Koinonia Giugno 2022


SEGNALAZIONE DI LAVORO: “SINODO COME LITURGIA?”

 

Dopo aver parlato di Sinodo in rapporto alla Eucarestia come suo luogo naturale, è confortante imbattersi di nuovo in un lungo a approfondito studio di Giuseppe Alberigo a suo tempo archiviato. È del 2007 ed è apparso in Cristianesimo nella storia [Cr St 28 (2007) 1-40], dove è presentato sotto la dicitura “I terreni difficili su cui si esita ad entrare”, col titolo che sembra fresco di giornata: Sinodo come liturgia?

Non sarebbe male se questo testo diventasse oggetto di stutio da parte nostra o almeno se fosse tenuto presente come impostazione storico-teologica della sinodalità, che prima di essere metodo e procedura è stile di vita e modo di essere della chiesa. Per il momento può essere utile almeno una segnalazione, se non altro per sfatare l’idea che il cammino sinodale in corso possa offrire soluzioni desiderate per un assetto ecclesiale aggiornato, quando è la stessa sinodalità a fare problema e dover essere acquisita: quanto sarebbe stato auspicabile che fosse maturato dopo il Concilio, ma che al momento attuale non risponde alle attese dei tempi. E se su questo non si fa chiarezza, il rimedio sarà peggiore del danno!

Di questo testo si riporta la parte iniziale che introduce il discorso e invita a “Ripensare la concezione della Chiesa in prospettiva sinodale”. Qualcosa che deriva dalla ritrovata conciliarità della Chiesa grazie al Vaticano II, da cui nascono “istanze stabili di comunione e di partecipazione generalizzata, alle quali sia riconosciuta anche un’effettiva, operante autorità decisionale”. Dovrebbe essere chiaro, quindi, che non si può parlare di sinodalità se non a partire dal Concilio e in vista del suo sviluppo nella storia.

Giustamente, Giuseppe Alberigo chiude la sua indagine mettendo in guardia da due rischi contrapposti. Quanto egli scrive in proposito va letto, perché diventi motivo di riflessione e di discussione nella linea Sinodo-Eucarestia: “Questa ricerca - ampliata sia alle diverse esperienze sinodali cristiane che alle assemblee giudaiche e a quelle delle società precristiane - potrebbe portare contributi interessanti al modo di concepire la ‘ekklesía’ e la koinonìa, dilatando la stessa concezione della liturgia. Nel contempo, i risultati sarebbero anche rilevanti per mettere meglio a fuoco la diversa caratterizzazione delle assemblee della società civile e politica. È, infine, opportuno avere presente che le prospettive delineate sopra possono soffrire di alcune riserve di fondo, meritevoli di attenzione. Anzitutto occorre chiedersi se un’eventuale accentuazione della connessione tra momento formalmente eucaristico-sacramentale e momento sinodale non rischierebbe di portare potenzialmente a una “diluizione” della portata sacramentale e misterica della celebrazione eucaristica. Un rischio simmetrico - anche se di segno opposto - potrebbe, inoltre, essere costituito da una ‘ecclesiasticizzazione’ della comunità cristiana nella misura in cui il sinodo, impregnato di liturgia, potrebbe essere egemonizzato dalla dimensione cultuale sino a perdere la fisionomia, ricca e composita, di espressione dell’intero popolo di Dio. Sono rischi reali che, tuttavia, non possono dissuadere da un impegno-servizio di ricerca”.

Il discorso rimane più che mai aperto ed è da riprendere appena possibile, perché diventi chiarificatore e costruttivo. Ma è chiaro che va approfondito e discusso. 

 

ABS

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