Koinonia Luglio 2021


Quale ecclesiologia dietro la “Nota verbale”

della Segreteria di Stato vaticana sul ddl Zan?

 

IL PELO E IL VIZIO

 

È un detto di sapienza popolare  di uso comune, per dire l’immodificabilità dei comportamenti e delle situazioni nonostante cambiamenti camaleontici. Interessa tutta quella sfera in cui si fa ricorso  a trasformismi, maquillage, operazioni di facciata o simili, che ci rimandano  al duro avvertimento evangelico: “Ora, guardatevi dai falsi  profeti,  i quali vengono a voi in abito di agnelli; ma dentro son lupi rapaci” (Matteo 7,15). Non avremmo forse abbassato troppo la guardia?

 Nel nostro caso, un primo motivo  per  evocare il detto sta nel modo in cui vanno le cose nel vasto mondo della informazione, dove tutto cambia di continuo ma tutto rimane sempre uguale: tutto si presenta come novità ma in realtà è vecchia storia di sempre. Lo spunto per questa constatazione viene da quanto è successo intorno alla  “Nota verbale della Segreteria di stato vaticana”  a proposito del ddl Zan su “misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità”.

Un rinfocolarsi di polemiche, di analisi, di ricostruzioni, che al di là del semplice fatto di cronaca hanno risollevato problemi annosi che peraltro non sembrano fare un passo avanti, salvo nuovi giochi di parole e di sentenze che lasciano il tempo che trovano, in attesa di analoghe ricorrenti sceneggiate. La presentazione di Domenico Gallo ci offre i termini per una lettura tecnica del documento vaticano, per poter passare ad una possibile lettura ecclesiologica.

Come sappiamo, la “Nota verbale” consegnata da mons. Gallagher all’ambasciata d’Italia presso la Santa Sede è stata recepita dall’opinione pubblica come una indebita ingerenza di uno stato straniero negli affari italiani, al tempo stesso in cui riproponeva l’eterna questione delle relazioni Chiesa-Stato in Italia,  fino a rimettere per l’ennesima volta in discussione il regime concordatario vigente. Perché in ultima analisi è su questa base di accordo e di compromesso che nascono in realtà  problemi e conflitti simili, in quanto lo scenario di laicità dello Stato mal si accorda  con lo scenario di uno Stato a carattere religioso, soprattutto quando l’uno vuol  sovrapporsi all’altro. Ma quanto la dimensione statale e concordataria esprime la dimensione ecclesiale?

Certamente la questione è stata agitata da tutti i punti di vista per poterci tornare sopra,  L’interrogativo che mi porta a rifletterci forse è fuori luogo, ma potrebbe servire a futura memoria per situazioni analoghe, ed è questo: quale chiesa parla ed emerge in questa “Nota verbale”, e come questa si rapporta con la realtà esistente della chiesa da una parte, e dall’altra con quella pronosticata dal Vaticano II? 

Non possiamo limitarci a far defluire lo scontro polemico e aspettare che le acque si calmino, senza interrogarci sui soggetti reali in campo e senza considerare che  alla base c’è un unico Popolo italiano sulla cui testa passa questo e altro anche in quanto Popolo di Dio o chiesa reale! Il punto in sostanza è se sia affare di sole relazioni diplomatiche  o se la coscienza laica ed ecclesiale di questo popolo non interessi proprio a nessuno, perché è prima di tutto lì che una saldatura deve avvenire, altrimenti la pace è solo a tavolino come conciliazione provvisoria.

Di fatto è la “Segreteria di Stato” - vale a dire un organo che coadiuva da vicino il sommo Pontefice nell’esercizio della sua suprema missione - che interviene a proposito di una iniziativa di legge del Parlamento italiano: quindi un atto relativo a scelte politiche che sarebbero lesive delle “libertà assicurate alla Chiesa cattolica e ai suoi fedeli dal vigente regime concordatario”.  In quanto cioè introdurrebbero concezioni antropologiche (“identità di genere”) e scelte didattiche non consone al magistero pastorale della comunità ecclesiale. C’è da chiedersi se per una battaglia culturale, politica, pastorale fosse necessario ed opportuno scomodare il Concordato e portare la questione su un terreno infido!

 

Difficile per la verità capire dove sia questo vulnus al regime concordatario, pur riconoscendo l’inconciliabilità delle posizioni. Non è da credere infatti che in discussione ci sia la volontà di contrasto della discriminazione e della violenza! E allora a fare problema è il fatto che tra i motivi di  penalizzazione  rafforzata ci sia l’“identità di genere”, che quindi sarebbe legalmente sdoganata, e quindi non più contestabile da parte di una chiesa e dei suoi fedeli, che andrebbero incontro a mancata libertà di pensiero e di parola, in caso contrario passibili di sanzioni.

Quindi nel ddl Zan ci sarebbe l’avallo di una concezione antropologica e culturale non ammissibile per la chiesa, che in forza del Concordato la respingerebbe. Ingerenza e invasione di campo ci sarebbe quindi da parte dello Stato italiano in violazione del Concordato! Per la verità ci sarebbe da discutere se una legge dello Stato possa intervenire a ratificare dottrinalmente una concezione antropologica  in aperta discussione, quale l’“identità di genere”. Ecco allora una chiesa pronta ad arginare  tendenze inaccettabili, come se fosse possibile  farlo per via diplomatica dopo che  certe concezioni sono entrate  come un virus nella diffusa mentalità comune: ma davvero la questione “identità di genere” scomparirebbe se venisse eliminata qualche sua traccia in un testo legislativo? O il fatto che questa traccia ci sia è la prova che i buoi sono già usciti dalla stalla che si vuol chiusa?

