Koinonia Settembre 2022


LE  CHIESE E LA GUERRA (I)

 

Uno degli scritti più interessanti del Quaderno che, nel 2002, a cura di Massimo Toschi, riunisce gli articoli pubblicati da Missione Oggi riguarda appunto il tema  de “Le Chiese e la guerra. Da Hiroshima a oggi”, ripercorrendo puntualmente i documenti ecumenici e della chiesa cattolica fino alla guerra nella ex-Jugoslavia.

Si parte da un documento dei vescovi americani del 18 novembre del 1945 dal titolo “Tra la guerra e la pace” che non si preoccupa tanto dei mezzi usati in guerra, ma dell'aprirsi di un conflitto ideologico con la potenza sovietica, nel quale gli Stati Uniti sono chiamati a svolgere un ruolo mondiale nella difesa della democrazia e della libertà. A pochi mesi dalla duplice tragedia di Hiroshima e Nagasaki, o non ci si è ancora resi conto dell'enormità del massacro, o si dà più importanza al fattore ideologico che divide le due potenze. Ma esattamente un anno dopo, sempre nel mese di novembre, nel documento “L'uomo e la pace”, ancora il cardinale Spellmann afferma: “Non è per difendere la mia fede che io condanno il comunismo, ateo, ma in quanto americano io difendo il mio paese; perché, essendo un nemico del cattolicesimo, il comunismo è una provocazione rivolta a tutti coloro che credono nell'America e in Dio”. Riconosce che "purtroppo" anche l'America si è servita di armi che hanno prodotto vaste e indicibili sofferenze e devastazioni, ma solo in risposta alle “brutalità dell'altra parte che ci hanno riempito di orrore”. Un vescovo della chiesa di Cristo quindi non parla in nome di Cristo, ma in nome della sua patria terrena, lui che non dovrebbe avere altra patria che il Regno dei cieli.

 

Torniamo al 1945 con il radiomessaggio di Natale di Pio XII che pone al centro del suo ragionamento la critica dello stato totalitario e denuncia come vera causa della guerra l'abbandono dei principi cristiani. La guerra viene presentata com “vaso della collera di Dio” per aver abbandonato il suo disegno nella storia. Nessun riferimento alla bomba atomica.

Per questo, bisogna arrivare al febbraio del 1948 quando, nel discorso alla Accademia Pontificia delle Scienze, il papa la definisce “l'arma più terribile che lo spirito umano abbia prodotto fino ad oggi”. Riprende quello che S. Agostino dice anche della guerra giusta, a proposito delle devastazioni e dello sterminio che la guerra produce, “tanto più devastanti oggi con le nuove tecnologie”, ma il suo riferimento principale sembrano essere le Institutiones iuris publici ecclesiastici del cardinal Ottaviani che non escludono in linea di principio la guerra difensiva. Il papa è cosciente però dell’aprirsi di una nuova fase storica quando parla di "era atomica", ma non riesce a liberarsi dalla giustificazione teologica della guerra.

 

Nel radiomessaggio del Natale del 1948, Pio XII afferma che: “Ogni guerra di aggressione è... peccato, delitto, attentato contro la maestà di Dio creatore e ordinatore del mondo... Il precetto della pace è di diritto divino. Il suo fine è la protezione dei beni dell’umanità in quanto beni del creatore”. Colpisce la nostra sensibilità di cristiani moderni il linguaggio pre-conciliare di un Dio padrone e signore del cielo e della terra tra i cui "beni" c’è anche l’umanità. “Tra questi beni, continua il radiomessaggio papale, alcuni sono di tale importanza per l’umana convivenza che la loro difesa contro l’ingiusta aggressione (sullo sfondo c’era il colpo di stato in Cecoslovacchia) è senza dubbio legittima”. Le sorti della fede sono legate ancora una volta alla vittoria o sconfitta di uno dei due blocchi e il problema delle armi passa in secondo piano.

