Koinonia Marzo 2022


ANNOTAZIONI A MARGINE

 

L’intervento di Carlo Bolpin dà modo di riprendere il confronto sulla proposta della rivista Esodo, rivolta alle riviste che fanno parte della Rete Viandanti, e sulla quale personalmente ho già fatto alcune annotazioni. Che forse  però possono essere chiarite meglio, alla luce di quanto possiamo leggere ora. È importante che i nostri discorsi abbiano sempre delle valenze aperte, per diventare discorso comune!

Colpisce il fatto che già si avverte qualche venatura di scetticismo riguardo all’andamento del cammino sinodale e alla stessa impostazione del sinodo, che non può dare soluzioni a problemi inerenti al mondo della fede per via di consultazioni o sondaggi, certamente tardivi rispetto a quando la base diceva e poteva dire qualcosa. I dati di analisi offerti sono certamente incontrovertibili, ma non è per via analitica che si può dare risposta alla situazione critica che ne emerge. Anzi, ne nasce un circolo vizioso, quando si dice per esempio che “il problema che ci riguarda è all’interno del popolo”, per poi chiedersi giustamente: “Come si può, quindi, rifarsi alla voce del Popolo? a quale Popolo?”.

In effetti, se il vero problema è la nascita di un Popolo nuovo, come aspettarsi che a generarlo sia quello vecchio?  È sufficiente una metamorfosi? Forse c’è grande sproporzione tra la battaglia intrapresa e le forze messe in campo. Messa dunque da parte ogni soluzione fattuale sul piano sociologico, quantitativo ed efficientista relativo alla persistente presenza della chiesa nel tessuto sociale, si afferma che “La crisi è teologica, cristologica, mette in questione l’annuncio di Gesù Cristo e il significato della sequela”. Se è qui il punto dolente, io aggiungerei che è anche o soprattutto problema “pastorale”, nel senso di “magistero a carattere prevalentemente  pastorale” di Giovanni XXIII, e nella prospettiva delle Costituzioni del Vaticano II.

Individuato il punto critico, c’è però da intendersi su quale interpretazione dare a questa crisi, e soprattutto sul modo di trattarla. Stando a quanto in proposito ci dice Carlo Bolpin, a me sembra che si vada incontro ad una “petitio principii”, nel senso che si prospetta come soluzione quello che invece è il problema, come quando si dice che “il problema è se crediamo in Gesù Cristo come evangelo vivente oggi o no”, dopo che nel titolo dell’articolo si presenta Gesù come “norma della chiesa sinodale”. In questo modo si precisa di cosa dovrebbe preoccuparsi un sinodo, ma è chiaro che siamo sempre al palo di partenza. Non mancano naturalmente indicazioni di metodo, che è bene cogliere, perché è in fondo su questo che verte tutta la questione: in quale direzione cercare una risposta alla crisi della fede, in quanto  viviamo in un mondo in cui “non c’è più bisogno di un ‘credo’, di una comunità confessante”.

Per quanto riguarda la crisi cristologica si dice: “Centrale per noi è la domanda di Gesù Chi dite che io sia?, capace di far chiarezza e di orientare contenuti e metodo del percorso sinodale”. All’atto pratico, però, la risposta viene affidata alla “capacità di testimoniare la carità, all’interno delle comunità e nella società, non creando istituzioni ma costruendo comunità di accoglienza, solidarietà”. Una questione già presentata come “teologica” viene spostata sul piano pratico della testimonianza, in attesa che i nodi vengano al pettine. A questo proposito si ricorda che “papa Francesco preme continuamente sulla necessità della chiesa in uscita”. Ma basta promuovere un sinodo per ottenere tutto questo o è quanto un sinodo dovrebbe promuovere e fare? E come allora?

Oltre che cristologica, si dice anche che la crisi è “teologica”. Mi sembra però che a questo proposito non si dica nulla, a meno che non si intenda che sono in gioco materialmente  temi di fede, come la cristologia.  Ma se di  “crisi teologica” si tratta, questa  ha una sua precisa rilevanza, disattesa e penalizzata, per cui manca una visione d’insieme unitaria  e ci si contenta di dare di volta in volta risposte puntuali e settoriali ai vari problemi, accrescendo fratture e quella frammentarietà di base a cui si vorrebbe rimediare.

Diciamoci francamente che è andato in disuso, se non in disprezzo, un modo di pensare la fede con radicale realismo (vita teologale) e con una sua coerenza interna in rapporto  al mondo (dimensione teologica). Siamo troppo approssimativi ed estemporanei al riguardo, mentre esiste una vera e propria “questione teologica”  lasciata troppo facilmente alle spalle, con questa palese contraddizione: che mentre si afferma che il Vaticano II è stato fatto da teologi,  il dopo-concilio sembra aver potuto fare a meno di una visione teologica d’insieme, per lasciare spazio ad un pragmatismo di cui stiamo raccogliendo  i frutti nella crisi in cui ci dibattiamo. C’è come un vuoto tra la “lex orandi” e la “lex operandi”, perché manca la “lex credendi”; tutto sembra risolversi in chiave celebrativa ed intimista, o sul piano operativo, mentre “pensare la fede” sembra un lusso per pochi e superfluo per i più.

Sia per avere un assaggio di questa problematica, ma soprattutto per ricordare Carlo Molari, di seguito possiamo leggere un suo scritto  del 1977 - “ Teologia e storia” - che ci apre ad una dimensione teologica  che non può rimanere solo appannaggio di addetti al lavoro, ma deve innervare la coscienza di un Popolo di Dio che si vuole “profetico”.

 

Alberto B.Simoni op 

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