Koinonia Agosto 2022


LA PAROLA A P. PEDRO ARRUPE*

 

1 - Il futuro ci travolge…

 

Il futuro ci travolge. Sembra di essere ossessionati del futuro. Più che andare noi verso il futuro, è il futuro che ci viene addosso e ci schiaccia, senza darci il tempo di comprendere che già lo abbiamo intorno e dentro di noi. È proprio vero che ci vogliono, per dirla con una frase di S. P. Snow, «uomini che portino il futuro nelle ossa»1. E se ciò è vero per tutti gli uomini, lo è soprattutto per noi religiosi, che avvertiamo la necessità di servire la Chiesa e il mondo e valutiamo più a fondo questo grave problema del mondo moderno.

Desidereremmo poter predire il futuro, poter prevedere ciò che sarà di noi, delle nostre comunità, delle nostre fatiche con l’andar del tempo; ma ci rendiamo conto della classica ironia del proverbio cinese: «è molto difficile profetare, soprattutto quando si tratta di futuro».

Perciò non si tratta di profetare né  di fare della futurologia. Vogliamo piuttosto riflettere sul passato e sul presente, per poter, nei limiti del possibile, prevedere l’avvenire. In un mondo che cambia così rapidamente e che ci presenta una problematica così vasta e profonda, la vita religiosa come tale e ciascuno dei nostri istituti si trova davanti a una sfida, che non è possibile evitare: «Oggi dire che la cultura occidentale sta attraversando una crisi, è scontato, ma viverla non è affatto scontato. E viverla, non vuol dire tanto parlarne, quanto prendere sulle proprie spalle, di buona voglia o no, tutto il peso di confusione, d’incertezza, di visione non chiara, che essa comporta. Nessun essere umano può vivere felice per molto tempo sotto un peso di questa portata»2. La trascendenza e serietà della sfida, inevitabile nel momento attuale, risalta ancor più se pensiamo alla responsabilità di formare i nostri giovani, che saranno gli artefici del futuro: che non ci avvenga «di prepararli per un mondo che non esiste più».

Riflettere in anticipo sui dati del futuro, creare in noi un nuovo processo mentale, acquisire il senso dell’avvenire, ridurrà di molto le difficoltà di adattamento alle nuove circostanze del futuro e aumenterà le probabilità di riuscita e di successo. La difficoltà sta in questo: che niente di quanto vediamo, si trova nel futuro: tutto il presente ha le sue radici nel passato (studi, formazione, vita individuale, familiare, scienze, ecc.). Nessun fenomeno attuale è testimone del futuro o nasce in esso: perciò è necessario acquistare il senso del futuro attraverso la riflessione. Naturalmente si può riflettere sopra un futuro prossimo e sopra un futuro remoto. Io mi limiterò qui a riflettere sopra un futuro non molto lontano. Anche questo è molto difficile; ma voler prevedere un futuro lontano è impossibile.

 

2 - Ha un futuro la vita religiosa?

 

È una domanda che implica un doppio aspetto:

1. la vita religiosa come tale ha un senso nel futuro?

2. gli istituti religiosi hanno un futuro?

È una questione relativamente moderna, nei secoli passati non si riteneva neppure possibile porre questo problema, tanto era evidente e dato per scontato che la vita religiosa sarebbe esistita nel futuro. Ma oggi, in cui niente

sfugge a una problematica radicale e sconvolgente, neanche la vita religiosa vi può sfuggire. Non mancano, infatti, coloro che danno per certa la scomparsa della vita religiosa in un futuro non lontano, perché, secondo loro, il significato, o almeno l’espressione concreta della vita religiosa è già superata, «depassée». Oggi il mondo avrebbe bisogno di altre forme di servizio. È un pessimismo che è difficile condividere.