 

In un altro radiomessaggio – siamo al Natale del 1951 – il papa definisce la neutralità della Chiesa che, se interviene nei conflitti, lo fa sub specie aeternitatis, fuori da interessi di parte. Deplora la “mostruosa crudeltà” delle armi moderne per cui il papa prega incessantemente perché non vengano mai impiegate, ma anche in questo testo il tema delle armi è messo in secondo piano e quasi relativizzato rispetto all’impegno per fare affermare i valori cristiani.

 

Nel 1952, al convegno nazionale di Pax Christi, Pio XII critica la propaganda pacifista dopo che, a Stoccolma, era stato fatto un appello contro la bomba atomica, sottoscritto anche da molti cristiani, e rivendica una posizione realistica della chiesa, ribadendo il diritto degli stati a difendersi. L’appello di Stoccolma aveva suscitato reazioni critiche anche da parte di molti vescovi.

 

Il papa, nel settembre del 1954, parla al Congresso mondiale di medicina  dichiarando permessa per principio anche la guerra ABC (Atomica, Biologica, Chimica), anche se bisogna cercare di impedirla con ogni mezzo. Essa è ammessa se richiesta dalla necessità assoluta di difendersi da un’ingiustizia molto grave. Se però il mezzo provoca un’estensione del male tale da sottrarlo totalmente al controllo dell’uomo, allora la sua utilizzazione deve essere respinta come immorale. In questo contesto, il papa dimostra di restare prigioniero della cosiddetta "teologia della guerra", offrendo un’etica dei conflitti, non più all’impero cristiano, come nei primi secoli dopo l’editto costantiniano, ma agli stati moderni, privilegiando una parte del mondo contro l’altra. Anche dopo la morte di Stalin (1954), dice Missione Oggi, si prendono le distanze dai primi timidi segnali del processo di distensione.

A Natale del 1955, il papa ribadisce che “il nostro programma di pace non può approvare un’indiscriminata coesistenza con tutti, ad ogni costo, certamente non a costo della verità e della giustizia”.

Dopo l’invasione dell’Ungheria da parte di Mosca (novembre 1956), nel suo discorso natalizio il papa si appella all’ONU: “L’ONU dovrebbe poter assumere con sufficienti forze di polizia la tutela dell’ordine dello stato minacciato”. Nello stesso discorso, c’è la condanna dell’obiezione di coscienza: “Un cittadino cattolico non può appellarsi alla propria coscienza per rifiutare di prestare i servizi e adempiere i doveri fissati per legge”.

 

Ad Amsterdam, nel 1948, si tiene la prima Assemblea del Concilio Ecumenico delle Chiese a cui la Chiesa cattolica rifiuta di partecipare. Sono presenti solo alcuni teologi a titolo personale. Nel rapporto finale dal titolo “Le Chiese e il disordine internazionale”, si affrontano i nodi presenti alla conclusione della 2a guerra mondiale. Il giudizio sulla guerra è netto: “La guerra è un peccato contro Dio e una degradazione dell’uomo... È incompatibile con l’insegnamento di Nostro Signore Gesù Cristo”. Viene condannato l’uso esteso dell’aviazione, la scoperta dell’energia atomica e di altre armi che hanno modificato totalmente la condotta della guerra per cui “la nozione tradizionale di guerra giusta viene messa in discussione”. Viene giustificata l’obiezione di coscienza e si reclama una testimonianza analoga da parte delle chiese. In conclusione, rimane il tradizionale impianto della teologia della guerra, ma è stata colta subito e deplorata la pericolosità delle nuove armi nei confronti delle quali la tradizione non è più valida.

