Koinonia Marzo 2022


La vita religiosa: dal caos al “Kairòs”

 

NELLA PROSPETTIVA DEL CAMMINO SINODALE

 

Tornare alla piccolezza e alla minorità delle origini

Alle origini di ogni nuova comunità religiosa, al momento della sua fondazione, ci sono pochi membri poveri, deboli, sconosciuti, che si autodefiniscono piccoli: fratelli minori, minimi, minima compagnia, piccoli fratelli e sorelle ecc. Con gli anni, questa piccolezza spesso si è trasformata in grandezza e in ostentazione. Abbiamo scelto l’opzione per i poveri, ma non siamo stati più poveri. Oggi le circostanze ci riportano alla minorità delle origini: siamo pochi, deboli e poveri, non abbiamo un futuro assicurato, come non l’hanno neppure i poveri. Non possiamo offrire alle giovani vocazioni sicurezza e complete garanzie: possiamo invece promettere loro una grande avventura evangelica, aperta al futuro e al soffio dello Spirito.

Ci tocca vivere la piccolezza del granello di senape e del lievito (cfr Mt 13,31-33), seguire un Gesù che non ha dove posare il capo (cfr Lc 9,58). La vita religiosa non è un privilegio, ma è un’avventura emozionante, un rischio evangelico, aperto alla novità dello Spirito Santo. Il nostro aiuto ci viene dal Signore e dalla presenza vivificante del suo Spirito.

 

Entrare nel dinamismo sinodale

Consideriamo ora un aspetto complementare al precedente. «Sinodo» significa etimologicamente «camminare insieme», e questa è, secondo Giovanni Crisostomo, la definizione della Chiesa (cfr PG 55, 493). Sinodalità è entrare in questo camminare insieme con tutto il popolo di Dio che, nato dal battesimo e con l’unzione dello Spirito, possiede un senso della fede tale da renderlo infallibile nel credere (cfr LG 12). La sinodalità è il cammino che Dio attende dalla Chiesa nel terzo millennio, come ha affermato papa Francesco nel discorso del 17 ottobre 2015, in occasione del 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo dei vescovi.

Anche la vita religiosa deve entrare nella prospettiva di un cammino di sinodalità. Ciò implica che ci gettiamo alle spalle privilegi e aristocrazie economiche, culturali e spirituali, per inserirci nel santo popolo di Dio che ha ricevuto lo Spirito. Non si tratta di rinunciare alla nostra identità carismatica, ma di condividerla con altri, senza chiesuole e senza settarismi, senza elitarismi. In qualche modo la sinodalità implica un protagonismo dei laici, che costituiscono la maggioranza del popolo di Dio, e dovremmo domandarci se la diminuzione delle vocazioni alla vita religiosa e al ministero ordinato non rientri forse nel misterioso disegno di Dio orientato a far sì che tutto il popolo di Dio cammini insieme verso la missione, verso il regno di Dio. Si deve allora parlare di missione condivisa con altri e con altre, dialogare tutti assieme su ciò che riguarda tutti, dove tutti insegniamo e apprendiamo e s’infrange il dualismo tra Chiesa docente e Chiesa discente. È una piramide invertita, qualcosa di così nuovo da indurre alcuni ad affermare che potrebbe provocare un «infarto teologico» nei difensori dell’ordine stabilito.

Tornando alla vita religiosa, ciò significa molto più di uno scambio reciproco tra le varie congregazioni e istituti religiosi. E non vuol dire neppure che il laicato deve collaborare con la vita religiosa e con le sue istituzioni pastorali, educative, sociali o sanitarie. È tutta la vita religiosa che si mette al servizio dell’intero popolo di Dio nella missione comune, in collaborazione con le parrocchie, con i movimenti e con altri tipi di comunità aperti al Regno, alla cura della casa comune (cfr Laudato si’) e alla fratellanza universale (cfr Fratelli tutti).