Difficile capire e dire se sia esattamente questo il punto critico della questione. Sta di fatto che il contrasto sembra essere di carattere dottrinale, per cui la chiesa non tollera che abbia via libera una concezione da lei non condivisa, cosa che non sembra essere limitativa della sua libertà religiosa, ma solo divergente rispetto  alla sua visione antropologica. Sarebbe come dire che l’oramai metabolizzata legge sull’aborto obbligasse qualcuno ad ammettere l’assoluta liceità dell’aborto. E se la riserva sulla iniziativa di legge è dottrinale, allora saremmo davanti ad un prolungamento del Sillabo, e cioè dell’“Elenco contenente i principali errori del nostro tempo”, che la dice lunga su quale tipo di chiesa sia in azione  in questa ”Nota verbale”,

Ad avvalorare questa lettura in chiave dottrinale  è il testo stesso della Nota quando precisa che “ci sono espressioni della Sacra Scrittura e delle tradizioni ecclesiastiche del magistero autentico del Papa e dei vescovi, che considerano la differenza sessuale, secondo una prospettiva antropologica che la Chiesa cattolica non ritiene disponibile perché derivata dalla stessa Rivelazione divina”. Ad una concezione della “differenza sessuale” che emerge di fatto dal testo della legge Zan (in maniera alquanto surrettizia), si contrappone una concezione “dogmatica” con tutti i crismi della “Rivelazione divina” (meno di quelli razionali e teologici), quasi che questa visione dovesse valere ed essere accettata dal Parlamento italiano in nome del Concordato, ciò che farebbe pensare non solo ad uno Stato confessionale, ma addirittura alla Stato pontificio!

Che sia proprio questa la “prospettiva  garantita dall’Accordo tra la Santa Sede e la Repubblica italiana” è tutto da vedere, soprattutto quando si passa dal piano dottrinale a quello pratico della libertà di pensiero, di parola e di azione. Se una diversità concettuale e teorica esiste, questa non può tradursi automaticamente  in opposizione sul piano etico e politico, soprattutto quando si mette in gioco la propria fede come decisiva per gli altri, che quindi dovrebbero adeguarsi o limitarsi. Insomma, non è dato capire come e perché, in nome di una laicità aperta, la chiesa cattolica si senta privata della sua libertà pastorale.

Si dovrebbe chiarire in altre parole se e per quale ragione la Repubblica italiana, sulla base di questa legge, non riconoscerebbe “alla Chiesa cattolica la piena libertà di svolgere la sua missione pastorale, educativa, caritativa, di evangelizzazione e di santificazione”. A meno che questo non voglia dire  che si guarda alla Repubblica italiana come ad una sorta di braccio secolare della propria missione. Ma è qui che il nodo viene al pettine: quale chiesa in concreto è il mittente della “Nota verbale”, quella di cui siamo membra e ci rappresenta, o quella da cui non ci sentiamo rappresentati? Quella a cui guardiamo o quella che è dichiarata superata dalla storia, nei fatti e nei documenti, ma che continua ad imperare? È la chiesa  dell’“era costantiniana” della “cristianità” tramontata, tridentina e del Vaticano I, del Sillabo e della enciclica Pascendi, insomma la chiesa delle condanne che sembrava finita con Giovanni XXIII? Se questo “temporalismo”  ricorrente della chiesa è necessario, sia chiaro a tutti che esso è un tributo alla condizione storica della chiesa, che non può essere totalmente coinvolta in queste vicende nella sua piena realtà, quale essa è e vuole essere nella coscienza del Popolo di Dio.

A questo chiarimento bisogna assolutamente arrivare, sia nella coscienza ecclesiale che nella opinione pubblica . E perché questo avvenga  non basta continuare a gridare allo scandalo e stracciarsi le vesti con facili disapprovazioni e dissociazioni, come se il resto venisse di conseguenza;  ma è estremamente necessario che qualcuno decida di dare vita e forza reale a quella immagine di chiesa sognata a cui sembriamo ispirarci quando non ci riconosciamo in certi suoi pronunciamenti. Indipendentemente dal merito specifico della legge e dalla fondatezza o meno di certe prese di posizione, di fatto non accettiamo che la “Nota verbale” veicoli una idea di chiesa che non ha nessun riscontro (se non indotto) nella chiesa italiana e tanto meno nella prospettiva di chiesa del Vaticano II ancora allo stato nascente.

In effetti, ammesso che la base della chiesa praticante si senta coinvolta in questi problemi, sarebbe poi tutto da vedere se il suo reale sentire risponda alla posizione ventilata nel documento, che appare più come deterrente esorcizzante che come discernimento di verità, Per quanto riguarda poi  la chiesa sognata e da venire, se per un po’ abbiamo creduto che i giochi fossero fatti ora non dobbiamo fare lo sbaglio di credere che non ci sia più nulla da fare.

C’è invece da entrare nel vivo del processo in atto e ripensare radicalmente il metodo di interpretazione e di attuazione del messaggio conciliare e direi soprattutto dello spirito di Giovanni XXIII, che voleva far emergere le diversità dalla unità.Non possiamo continuare ad enfatizzare le diversità per fare poi i bravi a ricomporle in qualche modo; ad invaghirci di questa o quella causa particolare in un contesto generale di sempre lasciato in mano altrui. È la chiesa che c’è come “mistero” che suggerisce come può diventare la chiesa che non c’è, e non invece la chiesa così com’è a dettare legge anche per quella che essa è nel profondo! È  questione di intendersi, se non vogliamo aiutare il lupo a perdere il pelo ma non il vizio!

 

P.Alberto Bruno Simoni op

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