Koinonia Giugno 2022


SIGNIFICATIVI MOMENTI SINODALI

 

Intervento di Don Gilberto Aranci nella fase preparatoria

 

Don Gilberto Aranci ci ha fatto avere il testo della relazione tenuta al Consiglio Pastorale Diocesano di Firenze il 24 aprile 1987 in concomitanza con l’inizio dei lavori preparatori del Sinodo. Egli ha modo di pubblicarla in “Ecclesiam intelligere” (“Studi in onore di Severino Dianich”, a cura di Serena Noceti - Gianni Cioli - G. Canobbio, EDB, Bologna 2012, pp. 289-300), allo scadere del decimo anniversario del Sinodo, “passato in silenzio senza alcun ricordo o citazione”. Si tratta di un “saggio teologico-pastorale che offriva quattro piste di riflessione e di approfondimento teologico e pratico su quanto l’esperienza sinodale avrebbe richiesto a coloro che erano stati chiamati ad animare e guidare insieme al vescovo i lavori del Sinodo”. Qualcosa di utile ed opportuno in tempi di sinodi. Dei quattro punti di teologia pastorale sviluppati (prospettiva pastorale della Chiesa nella sua dimensione sia pratica; l’agire della Chiesa come “mediazione salvifica”; il soggetto storico della prassi ecclesiale) si riporta il quarto punto  - “Quale metodo seguire per muoversi e camminare insieme? – che ci documenta sulla impostazione del Sinodo fiorentino, e che non sarebbe fuori luogo tenere presente nell’impegno sinodale odierno.

 

SINODO E METODO PROGETTUALE

 

         L’etimologia accomuna i due termini  “sinodo” e “metodo” nel  riferimento alla “strada”. Mi sembra utile avvicinarli per poter cogliere alcune implicazioni.

         Se “sinodo” è lo stare insieme di una Chiesa lungo la propria strada, se è il camminare insieme, ciò esige contemporaneamente che la stessa chiesa si renda conto sia del dove andare, che implica altresì il sapere dove si trova, sia del come procedere “oltre” e con quale ordine e successione di tappe: ecco appunto il metodo.

         Se “metodo” significa il modo razionale per intervenire efficacemente e validamente in una situazione, per conoscerne i problemi, le necessità e le risorse, per organizzare i fattori intervenienti, in modo da ottenere il massimo di funzionalità circa i risultati voluti, e di ridurre al minimo le incorrispondenze, i rischi e le resistenze, allora il Sinodo, come tutti gli strumenti di comunione e di operatività pastorale, esige un metodo e quindi presuppone una riflessione metodologica.

         Si avrà bisogno di reperire innanzitutto dei principi di ordine che permettano di organizzare e di progettare il cammino in questo frangente della storia, cioè dei principi di metodo che qualifichino i modi di agire sia a livello di opzioni fondamentali sia a livello di atteggiamenti operativi: non però come tecniche meccaniche dotate di effetto sicuro. Esigono tuttavia di essere assimilati nella persona dei soggetti pastorali allo scopo di qualificare la loro competenza pastorale. Esemplificando richiamo il principio di “incarnazione” come opzione di fondo che deve animare atteggiamenti appropriati e coerenti in fatto di azione pastorale.

         Da questi principi di metodo si dovrà distinguere per chiarezza ciò che viene indicato come “modelli” e “stili” di azione e a un altro livello come “procedimenti operativi”. A livello di “modelli” pastorali il sinodo stesso dovrà fare delle scelte convenienti e dovrà altresì rilevare e valutare quelli presenti nella realtà ecclesiale concreta. Mentre occorrerà avere più elasticità nel considerare e apprezzare i “procedimenti” operativi e tecnici, in quanto sono procedure, numerose e diversificate quanti sono gli operatori pastorali e le situazioni concrete in cui si attuano; sono modelli operativi in cui si compongono e organizzano i diversi elementi: personali, contenutistici, strumentali, processuali. A questo riguardo occorre fare attenzione al fatto che l’azione pastorale non può legarsi in maniera eccessiva a questi procedimenti tecnici, perché ha bisogno di inventiva e di genialità da parte degli operatori, anche se può trovare in questi alleanze preziose e aiuti necessari.

         A questo punto occorre tentare una risposta alla domanda: quale indicazioni di metodo per un Sinodo diocesano?

         La scienza pastorale, che riflette sulla prassi ecclesiale, offre alla chiesa quale soggetto pastorale le proprie acquisizioni non solo per quanto riguarda i principi e i criteri fondamentali che ispirano e guidano le attività pastorali, ma anche per quanto riguarda il metodo da seguire.

