Koinonia Settembre 2022


Un testo di Pietro Dacquino*

 

L’amore ai fratelli e la Domenica

 

Abbiamo visto che la domenica era in antico un giorno caratterizzato da un più intenso amore al prossimo; amore che esprimevano appunto le opere di misericordia spirituale e corporale.

Venuta meno la liturgia viva con le sue frequenti (e un tempo significative) esortazioni domenicali alla carità sincera e fattiva, anche la pratica dell’amore ai fratelli si è lentamente sganciata dalla domenica, diventando terribilmente generica e scialba, come spesso oggi. Occorre perciò di nuovo portare le opere di carità nel loro contesto domenicale. Anch’esse infatti partecipano del significato escatologico della domenica, rappresentando già un anticipo della vita celeste; quella, che sarà essenzialmente amore pieno e perfetta carità verso tutti i fratelli; una società ideale e davvero felice.

È superfluo ricordare che questa pratica soprattutto domenicale della carità comprende prima del resto il perdono delle offese e la riconciliazione con il nostro prossimo, quale indispensabile preparazione al sacrificio eucaristico (cfr Mt 5,54) e alla comunione, che (unico pane fra tutti; cfr. 1Cor 10,17) lo conclude. È quanto proclamava in antico il bacio di pace, che i fedeli usavano scambiare fra loro proprio prima della comunione.

Urge dunque rieducare il nostro popolo cristiano al senso genuino della domenica e delle altre feste, che ne sono una eco e un prolungamento.

C’è pericolo, che affiori nella nostra gente la mentalità antica dei giorni fasti e nefasti: mentalità sempre pronta a riaffiorare dal profondo oscuro dell’uomo. “Se non vado a Messa alla Domenica, può capitarmi qualche disgrazia o potrebbero andarmi male le cose, durante la settimana”. Quanti vengono oggi ancora a Messa solo per questi motivi di timore superstizioso e arcaico! La resistenza così assurda di tanti fedeli ad un’attiva partecipazione liturgica, ne è solo la conferma.

È dunque indispensabile rieducare il nostro popolo ad una visione completa e integrale della domenica, sulla scia della tradizione biblica e di quella immediatamente successiva. Quanti elementi preziosi, appartenenti fin dalle origini cristiane al contesto della domenica sono stati a poco a poco sacrificati in questi ultimi dieci secoli, pur di mantenere alla nostra società un volto ancora esteriormente cristiano. Basta pensare alle letture bibliche nella lingua volgare, alla comunione domenicale del nostro popolo e alla pratica delle opere di carità; cose tutte, un tempo strettamente connesse con la domenica.

Per secoli e secoli, ci si è accontentati di un adempimento, più o meno materiale, del precetto domenicale: ascoltare la Messa ed evitare le opere servili. Si è rimasti soddisfatti di questo minimo, anche se il cuore del nostro popolo andava sempre più allontanandosi da Dio e dalla sua realtà, soprattutto la domenica. Come potevano del resto bastare quei quaranta minuti di Messa in una lingua incompresa (una Messa sopportata del tutto passivamente), come potevano bastare a conservare fedeli allo spirito della domenica, anzi al loro stesso Cristianesimo, dei cristiani risucchiati da un mondo sempre più profano e vorticoso?

Tutto dunque ci risospinge oggi energicamente verso un Cristianesimo autentico e integrale. E anche questo è un segno dei tempi.

 

Pietro Dacquino

 

* Gianfranco Monaca ci scrive: Caro Alberto, come promesso, allego un testo storico di don Pietro Dacquino, mio compianto professore di biblica e storia ecclesiastica negli anni 1954-1958, che auspicava riforme che non ci sono ancora state cinquant’anni dopo.

 

n.d.r. Pietro Dacquino, docente di Scienze bibliche nel Seminario maggiore di Asti, nacque ad Acqui Terme nel 1921 e fu ordinato sacerdote nel 1944. Autore di libri ed articoli che hanno segnato la cultura teologica  e la spiritualità del suo tempo.

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