 

Ritornando in Italia, l’11 aprile del 1963, all’indomani della crisi dei missili sovietici a Cuba, esce l’enciclica di Giovanni XXIII Pacem in terris, che segna lo spartiacque decisivo per l’atteggiamento dei cristiani nei confronti della guerra. “Alienum est a ratione che nell’era atomica la guerra possa essere utilizzata come strumento di giustizia... Giustizia, saggezza e umanità domandano che venga arrestata la corsa agli armamenti esistenti, si mettano al bando le armi nucleari”. Si tratta di un giudizio netto: nell’era atomica, in nessun caso, la guerra può essere uno strumento adeguato per risarcire i diritti violati, per fare giustizia. È una vera propria conversione, un vero mutamento di direzione, dettato dalla consapevolezza che ogni conflitto ormai contiene in sé tali potenzialità di morte da diventare cioè anti-creazione, strumento di distruzione dell’umanità e di tutto ciò che Dio ha creato. È il senso della storia che conduce papa Roncalli ad essere attento ai "segni dei tempi", Secondo Missione Oggi, egli non vuole creare una teologia della pace, in alternativa alla teologia della guerra giusta, ma indicare la forza profetica che nasce dal Vangelo coniugato con le grandi questioni della storia. Analogamente, con il Concilio, papa Giovanni voleva chiamare tutta la Chiesa a una nuova comprensione del Vangelo, superando la tradizionale diffidenza verso la storia, la logica dell’inimicizia, dell’identificarsi con una parte del mondo contro l’altra... Bisognava porre al centro la forza inerme del Vangelo che distrugge alla radice la violenza e le sue armi.

 

Il Concilio Vaticano II affronta il tema della pace nel cap.V della costituzione pastorale della Chiesa nel mondo moderno, la Gaudium et spes. Sulla spinta della Pacem in terris, la questione della pace viene posta al centro della testimonianza cristiana nel mondo e non solo come un capitolo di etica o di politica. Ma gli esiti della discussione a monte, faticosa e spesso drammatica, sono insoddisfacenti. L’andamento di tutto il capitolo, a differenza di quello della Gaudium et spes, ha più il tono dell’esortazione ai governanti che del discernimento profetico per indicare le vie evangeliche della pace. Ancora una volta sembra si sia voluto essere "realistici". Si avvertono fra i padri conciliari le grandi tensioni politiche contemporanee (la guerra nel Vietnam, la politica sovietica, la spinta alla decolonizzazione). Si avverte anche la fatica a uscire dai tradizionali riferimenti alla teologia della guerra e da un regime di cristianità che pure il concilio, annunciando un modo nuovo di essere cristiani nella storia, tende a cancellare. Il paragrafo sulla guerra atomica è messo solo in nota; mentre si condanna l’equilibrio del terrore, non si nega che possa avere un qualche effetto benefico per la stabilità internazionale. Questa è anche la posizione di Paolo VI nel discorso all’ONU del 1965: “Finché l’uomo rimane l’essere debole e volubile e anche cattivo, quale spesso si dimostra, le armi della difesa saranno necessarie, purtroppo”. Un altro "purtroppo", decisamente non evangelico. I padri conciliari di lingua francese soprattutto, ma anche Alfrink e Lercaro, chiedono di abbandonare questo pessimismo teologico per ripensare in termini evangelici il tema della pace. Il capitolo è oggetto di discussioni accese e di varie riscritture. Soprattutto i vescovi americani invitano i padri conciliari a negare il loro voto sul capitolo V, sostenendo che il possesso delle armi moderne ha assicurato storicamente la libertà nel mondo e che la vera causa delle guerre sono le ingiustizie, non le armi. Sembra di sentire le parole della lobby delle armi che oggi negli Stati Uniti, anche dopo le continue stragi, si oppone alla regolamentazione della loro vendita. Anche se nella stesura definitiva si lascia intendere che il principio della legittima difesa può valere anche nelle guerre moderne, i voti contrari sul capitolo V furono ben 483. Si sospende il giudizio sulla corsa agli armamenti e ci si limita all’esortazione ai governanti perché si arrivi a un tempo di pace.

 

Donatella Coppi

(1.continua)

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