Koinonia Aprile 2022


L’INTERIORITÀ VIA AL MISTERO*

 

Colui che vuole entrare nell’intimità divina deve imparare a stare solo con Dio. Il luogo ha poca importanza purché il cuore trovi sufficiente pace e silenzio e sappia raccogliere tutte le sue facoltà solitamente vagabonde. Dio ci attende già. Poco importa che si faccia vedere oppure no; tu saprai che la sollecitudine del suo amore ha preparato tutto, la mensa e la dimora. Dio vuole davanti a sé un essere reale che sappia piangere e gridare sotto l’effetto della sua grazia. Vuole un essere che conosca il prezzo dell’amore umano, un essere che senta anche un desiderio violento di resistergli. Molti, tra coloro che si donano a Dio, hanno semplicemente offerto alla sua azione una personalità presa a prestito.

Il mistero che ci abita interiormente chiama con forza lacerante ad entrare in relazione con Lui, e nessun essere esteriore può aiutarci a penetrarvi né può scoprire per noi il segreto della sua bellezza. È nostro compito entrare e contemplare questo mistero. Quando la persona ricerca l’interiorità, l’intimità con Dio si immerge nell’abisso della solitudine, si scopre invitata all’ascolto. Imparare a udire il dolce mormorio dell’interiorità esige un incessante raccoglimento. La solitudine permette di stare estasiati e immobili davanti al volto divino il cui splendore rende muti. La luce che emana da questo volto, il più spesso nascosto, rischiara colui che si mantiene “solitario e silenzioso”.

Quando la persona interiore avanza nella ricerca di Dio, il silenzio la unifica e la fa diventare simile “a una calma marea”. Il mistero non consegna il proprio contenuto a chi non ama la interiorità. Egli si manifesta come trasparenza che testimonia una Presenza e questo produce uno stupore. L’interiorità tutto trasforma in nutrimento per saziare il corpo, l’anima, il cuore e lo spirito. La persona partecipa a questa mutazione passando dall’oscurità alla luce. La pienezza della luce attinge dalla contemplazione del Mistero. L’oscurità attinge ai fantasmi dell’immaginario.

Visione autentica e spoliazione totale si avverano quando si accede alla montagna del profondo, nella profondità dello spirito; allora la montagna del profondo e la visione si unificano e sfociano nella pienezza del silenzio. La montagna del profondo provoca in se stessi e in altri una lettura del cuore, direbbero giustamente i mistici, non provoca alcun giudizio di valore: tutto è visto come fosse un paesaggio, con le sue zone di sole e d’ombra, con la luce e l’oscurità. Ogni salita comporta la brusca visione di crepacci e di burroni, di abissi che possono provocare vertigini e bloccare d’improvviso il passo.

L’uomo orientato verso la scalata della montagna dentro di sé non sta a spiare l’arrivo di rivelazioni interiori. Espropriato di se stesso, l’audizione che lo riguarda non viene recepita; perciò nessuna rivelazione interiore potrebbe inorgoglirlo. Egli la recepisce come un dono interamente gratuito, come una rugiada mattutina, una brezza gravida di eternità. In ogni caso, il silenzio dell’altitudine interiore rende impotenti a discorrere sull’invisibile. Nulla potrebbe essere trasmesso senza alterazioni e falsi accenti. Si tratta di un disagio interiore? Sarebbe senza dubbio più esatto parlare di un monologo molto raro. Il vento soffia sulle vele di una barca: a seconda della sua presenza o assenza l’imbarcazione avanza più o meno rapidamente.

Quando si verifica questa visione, il soggetto, totalmente abbandonato alla dimensione divina, l’accetta. È, questo, un supremo e inatteso distacco a cui è segretamente invitato. Questo comportamento conduce senza dubbio a una forma di santità, di perfetta saggezza. La visione interiore rivelatrice moltiplica la percezione dell’orecchio interiore, che distingue, senza volerlo, la giustezza e la falsità dei suoni, avvertendo una cacofonia a volte intollerabile. Quando si raggiunge la profondità e si visita uno spazio di silenzio, allora si conosce lo stupore. Parlare oggi di stupore può sembrare frutto di una dolce follia: ci siamo allontanati dagli oranti e dai sapienti che sapevano manifestare il loro incanto. Questi uomini erano colmi di meraviglia evocando il riflesso del mondo invisibile.

La bellezza istituisce una comunicazione con l’invisibile, che s’inabissa nella breccia aperta dallo stupore. Il fascino suppone il risveglio dello sguardo interiore e, insieme, dell’udito. Uno stato di vacanza, cioè di riposo, favorisce la gioia. Cogliere la bellezza è un movimento lento o un atto immediato; ma è sempre richiesta una disponibilità. Essere di corsa, descrivere rapidamente, per mancanza di tempo, l’accesso alla bellezza non permette di assaporarne lo splendore. Per certi temperamenti si dimostra necessaria la solitudine, perché il rapimento collettivo rischia di essere frutto di un contagio. Lo stupore invade l’essere nella sua totalità: nulla di sentimentale; l’emozione avvertita produce un trasalimento e un cambiamento di livello. Così lo stupore spinge in alto, orienta verso il mistero. Quando scompare, rimangono tracce del suo passaggio, come la scottatura del sole che è impossibile localizzare. La persona diventa una fiamma: s’arrossa, prende fuoco: eccola diventa incandescente. Lo stupore è il frutto di un’esperienza singolare, appare quasi impossibile condividerlo. Perciò rimane segreto; e tuttavia colora l’esistenza.

Nel mistero dell’eternità l’esperienza di una beatitudine, anche passeggera, si spande su tutti gli esseri umani: quelli del passato, del presente e del futuro.

 

Mario Guariento

in Contemplazione. Poesie, pp.5-8

 

*È la riflessione con cui Mario Guariento introduce la sua raccolta di poesie “Contemplazione”, che continua in un secondo volume. Ce ne ha fatto omaggio e lo vogliamo ringraziare, anche perché ci dà modo di rivivere una fraterna amicizia con lui e con la comunità di Via Sorio di Padova. Ringraziando lui, con le sue parole auguriamo Buona Pasqua a tutti.

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