Koinonia Marzo 2022


TEOLOGIA E STORIA

 

C’è una risposta ai mali presenti dell’uomo? È fatale la dinamica dell’odio oppure la buona volontà può trovare ancora una volta la via per venirne fuori? L’egoismo è radicato nell’uomo al punto che tutte le strutture operative ne riflettono necessariamente la forza distruttrice, oppure l’amore ha una carica potenziale maggiore? La violenza è una via giusta per giungere alla pace e alla giustizia? In una parola: c’è una salvezza storica per l’uomo o egli deve solo attenderne una celeste?

La Chiesa crede di avere delle indicazioni di risposta a questi come a tutti i problemi che coinvolgono, in qualche modo, l’orientamento profondo ed il significato radicale dell’esistenza. Ma all’interno della Chiesa vi sono, attualmente, due modi diversi di concepire tali indicazioni.

Alcuni pensano che esse siano già tutte date nelle formule bibliche e storiche o, in ogni caso, che debbano essere offerte dall’autorità della Chiesa (Papa e vescovi) in base appunto a quelle formule.

Altri, invece, pensano che tali indicazioni emergano solamente attraverso l’esperienza che dei singoli problemi fanno coloro i quali, credendo in Cristo, l’affrontano in una prospettiva di fede e che il magistero debba riferirsi ad essa per enunciare in modo efficace la salvezza per l’uomo del nostro tempo.

Solo a queste condizioni le formule risultanti potranno essere considerate un riflesso storico della Parola di Dio, cioè una espressione concreta della forza profonda che regola l’esistenza, o una emergenza della struttura fondamentale su cui poggia la trama dell’avventura umana. Le differenze pratiche di queste due impostazioni saltano agli occhi. Per i primi la preoccupazione fondamentale è quella di seguire le indicazioni della Scrittura concretizzate di volta in volta dal magistero ecclesiastico. Per i secondi la preoccupazione fondamentale è quella di creare degli ambienti di vita dove sia possibile far risuonare le Parole di Dio per noi, risposte che siano espressione concreta del Vangelo in situazioni nuove. Occorre tener presente che in ambedue le impostazioni sono operanti alcuni dati fondamentali della fede cristiana:

- Che l’uomo nella sua avventura storica è guidato da una Parola creatrice e sostenuto da un Amore evocatore della vita;

- Che tale Amore e tale Parola diventano concreti solamente attraverso una «incarnazione » cioè un inserimento nella storia o una traduzione intelligibile realizzati da operatori umani;

- Che la salvezza definitiva dell’uomo è credibile solo se si danno delle anticipazioni storiche, che fanno intuire la realtà della fine e danno la possibilità di attenderla;

- E che, infine, nella comunità ecclesiale la struttura magisteriale ha una funzione propria e insostituibile nella proposta definitiva dei dati emergenti dalla vita di fede. Al secondo orientamento sono state recentemente imputate alcune carenze: in particolare di non tener sufficiente conto della rivelazione, di dare troppo spazio alle scienze umane e di svuotare così la funzione propria della teologia.

 

Rivelazione ed esperienza di fede - Vorrei mostrare l’inconsistenza di queste accuse o almeno gli equivoci su cui esse poggiano. La pretesa di conoscere la realtà di Dio indipendentemente dalla sua azione per la salvezza dell’uomo è caduta da tempo, da quando soprattutto essa è apparsa come un male sottile, come il volto più equivoco dell’antica tentazione di essere Dio.

Nel cristianesimo, in particolare, non sembra esservi altro spazio alla riflessione su Dio, se non quello aperto dalla sua azione nella creazione e nella storia. La proibizione biblica di fare qualsiasi immagine di Dio e di pronunciarne il nome rispondeva anche alla convinzione che nessuno può conoscerlo e nessuno quindi può parlarne senza deturparne il volto. Una sola cosa l’uomo può fare: narrare le meraviglie di ciò che gli accade attorno. Gli eventi della storia e le strutture del mondo creato costituiscono l’unico alfabeto accessibile all’uomo che vuole esprimere la propria fede.