Parlando della vita religiosa come tale il P. Rahner, scrive: «Possiamo affermare con tutta sicurezza che esisterà sempre nella Chiesa un’istituzionalizzazione della vita cristiana con un certo grado di radicalità, così, in questo senso esisterà sempre nella Chiesa la vita religiosa»3.

Diversa è la sopravvivenza dei singoli istituti religiosi. Nessun istituto ha naturalmente la garanzia assoluta di vivere per sempre: «È difficilissimo, se non impossibile stabilire con certezza l’indice di mortalità degli istituti religiosi. L’impressione globale è che gli istituti religiosi più che di fragilità sono dotati di una grande resistenza»4. In realtà nel corso della storia sono scomparsi parecchi istituti religiosi: tra i secoli IV e XX sono stati fondati 276 istituti religiosi maschili, dei quali 99 sono scomparsi (Monaci 50, Canonici, ecc. 35, Chierici regolari 1, Società sacerdotali 11, Congregazioni laicali 1, Congregazioni clericali 1)5.

La storia è maestra della vita. È interessante osservare il modo e le circostanze in cui gli istituti sono via via apparsi, perché da ciò possiamo trarre importanti lezioni per noi, per il futuro. Sebbene apparentemente tanto diversa l’origine degli istituti, sembra che la loro dinamica comune si potrebbe ridurre a tre linee di forza. La prima è quella di realizzare un servizio determinato alla chiesa e all’umanità in un concreto periodo storico, sia di ordine spirituale che corporale e caritativo. L’altra linea di forza è caratterizzata dall’aspetto conflittuale con cui nacquero gran parte degli istituti: conflitto con la società umana del tempo, e anche con la società religiosa, non escluse le sue autorità, in quanto lo spirito profetico e carismatico che animava i fondatori, non sempre veniva compreso da tutti. La terza linea di forza è segnata dalla presenza di un uomo o di un gruppo di persone mosse dallo Spirito santo, che portano a termine la loro opera in forza del carisma ricevuto e in piena docilità all’azione dello Spirito. Non c’è dubbio che il servizio che dobbiamo offrire alla Chiesa e all’umanità contemporanea è un elemento validissimo e insieme una grande garanzia per la nostra sopravvivenza. Ciò che è inutile, cessa di avere una ragione d’essere. Questa volontà di servizio ci deve spingere a uno studio profondo del nostro carisma, delle intenzioni del fondatore, allo scopo di scoprirne la migliore applicazione alle circostanze attuali e future.

Non ci deve spaventare nemmeno l’aspetto conflittuale e l’opposizione che può venire anche da dove meno si aspetterebbe, perché lo Spirito segue spesso vie non facilmente comprensibili da quelli che non posseggono o non sanno interpretare il carisma originario o religioso nelle sue applicazioni alle nuove circostanze. D’altra parte, ogni applicazione o riforma deve essere realizzata da uomini di grande statura spirituale, forniti di vero spirito soprannaturale, ciò che suppone grande zelo per la gloria di Dio e il servizio della Chiesa, umiltà, ubbidienza, e penetrazione profonda del Vangelo. Se abbiamo uomini di tale spirito, e sappiamo offrire un servizio concreto alla Chiesa e all’umanità, le difficoltà non ci debbono intimorire, anzi, saranno un segno che siamo sulla strada giusta.

 

1 SNOW C. P., The two cultures and the scientific revolution, Cambridge Mass., Harvard University Press, 1961, p. 12.

2 GALLAHAN D., The Tyranny of Survival, Macmillan, New York, 1923.

3 RAHNER K., Die Zukunft der Orden in Welt und Kirche in «Geist und Leben», 1970, p. 344 (Echter, Würzburg).

4 MOULIN L., Vita e governo degli ordini religiosi, Ferro, Milano, 1965, pp. 49-50.

5 HOSTIE R., Vie et mort des ordres religieux, Desclée de Brouwer, 1972, p. 344.

 

*da “Il futuro ci travolge”, Ediz.Paoline, 1975, pp.5-11

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