Koinonia Agosto 2022


Domande a Papa Francesco*

Quali segni di rinnovamento spirituale

vede nella Chiesa? Ne vede?

Ci sono segni di vita nuova, fresca?

 

È molto difficile vedere un rinnovamento spirituale usando schemi molto antiquati. Bisogna rinnovare il nostro modo di vedere la realtà, di valutarla. Nella Chiesa europea vedo più rinnovamento nelle cose spontanee che stanno nascendo: movimenti, gruppi, nuovi vescovi che ricordano che c’è un Concilio alle loro spalle. Perché il Concilio che alcuni pastori ricordano meglio è quello di Trento. E non è un’assurdità quella che sto dicendo.

Il restaurazionismo è arrivato a imbavagliare il Concilio. Il numero di gruppi di «restauratori» - ad esempio, negli Stati Uniti ce ne sono tanti - è impressionante. Un vescovo argentino mi raccontava che gli era stato chiesto di amministrare una diocesi che era caduta nelle mani di questi «restauratori». Non avevano mai accettato il Concilio. Ci sono idee, comportamenti che nascono da un restaurazionismo che in fondo non ha accettato il Concilio. Il problema è proprio questo: che in alcuni contesti il Concilio non è stato ancora accettato. È anche vero che ci vuole un secolo perché un Concilio si radichi. Abbiamo ancora quarant’anni per farlo attecchire, dunque!

Segni di rinnovamento sono anche i gruppi che attraverso l’assistenza sociale o pastorale danno un nuovo volto alla Chiesa. I francesi sono molto creativi in questo.

Voi non eravate ancora nati, ma io sono stato testimone nel 1974 del calvario del Preposito generale p. Pedro Arrupe nella Congregazione Generale XXXII. A quel tempo c’è stata una reazione conservatrice per bloccare la voce profetica di Arrupe! Oggi per noi quel Generale è un santo, ma ha dovuto subire molti attacchi. È stato coraggioso, perché ha osato fare il passo. Arrupe era un uomo di grande obbedienza al Papa. Una grande obbedienza. E Paolo VI lo capì. Il miglior discorso mai scritto da un Papa alla Compagnia di Gesù è quello che Paolo VI fece il 3 dicembre 1974. E l’ha scritto a mano. Ci sono gli originali. Il profeta Paolo VI ebbe la libertà di scriverlo. D’altra parte, persone legate alla Curia alimentavano in qualche modo un gruppo di gesuiti spagnoli che si consideravano i veri «ortodossi» e si contrapponevano ad Arrupe. Paolo VI non è mai entrato in questo gioco. Arrupe aveva la capacità di vedere la volontà di Dio, unita a una semplicità infantile nell’aderire al Papa. Ricordo che un giorno, mentre prendevamo il caffè in un piccolo gruppo, lui passò e disse: «Andiamo, andiamo! Il Papa sta per passare, salutiamolo!». Era come un ragazzo! Con quell’amore spontaneo!

Un gesuita della Provincia di Loyola si era particolarmente accanito contro p. Arrupe, ricordiamolo. Fu inviato in vari luoghi e persino in Argentina, e sempre combinò guai. Una volta mi disse: «Tu sei uno che non capisce niente. Ma i veri colpevoli sono p. Arrupe e p. Calvez. Il giorno più felice della mia vita sarà quando li vedrò appesi alla forca in Piazza San Pietro». Perché vi racconto questa storia? Per farvi capire com’era il periodo post-conciliare. E questo sta accadendo di nuovo, soprattutto con i tradizionalisti. Per questo è importante salvare queste figure che hanno difeso il Concilio e la fedeltà al Papa. Dobbiamo tornare ad Arrupe: è una luce di quel momento che illumina tutti noi. E fu lui a riscoprire gli Esercizi spirituali come fonte, liberandosi dalle rigide formulazioni dell’Epitome Instituti, espressione di un pensiero chiuso, rigido, più istruttivo-ascetico che mistico.

Nella nostra Europa  non si può dire che ci sia una forte tradizione religiosa. Come evangelizzare in una cultura che non ha tradizione religiosa? Non è facile per me rispondere a questa domanda. Ho incontrato l’Accademia di Svezia, che è il comitato promotore del Premio Nobel per la Letteratura. Mi hanno portato in dono un’immagine di sant’Ignazio acquistata in un negozio di antiquariato. È un dipinto di sant’Ignazio del XVIII secolo. Ho pensato: «Un gruppo di svedesi mi portano sant’Ignazio. Lui li aiuterà!». Non so come rispondere a questa domanda, a dire il vero. Perché solo chi vive lì, in quel contesto, può capire e scoprire le strade giuste. Vorrei indicare, però, un uomo che è un modello di orientamento: il cardinale Anders Arborelius. Non ha paura di nulla. Parla con tutti e non si mette contro nessuno. Punta sempre al positivo. Credo che una persona come lui possa indicare la strada giusta da seguire.

 

*Dalla conversazione con i Direttori delle riviste culturali europee dei Gesuiti

del 19 maggio 2022, a cura di Antonio Spadaro

in Civiltà cattolica, Quaderno 4128, pp. 521-529, Volume II, 18 giugno 2022

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