         La teologia pastorale, che si occupa della attività globale e complessa della Chiesa in vista della sua autorealizzazione e del suo rinnovamento permanente, con riferimento ai particolari contesti sociali, culturali, religiosi, ed ecclesiali, utilizza in una prospettiva teologica il metodo specifico e proprio delle scienze umane che si definisce come metodo pratico-progettuale.

         La chiesa particolare, in quanto responsabile del suo edificarsi e del suo rinnovamento accoglie e utilizza questo contributo metodologico per la propria “competenza pastorale”, che è appunto capacità di applicare quello stesso studio e quello stesso metodo alla propria situazione e condizione, nonché capacità di progettare il proprio cambiamento, il proprio futuro.

         Gli operatori pastorali sono in questo senso spinti ad apprendere e ad utilizzare il metodo progettuale che aiuta: 

         - in primo luogo, ad analizzare e valutare la situazione sulla base di una criteriologia teologica precedentemente elaborata;

         - in un secondo momento, ad elaborare criticamente gli imperativi per l’azione emergenti dalla precedente analisi e definire corrispondenti obiettivi generali dell’agire ecclesiale;

         - infine, l’aiuto concerne sia la definizione di strategie d’intervento circa i soggetti, i destinatari, i processi, gli itinerari, gli obiettivi a breve e a medio termine, i tempi di realizzazione in vista del raggiungimento degli obiettivi generali elaborati nel progetto, sia la verifica e la valutazione della realizzazione in atto del progetto pastorale e se necessario la dovuta rettifica.

         La differenza che possiamo rilevare è che la scienza teologico-pastorale si offre come teoria critica della prassi vigente della chiesa in vista del suo cambiamento, mentre l’elaborazione e la realizzazione del progetto pastorale da parte di una chiesa particolare costituisce già di fatto una prassi che pone in essere i contributi critici e gli orientamenti teologicamente fondati, offerti dalla teoria. La scienza pastorale si occupa, a livello quindi teorico, del primo momento, quello fenomenologico e interpretativo, che tiene conto anche degli apporti indispensabili delle scienze umane; mentre la chiesa particolare con i suoi responsabili si preoccupa dei momenti specificamente pratici: quello progettativo e quello strategico-realizzativo-valutativo.

         Oltre a quanto detto in riferimento agli apporti metodologici della Teologia pratico-pastorale, anche tutto quello che siamo andati esponendo nei vari punti precedenti ci porta a concludere per la scelta del metodo progettuale:

         - se l’agire della Chiesa è storicamente situato, se la Chiesa è soggetto di processi storici, allora la prassi ecclesiale non può darsi se non come progetto, di cui essa, animata dallo Spirito, è chiamata a farsi carico nei confronti degli uomini e delle situazioni concrete;

         - se la prassi della Chiesa è mediazione in ordine alla salvezza essa deve ricercare e utilizzare tutti i mezzi, gli strumenti, le risorse umane per poter favorire e rendere possibile l’incontro personale di ogni uomo con Dio, accogliendo in special modo anche i metodi offerti dalle scienze dell’azione;

         - se la chiesa locale è chiamata a superare mentalità e abitudini pastorali meramente “esecutive” e “applicative”, per essere creativa dovrà acquisire e valorizzare sempre più una competenza e una capacità progettuale;

         - se la chiesa è in cammino verso la meta ultima, che peraltro già conosce e che le viene offerta gratuitamente, è chiamata purtuttavia a muoversi nel ‘deserto’ di questa storia, e quindi a organizzarsi, a progettare il proprio itinerario, nella scansione delle tappe e dei tempi, nell’attenzione alle possibilità concrete di tutti i membri di questo popolo, nella conoscenza delle condizioni del terreno storico e culturale dove costruire strade meno impervie, nel discernimento di ciò che è da lasciare perché pesante e ormai inutile e di ciò che invece è da portarsi con sé come indispensabile e necessario.

         Inoltre, le ragioni attuali e diciamo contingenti per la scelta di muoversi nella linea del metodo progettuale rispondono anche ad esigenze provenienti dalla situazione sociale, culturale ed ecclesiale in cui ci troviamo, segnata da tendenze al pluralismo e al frammentarismo. Noto soprattutto tre principali funzioni dell’adozione di un metodo pastorale di tipo progettuale[1]:

         - la funzione unitaria e coerente a fronte di un eclettismo pastorale e contro interventi dispersivi e frammentari, per ricomporre un quadro di intenzioni e di valori condiviso anche se segnato dalla complessità;

         - la convergenza degli interventi nelle finalità e nello stile a fronte della molteplicità e pluralità: il progetto ha la funzione di far convergere i ruoli e le prestazioni in modo da evitare settorialismi e giustapposizioni;

         - infine, la funzione di risposta, che si adegua sempre di continuo alla situazione e alle domande emergenti: l’azione pastorale è anch’essa in evoluzione per il suo rapporto con le persone, con la cultura e con la società.