È evidente che tutto ciò implica un processo di conversione ecclesiale, lento e improntato al discernimento comune. Il compito non è facile, ma è entusiasmante e impegnativo. Soltanto con il tempo potremo vedere in che modo ciò coinvolga la vita e il lavoro apostolico, raggiunga comunità monastiche e contemplative, cambi l’economia e lo stile di vita. Ma la scarsità di vocazioni, la piccolezza della minorità vengono trasformate dallo Spirito in un cammino insieme con gli altri. Soltanto con il tempo, con la prassi e il discernimento si troveranno percorsi personali, comunitari e istituzionali per realizzare questo sogno. E tutto ciò sotto la tutela e nell’orbita dello Spirito, che supera tutto, trabocca, ringiovanisce e vivifica a partire dalle situazioni di caos, dal de profundis della storia. Il caos può tradursi in un kairòs. Quelli che seminavano tra le lacrime, potranno gioire per il raccolto (cfr Sal 126,6).

 

Recuperare la dimensione mistica della vita religiosa

Un noto testo di Benedetto XVI afferma che «all’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva» (Deus caritas est, n. 1).

Se ogni vita cristiana nasce dall’incontro con la persona di Gesù, la vita religiosa, che ha un’origine profetica, non può sorgere e prosperare senza una dimensione profondamente spirituale e mistica, con l’unzione dello Spirito. Ciò significa che essa, spesso sovraccarica di lavoro, deve favorire ampi spazi personali e comunitari di preghiera e di silenzio, la lectio divina, la liturgia ecc., affinché la vita e la società, in un mondo lontano da Dio, s’impregnino sempre più di valori e atteggiamenti evangelici. Ma è altrettanto necessario porsi accanto ai crocifissi della storia, incontrare Dio nei poveri, per evitare che la nostra preghiera sia una fuga dal mondo alienante.

Quando si ricordano figure eminenti della vita religiosa, i fondatori e le fondatrici, ci si sorprende davanti alla grande ricchezza e profondità spirituale che hanno apportato alla Chiesa e all’umanità persone come Antonio il copto, Benedetto e Scolastica, Bernardo di Chiaravalle, Francesco e Chiara, Domenico e Caterina da Siena, Ignazio, Saverio e Fabro, Teresa di Gesù, Giovanni della Croce. Teresa di Gesù Bambino ed Edith Stein, Ildegarda di Bingen, Giovanni di Dio e Camillo de Lellis, Vincenzo de’ Paoli e Luisa di Marillac, Giuseppe Calasanzio e Antonio Maria Claret, don Bosco, Giovanna di Lestonnac, Candida di Gesù, Nazaria Ignacia, Teresa di Calcutta, Charles de Foucauld e tanti altri.

La mistica è parte essenziale della vita religiosa: questa non è possibile, se  non ci si appassiona in prima persona per il Signore Gesù e per il Vangelo. L’attuale trasformazione a cui essa è chiamata non sarà attuabile senza una conversione alla mistica.

 

Conclusione

Si può passare dal caos al kairòs? Questo passaggio è possibile, ma non è un salto istantaneo o magico. È invece un passaggio pasquale: implica che si passi, personalmente e comunitariamente, dalla morte alla risurrezione; richiede di non aggrapparsi a un passato caduco e di aprirsi all’azione innovativa, traboccante e vivificante dello Spirito di Gesù, che agisce dal basso in momenti di crisi e di morte, chiude alcune porte, ma ne apre altre. Uno Spirito che non è mai in sciopero, né nella Chiesa né nella storia dell’umanità.

La vita religiosa attuale assomiglia all’esperienza del salmista del de profundis (cfr Sal 130): un salmo che inizia nell’oscurità della notte, gridando con angoscia al Signore, e termina aperto alla speranza, quella della sentinella che attende l’aurora.

 

Victor Codina S.I.

In La Civiltà cattolica 4118,15 genn/5 feb. 2022 pp. 176-179

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