Koinonia Settembre 2022


IL DILUVIO E L’ARCOBALENO (I)

 

Parte prima: Tenebre e stelle

 

Una premessa sembra doverosa: non possiamo più leggere da tempo la Bibbia con gli occhi dell’uomo di ieri. La modernità ci ha in qualche modo segnati e con l’illuminismo ci tocca comunque fare i conti, anche se tutto è reso certamente più faticoso. Non possiamo più fare finta che certe cose non siano state scoperte e conosciute, anche se questa conoscenza più che chiarire sembra aumentare in noi la confusione. Se per molti versi siamo più ricchi rispetto all’uomo di ieri, per altri siamo infatti meno capaci di comprensione. L’intensità e l’immediatezza con le quali un Francesco d’Assisi leggeva il Vangelo, per esempio, noi non riusciamo più a raggiungerle. Nella fede, del resto, solo la consapevolezza di essere nel buio aiuta, solo chi è convinto di andare “a tentoni” riesce a dirigersi verso qualcosa di vero (At 17,27-28). Se da un lato c’è una notte in cui tutte le vacche rischiano alla fine di essere nere, come diceva Hegel, dall’altro – per riprendere un formidabile pensiero di Franz Kafka - soltanto di notte è possibile vedere le stelle e soltanto con la fede di chi ancora non vede ciò che spera si può credere nel miracolo. La pubblica illuminazione e il due più due fa quattro delle prove provate certamente non conducono là dove soltanto la fede può condurci.

A rifletterci bene abbiamo tre modi con i quali possiamo in definitiva accostarci oggi alla Bibbia. Il primo, che possiamo chiamare fondamentalista, è quello di chi legge quanto trova scritto come se fosse la descrizione fatta per filo e per segno di eventi realmente accaduti. Il secondo è quello di chi legge il testo sacro considerando i fatti e i personaggi lì descritti come se fossero simboli di realtà trascendenti che vanno ben al di là di quanto si legge. E infine il terzo, quello di chi legge la Bibbia come un qualsiasi altro testo di letteratura, evidenziandovi figure e metafore di bisogni antropologici o psicologici.

Ebbene, per la fede sono da temere un po’ tutti e tre questi modi, ma più di tutti l’ultimo, quello che cancella definitivamente ogni traccia di trascendenza, appiattendo il testo nell’umano troppo umano dell’esistenza con la pretesa di capire tutto, di giudicare tutto, alla luce della propria conoscenza, senza più lasciare nulla a quanto non solo la fede può credere e Dio può fare davvero, ma anche a quel che potremmo scoprire già domani accorgendoci di quanto sia errato quel che ora consideriamo verità assoluta. Insomma la Bibbia è per noi Parola di vita se non la sezioniamo come si fa coi cadaveri nell’autopsia, ma soltanto se ci accostiamo a essa come a Parola viva che oltre a farci vivere ha anche bisogno di noi per vivere. Perciò quello che dovrebbe starci davvero a cuore leggendo la Bibbia, è prima e più di ogni altra cosa la consapevolezza di trovarvi tracce di qualcosa di ben più grande di noi, qualcosa che sta prima e sopra ciò che stiamo leggendo e che possiamo sperimentare già ora come primizia di quanto ben più grande di noi troviamo lì promesso a tutti e al mondo intero, sebbene a partire da ognuno di noi in quanto singoli che la leggono qui e ora; qualcosa che riguarda non solo il presente, ma anche il passato e, soprattutto, il futuro.

 

“Leggere le Scritture - diceva Sergio Quinzio, che per me è stato amico e maestro - è camminare sul mare verso il Signore che tende la mano” (Un commento alla Bibbia). Questo per dire come non possa mai un credente leggere la Scrittura a prescindere da questo stato di precarietà e bisogno, dalla presenza di Dio che sta al principio di tutto. Ma all’interno di questo bisogno, la lettura dei credenti può essere fatta in due modi, dice ancora Quinzio, una che potremmo definire minimizzatrice, una lettura che si basa su una ermeneutica, una interpretazione che riduce il significato del testo al “rigorosamente accertabile e probabile in definitiva perciò al conforme e all’ovvio”. E l’altra, opposta, che potremmo definire “massimizzatrice”, una lettura cioè che va a cercare con tutto il cuore, in ogni passo della Scrittura, il Dio vivente con le sue potenzialità grandi, quelle impossibili all’uomo ma possibili a Dio che ce le ha promesse e attraverso le quali possiamo attenderne il compimento futuro. Soltanto così ci si potrà allora accorgere che proprio là dove la Scrittura accumula per noi grandi perplessità e domande anche ci offre le potenzialità più grandi.

E si potrebbero fare numerosi esempi in questo senso, proprio analizzando le citazioni che la Scrittura fa della Scrittura che la precede, soprattutto quelle che il Nuovo Testamento fa dell’Antico. Ma quello che ora davvero ci interessa, è sapere che dietro ogni passo della Scrittura si celano esperienze e racconti che un popolo ha vissuto e si è tramandato per secoli e secoli, fino a quando qualcuno non ne ha fatto una raccolta ordinata, una sintesi leggibile da trasmettere nei secoli successivi, affinché altri potessero cogliervi verità e luce per la loro vita e la loro fede.

Si potrebbe forse anche dire che la Bibbia è come un imbuto poderoso che è stato capace di ricevere una quantità enorme di cose reali vissute in precedenza, per aprirsi ad altrettante poderose realtà che attendono l’umanità nel futuro, e tutto questo sotto gli occhi di Dio che sta non soltanto con noi ogni giorno, ma anche al principio e alla fine della storia.

