Koinonia Aprile 2022


Omelia del P.M.-D.Chenu op nella celebrazione eucaristica

Congresso mondiale L’AVVENIRE DELLA CHIESA

Bruxelles, 1970

 

Prologo della Somma Teologica di san Tommaso d’Aquino

 

Il dottore della verità cattolica deve istruire non solo gli iniziati, ma anche i principianti, secondo il detto dell’Apostolo in 1 Cor: «Come a bambini in Cristo vi ho dato da bere del latte, non del cibo solido»; perciò l’intento che ci proponiamo in quest’opera è di esporre quanto concerne la religione cristiana nel modo più confacente alla formazione dei principianti. Abbiamo infatti notato che i novizi in questa disciplina trovano un grande ostacolo negli scritti dei vari autori: in parte per la molteplicità di questioni, articoli e argomenti inutili; in parte anche perché le cose che essi devono imparare non vengono insegnate secondo l’ordine della materia, ma piuttosto come richiede il commento di dati libri o l’occasione delle dispute; e infine anche perché quel ripetere sempre le medesime cose ingenera negli animi degli uditori fastidio e confusione. Cercando quindi di evitare questi e altri simili inconvenienti tenteremo, confidando nell’aiuto di Dio, di esporre la dottrina sacra con la maggiore brevità e chiarezza consentita da tale materia.

 1. Non è soltanto per amichevole convenienza che mi rivolgo, insieme, ai teologi professionisti qui riuniti in convegno e al più vasto uditorio che, da vicino o da lontano, partecipa a questa celebrazione eucaristica, e fin da adesso alla liturgia della Parola. È la natura stessa della teologia - del lavoro teologico - che esige questa comunione del popolo di Dio, al di là degli ambienti di studio. Separare il lavoro tecnico dei professionisti dal supporto umano della Parola di Dio nel mondo, è stato, per la teologia, uno scisma quasi mortale: si sono elaborate delle sovrastrutture concettuali, staccandosi dalla presenza dello Spirito che lavora nella comunità dei credenti, dallo Spirito che, secondo il testo che abbiamo letto or ora, «conduce i credenti verso la verità tutta intera, e annuncia le cose future».

Infatti la teologia non è, in primo luogo, un discorso su Dio che elabora proposizioni articolate tra di loro, in una serena obiettività; è la Parola di Dio in atto, in tutte le fibre e le ricchezze del mio spirito, in tutte le opere della comunità, dalle percezioni elementari fino alle curiosità dell’intelletto, dalle contemplazioni segrete fino ai miti sociali. Essa non viene a sovrapporre, a un dato ricevuto dal di fuori nell’obbedienza della fede, un’elaborazione aristocratica di proposizioni puramente oggettive, per un insegnamento razionalmente trasmissibile secondo le sole norme della logica del giudizio. La Parola di Dio, divenendo teologia, non si trasforma in ideologia - nemmeno delle idee divine discese in noi. Essa resta comunione al mistero, e si mantiene in una confessione di fede, anche quando è trascinata dalla ricerca. È, in me, l’essere ‘nuovo’ conferito dal Cristo, nel suo Spirito, che si esprime in tutti i suoi organismi e innanzitutto nell’organismo dell’intelligenza. «Non vi è teologia senza una nuova nascita» diceva già a Tubinga, più di un secolo fa, J. Kuhn. Ed è ciò che Karl Barth, nel 1962, riflettendo sulla propria opera, durante l’ultimo semestre del suo insegnamento, chiamava «l’esistenza teologica»: non solo un metodo per costruire una dogmatica, ma una riflessione sull’esistenza dovuta al fatto di essere associati a Dio nel suo atto di Parola. Tale è il realismo della fede, trasposta in teologia, il cui oggetto, nella sua potenza di divinizzazione, non è una mera possibilità di annuncio, ma la realtà divina che viene a me e dalla quale sono raggiunto.

 

2. La verità evangelica sarà dunque di un ordine diverso dalla verità metafisica, anche se ricusiamo una incompatibilità tra la teologia della Parola e la filosofia dell’essere. La stessa parola ‘verità’, nel linguaggio biblico che gli esegeti hanno magistralmente analizzato, è impregnata da una densità originale: verità è fedeltà, giustizia, certezza, pace, dirittura. «Fare la verità» dice san Giovanni (Gv. 3,21; e Gv. 1,6); espressione inintelligibile, per un certo intellettualismo. Essa non deriva dunque da proposizioni nelle quali si sarebbe fissata fuori del tempo, e che noi manipoleremmo da buoni logici, in una sorta di metafisica sacra, sotto la tutela di un’autorità; ma procede da una storia che Dio guida, in avvenimenti di salvezza, nei quali egli si rivela. La rivelazione è l’atto con cui Dio si è rivelato durante il corso della storia, e con il quale seguita a rivelarsi, per un’estensione che si dilata lungo il corso dei secoli, fino all’investimento totale compiuto in Cristo, nella pienezza dei tempi. Dio parla oggi, nella comunità cristiana, a partire da questa «concentrazione cristologica» che lo Spirito, secondo la promessa di Gesù che abbiamo or ora udita, distribuisce e svela in una molteplicità di segni che annunciano le cose future, vale a dire il nuovo ordine di cose, nate dalla morte e dalla risurrezione del Cristo.

