcosa di vecchio, come qualcosa che non va avanti, non cammina, non è al passo con i tempi, qualcosa che non accoglie come dovrebbe, qualcosa di lontano». E loro sono e vogliono essere persone di oggi; chiedono una fede capace e disposta a stare in dialogo con la loro sensibilità: quella delle donne e degli uomini di oggi.

Nei cambiamenti che riguardano l’umano e che hanno nei giovani una particolare evidenza vi sono molti elementi preziosi per una fede che abbia radici nella profondità della coscienza. Nella sensibilità giovanile di oggi vi sono le premesse per una fede personale e capace di coinvolgere non solo mente e volontà ma anche cuore, relazioni, progetti di vita... Non mancano le derive possibili: quella del soggettivismo, di una religiosità “fai da te”, di una fede senza comunità. Ma lasciarsi paralizzare dai rischi, anziché provocare dalle opportunità possibili, è rinunciare a vivere l’oggi come il tempo propizio nel quale Dio ci dà appuntamento per offrirci novità e vitalità.

I giovani chiedono una Chiesa diversa, un diverso modo di credere. Molti di loro sono in ricerca: dentro sé stessi, verso la fede, dentro la fede. Loro, i giovani, ci stanno segnalando che è in atto una metamorfosi del credere, e che questa trasformazione sta avvenendo in loro. La loro sensibilità religiosa non va dalla fede all’incredulità ma da un modo di credere definito e consolidato da una tradizione a un possibile diverso modo di credere, suscitato e sostenuto da cambiamenti culturali e sociali profondi; un modo di interpretare l’umano che si riflette sul rapporto con il mondo, con gli altri, con Dio. Le forme che esso sta assumendo a poco a poco non sono necessariamente in contrasto con il Vangelo, ma anzi ne appaiono spesso un’interpretazione di maggiore autenticità, liberata da una sovrastruttura di abitudini, culture e prassi che ha finito per irrigidirne la ricchezza dentro una struttura culturale legata al tempo, quasi depotenziando la sua carica paradossale, provocatoria, profetica.

Ogni metamorfosi costituisce un passaggio doloroso. Loro lo stanno sperimentando, anche per noi. È una trasformazione che potrà essere o non essere accolta e riconosciuta dalla Chiesa, ma alla quale loro non potranno sottrarsi, salvo collocandosi da un’altra parte rispetto all’esperienza religiosa ed ecclesiale, salvo rifiutando di stare dentro una transizione che non li interessa, o che non si sentono in grado di affrontare perché troppo soli. Un ventiseienne si chiede: «Con il mondo che si è andato a creare, ce la farà la Chiesa ad adattarsi? ». È difficile per i giovani immaginare che la Chiesa di oggi possa trasformarsi in una Chiesa contemporanea.

Nei giovani si annuncia un cambiamento che riguarda tutti noi, quasi un appello dello Spirito per la Chiesa tutta. Se i giovani chiedono, come questa ventiseienne, «una Chiesa autentica, trasparente, che si metta in discussione... una Chiesa dove tutte le persone sono protagoniste e dove la domanda di senso sia costante... una Chiesa coraggiosa, che vada fuori, nelle strade, che vada dappertutto... una Chiesa allegra, non seriosa e cupa», è chiaro che domandano una Chiesa migliore per tutti. I giovani ci stanno conducendo verso una Chiesa contemporanea, che non è una Chiesa che modifica il cuore del suo messaggio per renderlo accettabile ma piuttosto ripensa la cultura con cui esprimerlo, con cui renderlo attuale, con cui situarlo nell’oggi. Lungi dall’essere un tradimento relativista, è un modo per custodire il cuore perenne del messaggio cristiano, per consegnarlo integro e autentico alle generazioni che verranno. Di generazione in generazione si trasmette il messaggio, avendo cura di non scambiarlo con le nostre interpretazioni, che passano con noi, mentre il cuore perenne del Vangelo ha bisogno di vite giovani che continuino a tenerlo acceso.

So che a questo punto qualcuno si chiederà: in conclusione, che cosa dobbiamo fare?, cercando magari le solite impossibili e illusorie ricette. Ci sono certo alcune scelte possibili da fare: riguardano soprattutto noi adulti, noi educatori: stare in ascolto delle nuove generazioni è la prima e principale. Non giudicare né i loro comportamenti né le loro scelte, ma interrogarsi su quali domande vi sono dietro le loro prese di posizione, e al tempo stesso chiedendoci che cosa lo Spirito ci sta dicendo attraverso di loro. Immersi in un cambiamento complesso che sta destabilizzando tutti dobbiamo resistere alla tentazione della semplificazione, imparando a sostare sulle domande, ad abitare l’inquietudine, a lasciarci provocare: in fondo, siamo dentro un processo che ci chiama a conversione anche attraverso le critiche e le attese dei giovani. Forse la Parola, che «è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla, e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore» ( Eb 4,12), ci sta raggiungendo attraverso le parole talvolta impietose, certamente ruvide, delle nuove generazioni. Le intuizioni spirituali dei giovani hanno bisogno di essere purificate, di passare attraverso le prove della vita, ma sono aperture preziose attraverso cui passare per percorrere insieme a loro territori interiori e spirituali inesplorati e carichi di mistero. E contribuire a delineare il profilo del cristianesimo futuro.

Più che trarre conclusioni dalla conoscenza dell’attuale mondo giovanile mi pare necessario avviare percorsi di ricerca che mettano meglio a fuoco elementi di un cambiamento che sta conducendo a un mondo nuovo. Le posizioni espresse dai giovani mi sembra che stiano interrogando non in primo luogo o non solo gli educatori che faticosamente operano sul campo ma ancor prima la teologia, la spiritualità, le scienze psicologiche, e la Chiesa tutta nel suo insieme. Negli atteggiamenti dei giovani vi sono non poche provocazioni per la cultura cristiana, sfidata nella sua capacità di essere contemporanea della realtà umana e sociale in cui è radicata. Ciò che è in gioco non è la fede dei giovani, ma il profilo del cristianesimo di oggi e di domani.

 

Paola Bignardi

 

 

Lo spinoso problema “i giovani e la fede” non manca per la verità di soluzioni di massa e di facile retorica, al tempo stesso in cui si aggroviglia sempre più su se stesso e rivela così il problema di fondo che rimane in sordina. Infatti, anche in questo caso si prende la parte per il tutto e si pensa che una soluzione tecnica ad ogni singolo problema possa chiudere il discorso sempre aperto di una chiesa intera non più società ma comunione. Siamo insomma alle toppe nuove per un vestito logoro. E anche i reiterati appelli al cambiamento d’epoca diventano alla fine modi di dire che non portano a quella inversione di marcia o rovesciamento di prospettiva, in cui trovare vie di uscita.

Il ritorno radicale a vangelo, fede, chiesa, predicazione è tanto più necessario quanto disatteso o camuffato, perché non richiede solo consenso di massima, ma coinvolgimento convinto e condiviso. In questo compito permanente, oltre che aiutarci, possiamo farci aiutare da due voci credibili attraverso passi dei loro scritti: quella di Michel de Certeau e quella di Mario Pomilio. Il primo che fa riferimento all’“Avvenimento” per eccellenza nella storia come perenne segno di contraddizione; il secondo che pone la Parola a metro di misura dell’esistenza cristiana.

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