         Un ultimo vantaggio, ma non ultimo per importanza, è che il processo progettuale si concepisce e si realizza in maniera continua e circolare: la verifica rimanda a una nuova lettura e interpretazione della realtà e questa nuova interpretazione rimette in stato di riformulazione il quadro di riferimento ed esige di aggiornare le scelte progettuali. Ciò evita i rischi sia dello schema deduttivo: si parte da uno schema rigido di riferimento, di tipo dogmatico, per leggere la situazione, giudicandola senza lasciarsi toccare; sia dello schema opposto, quello induttivo: si dà talmente importanza alla situazione, ai problemi, alle esigenze, ai bisogni della situazione, letta mediante categorie delle scienze umane, fino ad accomodare e a volte strumentalizzare il referente biblico-teologico. La circolarità progettuale che richiama quella di tipo ermeneutico, è necessaria proprio per liberare il progetto da ogni fissità ideologica e per sviluppare una prassi teologicamente ancorata e non soltanto determinata dai bisogni.

         All’interno di questo quadro di riferimento metodologico caratterizzato dalla progettualità occorre precisare qualcosa circa il “chi” realizza e il “come” si pone in atto la dinamica progettuale, nel nostro caso relativamente al Sinodo diocesano. Offro qui una sintetica e semplice proposta, suscettibile di essere ridiscussa, approfondita e vagliata. A mio avviso sono da scartare in partenza:

         - una maniera “centralizzata”, “dirigista”, “elitaria” che si preoccupa molto della perfezione formale, della completezza contenutistica e della rapidità di attuazione, ma poco si interessa ai processi di partecipazione e di assimilazione personale e vitale;

         - e la maniera “democratica”, “assembleare” che benché si realizzi secondo la partecipazione totale, di fatto o finisce come delega in mano a pochi preparati, oppure si arena in uno sforzo senza conclusioni ed esiti soddisfacenti.

 

         Il modo, a mio avviso più valido ed interessante, sembra quello del coinvolgimento differenziato, che interessa tutti, ma affida a ruoli e competenze particolari i compiti più difficili: processo questo fondato sui tre cardini della vita comunitaria e dello stile della “collegialità”: la corresponsabilità, la partecipazione e la collaborazione.

         Questo processo articolerebbe così l’elaborazione del progetto:

         - in un primo momento un gruppo animatore guida il processo di elaborazione, studia e offre motivazioni, favorisce la corresponsabilità nella stesura provvisoria del progetto, percorrendo insieme le diverse fasi: definizione del quadro di riferimento (criteri teologici), analisi delle domande e della situazione, formulazione degli obiettivi e delle linee operative;

         - in un secondo momento vengono coinvolti tutti ai diversi livelli per discutere, meditare e modificare le formulazioni provvisorie oppure per formulare le proprie riflessioni su problemi e questioni rispondenti alla propria situazione;

         - in un terzo momento si raccoglie tutto il materiale elaborato e se ne offre una sintesi ordinata, fatta dal gruppo animatore, informandone tutti per ulteriori chiarimenti e modifiche. Così si giunge ad una formulazione completa e condivisa.

         Una cosa sembra di notevole importanza: la finalità del progetto pastorale, e quindi, analogamente, dei lavori di un Sinodo diocesano, non è tanto di mettere in mano agli operatori un nuovo prontuario di ricette pastorali né soltanto un codice di norme e regolamentazioni, quanto piuttosto quella di aiutare tutte le comunità e la chiesa particolare ad operare in modo più cosciente e responsabile al servizio della causa di Cristo e del Vangelo del Regno.

         Allora si comprende come il Sinodo non potrà essere altro che uno strumento per progettare l’itinerario che questa chiesa di Cristo, che è in Firenze, è intenzionata a percorrere nel suo prossimo futuro per adempiere oggi e domani la sua missione; una chiesa che già cammina da molti secoli, che cammina nel presente e che è chiamata a “ripensare”, a “organizzare”, a “progettare” e a realizzare nel futuro la propria molteplice azione in ordine alla salvezza: a incarnare cioè il progetto d’amore di Dio per gli uomini nei tornanti della storia e della cultura di questa città e di questo territorio umano.

 

Don Gilberto Aranci

 

[1]  Cfr. J. Vecchi - J.M. Prellezo (Edd.), Progetto educativo pastorale. Elementi modulari, LAS, Roma 1984, pp. 15-25.

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