Il tempo entra nel tessuto della rivelazione. La teologia che ne deriva è così in tensione tra due poli: la verità eterna del suo oggetto e la situazione contingente nel tempo. Essa deve adempiere a due condizioni fondamentali: fornire un’espressione alla verità del messaggio cristiano e adattare quest’espressione stessa ad ogni situazione. La ‘situazione’ include la totalità della coscienza creatrice che l’uomo ha di se stesso in un determinato momento, la somma delle forme scientifiche, artistiche, economiche, politiche, sociali o morali in cui la coscienza di una generazione trova, con la propria espressione, il soddisfacimento delle sue speranze. Da questo punto di vista, nella nuova civiltà, la ‘secolarizzazione’, come presa di coscienza della promozione e dell’autonomia dell’uomo, pur attraverso gravi rischi, fornisce al teologo un’occasione propizia per la sua intelligenza. Al limite lo stesso linguaggio, primo luogo dell’interpretazione della Parola, deve essere prodotto dalla comunità in stato di effervescenza e di espressione dello Spirito.

La teologia è dunque, per sua natura, nella fede, in stato di ricerca. Il vertice, l’epicentro non è, come è successo per quattro secoli, la moltiplicazione delle sovrastrutture ma, nel cuore della fede, l’ansia di raggiungere senza sosta, e in modo sempre nuovo, la Parola, nella sua perenne interpretazione, dove l’autonomia carismatica e profetica dello Spirito trova una garanzia privata ed una sicurezza collettiva nella comunità gerarchica e magisteriale.

 

3. Alla fine, e nel momento in cui ci accingiamo al lavoro, bisogna indubbiamente insistere sul rigore di questa ricerca. Capita che alcuni, oggi come sempre nei tempi di risveglio evangelico, cedano a un empirismo apostolico troppo poco attento alla severa razionalità del mondo. A chi sarebbe incline a pensare che l’assoluto della Parola di Dio lasci alla sua vanità la ragione dell’uomo, coi suoi concetti e i suoi vocabolari, che il Vangelo sia un puro kérygma, un ‘grido’, e che l’esperienza diretta di piccole comunità sia l’unico terreno fecondo, bisogna ricordare con fermezza che la teologia, Parola di Dio, si sviluppa in sapere, nella misura stessa in cui la Parola di Dio si incarna in una parola umana, nell’intelligenza, nel senso più alto della parola. Intellectum valde ama, diceva sant’Agostino, poco sospetto di intellettualismo.

In questo intellectus fidei, debbono essere impegnati tutti i livelli epistemologici, tutte le discipline e tutti i metodi, tutte le grammatiche, tutte le cariche immaginative e poetiche, tutte le qualità dello spirito, ivi compresa la più fondamentale che è la contemplazione, troppo sovente relegata tra le pie suppellettili, mentre è invece un atto ‘teologale’. La divinizzazione non si verifica, nella fede, che attraverso un’umanizzazione. È l’uomo che è soggetto ed attore della fede, fin nelle sue invenzioni. Questo equivale a dire che il nostro lavoro, in questi giorni, è un lavoro d’uomo, se è vero che non c’è teologia senza antropologia.

 

4. La congiuntura, nella contestazione estesa a tutti i livelli, nel pensiero come nell’istituzione, in cui l’uomo stesso è messo in causa, può parere sconcertante. Ma in effetti questa stessa congiuntura è gravida di speranza nella misura in cui la teologia troverà salute, vigore, lucidità, gioia, nel discernimento fondamentale dei segni dello Spirito che, come dice il concilio, «guidando il corso dei tempi e rinnovando la faccia della terra, è presente a questa evoluzione» (Gaudium et spes, 26). Riconoscete, in questo passo, il nostro testo di san Giovanni; poiché, in definitiva, è in questa evoluzione che la teologia affronta il ‘mistero’, se è vero che la storia è il luogo teologico del ‘mistero’.

In un’allegoria assai suggestiva san Tommaso descrive simbolicamente il confronto del teologo col mistero di Dio. Evocando l’episodio della lotta di Giacobbe con l’angelo (Gen. 32) commenta: durante tutta una notte si affrontarono, muscoli tesi, senza che nessuno dei due cedesse. Di primo mattino l’angelo disparve, lasciando apparentemente il campo al suo avversario; ma Giacobbe avvertì allora un vivo dolore a una coscia e rimase ferito e claudicante. Così il teologo affronta il mistero, al livello del quale Dio l’ha portato. Egli è teso, come un puntello, alle sue espressioni umane; ne aggredisce gli oggetti alla cintola; sembra dominarli; ma a quel punto avverte una debolezza, a un tempo dolorosa e dolce; perché essere così vinto è in effetti il guadagno del suo divino combattimento.

 

M.-Dominique Chenu op

 

In Il libro del Congresso, Queriniana 1970, pp.61-65

(traduzione dal francese di Adriana Zarri)

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