“Dietro alla massa incredibile di materiale disparato”, che a un certo punto qualcuno ha raccolto, ordinato e trasmesso nel Pentateuco, dice Gerhard von Rad (che chiama Esateuco inserendoci anche il libro di Giosuè), si cela un fondamento semplice e potente ed è questo:: “Dio, che ha creato il mondo rivolge il suo appello ai patriarchi e promette loro la terra di Canaan. Moltiplicatosi Israele in Egitto, Dio guida il popolo attraverso il deserto dandogli prove miracolose della sua benevolenza, e dopo un lungo pellegrinare, lo introduce, sotto la guida di Giosuè, nella terra promessa” (Antico Testamento, Genesi). Perciò il pio israelita quando professa la sua fede non esprime concetti sorti da speculazioni teologiche circa la natura di Dio, ma racconta ai propri figli ciò che è accaduto ai propri padri: “Mio padre era un arameo errante, scese in Egitto, eccetera, eccetera” (Dt 26,5-9). Il Dio biblico è il Dio della salvezza futura, il Dio che redimerà l’umanità, la creazione e la storia. Ed è soprattutto in questo che si distingue da tutte le altre divinità e forme religiose che l’umanità ha conosciuto.

 

Tutto il materiale raccolto da queste tradizioni si fonda in definitiva su qualcosa che un tempo deve essere accaduto e che è stato lungo i secoli raccontato, tramandato con aggiunte di ispirazioni, riflessioni immediate e profonde che si sono ogni volta impastate col vissuto di un popolo, consapevole di avere un Dio buono e fedele accanto e davanti a sé, che parlava, dava indicazioni, interveniva “con mano potente e braccio teso” (Dt 4,34). E che in quello stesso momento ispirava pure la mente e la vita di colui o di coloro che s’accingevano a fissare per iscritto tutto quel materiale per le generazioni a venire, noi compresi. Aiuta i credenti quella riflessione ebraica secondo la quale anche la più umile delle serve vide, al mar Rosso, quello che Isaia, Ezechiele e tutti gli altri profeti non poterono mai vedere (Mekilta de Rabbi Ishmael).

Il credente crede con timore e tremore che tutto ciò che  non vede un giorno altri lo videro e che un giorno egli stesso lo vedrà. Noi vedremo Dio “così come egli è” (1Gv 3,2). C’è un pensiero straordinario di Elias Canetti, non a caso ebreo anche lui, che dice così: “C’è da chiedersi per quanto tempo gli uomini, se divenissero tutti ciechi per un’improvvisa sciagura, riuscirebbero a sopravvivere con il ricordo del periodo in cui vedevano. Si dovrebbe allora conservare e trasmettere con cura un tesoro di vecchie esperienze. Esso acquisterebbe gradualmente il carattere di una rivelazione religiosa; così come i seguaci di una fede parlano di miracoli di cui furono partecipi i loro più antichi predecessori. Si potrebbe pensare che il ricordo della vista e delle cose vedute terrebbe uniti i ciechi per molte centinaia d’anni. E sarebbe strano se poi, d’improvviso, uno di loro tornasse a vedere e narrasse a tutti gli altri che la loro antica fede è vera” (La provincia dell’uomo).

Il lettore può così in ogni tempo nutrirsi di quelle parole profetiche arricchendosi e arricchendole, come se la Parola di Dio, e Dio stesso, avessero bisogno di qualcuno che in ogni generazione si interessi appassionatamente per comprendere e a sua volta per raccontare, annunciare le verità che vi scopre e vi intuisce, anche con una certa gioia.

Leggendo la storia di Giacobbe che lotta con Dio, noi possiamo comprendere qualcosa anche del nostro rapporto con Dio qui e ora. In ogni storia trasmessa e raccontata vibra la fede di un popolo capace di mettersi in ascolto del Dio unico e fedele. Una vicenda accaduta nel passato subisce così innumerevoli ritocchi, aggiunte, approfondimenti da parte di generazioni e generazioni che se la sono tramandata. Al punto che - dice ancora Von Rad - “quanto più la formulazione di una saga (di una storia, di un avvenimento) è tardiva, tanto più è meditata dal punto di vista teologico e tanto meno è ingenua” (Antico Testamento, Genesi). Dietro ogni cosa c’è sempre Dio che comanda e promette, che cammina con gli uomini nella gioia e nel dolore, mai nell’indifferenza. Al punto che nelle saghe patriarcali si parla più di Dio che degli uomini, come se il principale compito di esse fosse proprio quello di farci conoscere chi è Dio. È questo anche il motivo per cui non si hanno problemi quando si è costretti a raccontare della gran brutta figura che fanno alcuni importantissimi personaggi.

Se di fronte alle grandi promesse di Dio la storia va di male in peggio, l’uomo di fede non teme di dirlo, teme piuttosto di dire il falso per non guardare le cose come stanno. La storia della salvezza è un cammino continuo di Dio insieme agli uomini diretti entrambi alla stessa meta futura: una terra lontana, un regno promesso. Il pericolo è perciò quello di rendere tutto allegorico, astratto, niente altro che letteratura e racconto, senza più agganci con la realtà e con la vita degli uomini di ogni generazione. La Scrittura sacra non aleggia sul nulla ma si incarna profondamente negli avvenimenti del passato e del presente, esortando a volgere ogni attenzione al futuro. Gli avvenimenti che accadono sono sempre sotto gli occhi vigili di Dio che promette vicinanza e liberazione. Quello della Bibbia è un Dio che si fa presente e a tratti si nasconde, un Dio che cammina davanti all’umanità ma che a volte si lascia persino guidare da essa. Al punto che dietro le pagine sacre si percepisce quasi sempre il bisogno di salvezza che alberga non soltanto nel cuore degli uomini, ma anche nel cuore di Dio.

 

Daniele Garota

(1.continua)

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