Koinonia Agosto 2022



“Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me,

ma piangete su voi stesse e sui vostri figli”

(Luca 23,28)

 

Questa vignetta di Renato Scianò è nata a seguito del crollo della Marmolada, immagine di un mondo destinato a liquefarsi, a causa sì di cambiamenti climatici, effetto però di insipienza umana! Vi si può vedere anche l’immagine di un mondo che piange su se stesso in maniera alquanto rassegnata. Inutile dire, inoltre, che essa si addice anche al crollo fragoroso del governo Draghi. In un caso e nell’altro sono riconosciute - almeno sul piano della informazione e di opinione pubblica - responsabilità dell’Homo... SAPIENS che lascia dubitare di sé. È per questo che vengono alla mente le inattese parola di Gesù alle donne che lo accompagnavano piangendo sulla via del Calvario: “Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli”.

Naturalmente, Gesù non rifiuta il pianto di quelle donne, ma poi si rivolge alle “figlie di Gerusalemme” e sposta il motivo del pianto, che non è lui ma tutta Gerusalemme e i suoi: in sostanza è il pianto per Gerusalemme, alla cui vista egli stesso aveva pianto perché non aveva compreso la via della pace (cfr. Luca 19,41).

 Dopo il disastro della Marmolada, A.Scurati, sul Corriere della Sera del 6/7 titola un suo articolo così: “La valanga siamo noi che abbiamo smesso di pensare al futuro”. “A partire dagli anni ‘80 del secolo scorso, il futuro è stato dimenticato, forse ripudiato, rimosso, abbiamo cominciato a vivere confinati nel mero presente, abbiamo smesso di alzare lo sguardo sull’orizzonte. Il sole dell’avvenire è, allora, tramontato sull’Occidente. Questa conversione del nostro collettivo sentimento del tempo, questa costrizione entro una dimensione temporale più angusta, è stata variamente etichettata come edonismo, egoismo, individualismo ma, forse, è venuto il momento di fare i conti con una verità più amara: abbiamo smesso di guardare al futuro perché non volevamo vedere, perché il futuro stava diventando un brutto posto”.

Per quanto riguarda invece la caduta del governo Draghi, abbiamo l’analisi rigorosamente politica di Domenico Gallo, che però si offre a qualche annotazione a lume di buon senso, nella necessità di trovare a tutti i livelli un terreno comune di comprensione e di discernimento. Ad evitare appunto che passi per politica il sistema di scontro di posizioni e contrapposizioni. Giustamente Domenico Gallo dice che  “non si era mai visto un Presidente del Consiglio che rassegnasse le dimissioni dopo aver ottenuto un voto di fiducia approvato a maggioranza assoluta al Senato (172 a favore e solo 39 contrari)”. Ma senza fare processi alle intenzioni, è chiaro che dietro la mancata disponibilità a formare un nuovo Governo “si nascondevano questioni politiche reali che attenevano alla questione sociale, alla riconversione ecologica, all’afflusso ulteriore di armi all’Ucraina”.        

Bene o male che fosse, il Presidente del Consiglio non faceva mistero delle sue scelte e proposte in materia;  e si è presentato in Parlamento – a suo unico rischio, magari calcolato - chiedendo ai parlamentari se erano disposti a rinnovare il patto di alleanza che aveva dato vita al suo Governo, e lasciando capire di non deflettere dal patto originario di forze politiche eterogenee, pur sapendo di andare a sbattere per condizioni capestro di altre forze politiche  favorevoli ad un’altra formula di Governo senza la partecipazione di una sua componente. Qualcosa che per coerenza chiunque non avrebbe potuto accettare, sia per non cadere in evidente contraddizione con la dichiarata  natura non strettamente politica della compagine governativa, e sia anche per la  scelta personale di non voler dare vita ad una nuova formula di Governo, tutta da verificare. Tutto questo senza considerare la qualità ed affidabilità di un Parlamento frantumato ed imprevedibile, e senza chiedersi quanto c’è da sperare che le invocate elezioni possano rimediare a tante piaghe.  

Quanto alla collocazione di “fedeltà atlantica” del Presidente del Consiglio è certamente una scelta discutibile, ma non era questo il punto in discussione. Quando poi si dice che Draghi “ha trasformato in tragedia il dissenso di una parte della sua maggioranza e ha compiuto il gesto di arroganza di dimettersi, pur avendo ottenuto la fiducia con una maggioranza assoluta”, verrebbe da chiedersi: ammesso che egli abbia colto la  palla al balzo per togliersi di mezzo, ed abbia compiuto il gesto di arroganza di dimettersi, cosa avrebbe potuto fare di meglio in un contesto così lacerato? Un Governo sotto la stella di Berlusconi, che neanche 24 ore dopo ha presentato il suo programma elettorale promettendo mari e monti? Forse non sarebbe male sollevare un problema di decenza politica e di rispetto  per gli elettori, che non sono chiamati a tifare in uno stadio o sotto qualche ring!

 

ABS

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