La teologia è il tentativo di cogliere le componenti, di ordinare i significati, di individuare la grammatica elementare di questo linguaggio vitale. Esso parla dell’uomo in cammino verso Dio, o dell’esperienza che l’uomo fa dell’azione di Dio nei suoi confronti. A queste osservazioni si potrebbe opporre: tutto bene se non vi fosse la rivelazione. Se Dio ci ha parlato di sé è possibile ordinare una riflessione teologica, servendosi appunto delle sue stesse formule. Questa difficoltà suppone che esistano delle formule di una lingua divina che in certe circostanze gli uomini abbiano ascoltato. Questa ipotesi è insostenibile. Tutte le parole che gli uomini possono ascoltare, capire e quindi usare nascono dalla loro esperienza. Per parlare agli uomini anche Dio deve quindi usare espressioni umane. Ma queste immediatamente e direttamente esprimono l’esperienza dalla quale nascono. Anche se usata da Dio la lingua umana parla prima di tutto della storia dalla quale è sgorgata e include necessariamente tutto lo spessore interpretativo che ha accompagnato la esperienza.

La rivelazione non è costituita da un puro pensiero divino, ma da una serie di eventi che costituiscono la storia degli uomini, dalla quale sgorgano formule intessute di esperienze umane.

 

Teologia e scienze – È in questa prospettiva che si deve ammettere la legittimità di un’analisi scientifica delle formule della rivelazione e di quelle teologiche. Per molto tempo i credenti hanno escluso questa possibilità e hanno rivendicato un’autonomia assoluta alla rivelazione.

Poi attraverso esperienze, spesso dolorose, hanno compreso la necessità di sottoporre al giudizio delle scienze anche le formule della rivelazione. In questo modo ciò che in altri tempi veniva accolto integralmente quale discorso di Dio agli uomini è apparso intessuto di molteplici infiltrazioni umane.

Ciò non impedisce tuttavia agli uomini di oggi di accogliere i significati profondi delle esperienze storiche vissute dall’umanità e di ritenere che attraverso esse Dio ha guidato l’umanità a scoprire il senso della vita. Ma perché ciò avvenga è necessario che il credente sappia rivivere le medesime esperienze vitali e riesca così a rendere significative attraverso la propria esistenza le formule antiche. Le parole di giorni lontani appaiono in tal modo Parole di vita e possono ancora essere annunciate come salvezza per l’uomo.

Come le scienze non sono di per sé un criterio della rivelazione ma del suo rivestimento storico, così non lo sono della salvezza, quanto piuttosto delle sue concretizzazioni storiche. La vita ha in se stessa criteri e giustificazioni, ma le scienze possono analizzare le sue manifestazioni storiche per coglierne imperfezioni e inautenticità.

Il credente quindi accetta volentieri il giudizio delle scienze sulla propria esperienza di fede anzi lo sollecita. C’è salvezza per l’uomo che odia e vuole imparare ad amare? Per chi dispera e vuole continuare a credere nella vita, per chi soffre il peso del peccato e se ne vuole liberare? Per chi è oppresso e anela alla libertà? La comunità ecclesiale nel mondo ripete ancora oggi l’annuncio antico: Dio per mezzo di Cristo ha dato all’uomo la possibilità di sperare, e di vincere il male. Tale annuncio sarà efficace solo se emergerà dall’esperienza di una molteplicità di uomini che in diverse situazioni storiche, riferendosi a Cristo, hanno scoperto realmente la- possibilità di vincere i mali dei nostri giorni.

Se i credenti accetteranno il giudizio della storia e la loro esperienza apparirà nonostante tutto autentica, allora potranno considerarsi proposta di salvezza, stimolo di rinnovamento; sapranno cioè rendere conto della speranza che portano nel cuore.

 

Carlo Molari

In L’uomo del settimo giorno, a cura di G.Zizola, Borla 1977, pp.33-39

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