Koinonia Marzo 2022


 ISRAELE – PALESTINA: QUALE PACE POSSIBILE?

 

Il 13 febbraio scorso presso la parrocchia di Ricorboli a Firenze si è concluso un ciclo di incontri che hanno avuto come oggetto il conflitto fra israeliani e palestinesi che si protrae da parecchi decenni.

Un pregio dell’iniziativa, che nel complesso è stata giudicata molto positiva, sta nel fatto che non ci si è fermati all’attualità, ma che finalmente si sono ricercate le cause, anche lontane, di un dramma che allo stato attuale sembra senza soluzioni.

Innanzitutto si è sgombrato il campo dal luogo comune che vede israeliani e palestinesi nemici da sempre. Non è affatto così. Ebrei e musulmani hanno convissuto pacificamente per secoli, sia in Terra Santa che altrove.

A seguito delle ricorrenti persecuzioni che hanno subito nell’Occidente “cristiano” gli israeliti hanno spesso trovato riparo in molti territori islamici, dal Marocco alla Turchia, ma non in Palestina, che indubbiamente offriva minori opportunità: per secoli infatti, dispersi in ogni angolo del mondo, Gerusalemme venne da loro vissuta come il simbolo di una patria spirituale, religiosa, non come un luogo dove tornare necessariamente.   

Il progetto del ritorno in Palestina (sionismo) nasce nel corso dell’800, quando in tutta Europa si affermano i movimenti indipendentisti dei vari popoli. Nel caso degli ebrei europei a questo sentimento nazionale diffuso si aggiunge il fatto di essere sempre perseguitati da un pregiudizio antiebraico duro morire.

Negli anni immediatamente successivi alla Grande Guerra Francia e Inghilterra impongono in tutto il Medio Oriente protettorati (una forma di colonialismo mascherato); di qui un risentimento antioccidentale da parte degli arabi, uno stato d’animo che investe anche gli ebrei d’Europa quando questi  cominciano a emigrare in Palestina, accaparrandosi sempre più terre. Il conflitto degenera in guerra aperta dopo la seconda guerra mondiale. La vittoria degli ebrei porta alla nascita dello stato di Israele con la cacciata di molte centinaia di migliaia di palestinesi dai propri territori.

Da allora il conflitto tra israeliani e palestinesi non è mai cessato. I primi, memori dello sterminio subito con la shoah e timorosi di essere pochi in mezzo a ben più numerosi popoli arabi ostili (1) hanno introiettato l’idea di diventare una potenza militare inattaccabile, dotata anche di armi nucleari; e al tempo stesso, a seguito di ricorrenti scontri armati dai quali sono usciti sempre vincitori hanno allargato il proprio stato, riducendo i palestinesi a vivere in piccole aree senza neppure una continuità territoriale: una situazione che richiama quella del Sudafrica all’epoca dell’apartheid, come ha recentemente denunciato Amnesty International. Innumerevoli volte l’ONU ha proposto sanzioni contro lo stato di Israele per questa sua politica, misure che non sono mai diventate operative. Lo stato ebraico, il più stretto alleato dell’America e garante della supremazia di quest’ultima in Medio Oriente, può vivere sonni tranquilli.

Anche i richiami di papa Francesco a difesa del popolo palestinese sembrano cadere nel vuoto.

In quanto alla posizione dell’Italia sul conflitto Israele-Palestina il nostro paese sembra avere un atteggiamento contraddittorio. Da un lato continua a sostenere la tesi “due popoli, due stati”, favorevole quindi alle richieste del popolo palestinese, una soluzione che Israele vede come il fumo negli occhi perché a suo avviso contraria alla sua sicurezza. Dall’altro canto però in sede ONU l’Italia non si pronuncia mai a favore di sanzioni contro lo stato ebraico e nelle situazioni di maggiori attrito fra le due parti, anche quando gli attacchi aerei israeliani sono particolarmente devastanti, come quelli dell’estate scorsa su Gaza, si mostra equidistante. È evidente che in queste scelte l’alleanza con gli USA gioca un ruolo determinante.

 

Il contenzioso Israele-Palestina si complica poi ulteriormente a causa dell’antisemitismo che continua a presentarsi ricorrentemente. A questo punto il conflitto in corso, oltre al suo carattere politico, assume la veste di uno scontro ideologico e ad un tempo religioso, del tutto fuori luogo. Per la maggioranza degli ebrei, per fortuna non per tutti, ogni critica a Israele viene percepita come un segno di antisemitismo. È un atteggiamento, questo, che sembra aver fortuna anche in Italia, soprattutto a livello delle istituzioni. È di recente uscito un documento del Ministero dell’Istruzione sull’antisemitismo. È un corposo testo di quasi trenta pagine che nel suo complesso contiene valutazioni in gran parte condivisibili, tranne alcuni discutibili giudizi storici sul sionismo. Desta però più che legittime perplessità quella pagina dedicata allo stato di Israele, laddove si invitano gli insegnanti ad andare molto cauti nelle critiche per non favorire sentimenti antiebraici (2). È questa una scelta miope e controproducente. Non è nascondendo la verità - la politica oppressiva dei governi israeliani (3) nei confronti dei palestinesi -  che si fa il bene del popolo ebraico. Anzi, come conseguenza si ottiene proprio l’opposto, perché non è accettabile che nel giudizio sul conflitto in corso si usino due pesi e due misure, quasi un risarcimento agli ebrei per le sofferenze patite durante la shoah.

Fa tristezza poi constatare che questo cortocircuito per cui criticare Israele equivale a essere antisemiti viene cavalcato proprio da settori della destra, anche i più estremi, proprio quelli che da sempre si sono dichiarati ostili al mondo ebraico.

 

Bruno D’Avanzo

 

 

NOTE

(1) Questa psicosi dell’accerchiamento ormai da vari decenni non ha alcuna ragione di esistere, dato che la potenza militare di Israele è ben superiore a quella di tutti gli stati arabi confinanti messi assieme. Recentemente, poi, è stato stipulato, con la benedizione degli USA, il “Trattato di Abramo”, un accordo con alcuni paesi musulmani tra cui la vicina Arabia (tra l’altro una delle nazioni più reazionarie del mondo). A questo punto l’idea dell’accerchiamento risulta non solo insensata, ma addirittura ridicola.

(2) Queste posizioni assunte dagli estensori di un documento tanto ufficiale, data la delicatezza del tema in oggetto, rischiano di indurre non pochi docenti ad autocensurarsi, per timore di incorrere in sanzioni da parte di dirigenti scolastici troppo zelanti.                 

(3) Molti potrebbero ribattere che anche da parte dei palestinesi (un settore dei quali vorrebbe che lo stato di Israele sparisse dalla faccia della terra) si mettono in atto violenze contro gli israeliani; ma se teniamo presente l’enorme squilibrio fra le parti in conflitto e le quotidiane sofferenze dei palestinesi (raccolti dei campi distrutti, case abbattute, giovani incarcerati a migliaia con pretestuose accuse di terrorismo, violenze verbali e fisiche da parte dei coloni ebrei) non si può che essere d’accordo con le delibere dell’ONU.

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