Koinonia Luglio 2021


Su segnalazione di Marco Ricca

 

Su “Riforma” del 6 luglio 2021, la rivista delle chiese evangeliche battiste, metodiste e valdesi in Italia, Paolo Ricca sta curando una serie di incontri dialogati con uomini e donne che hanno dei ruoli noti all’interno delle chiese evangeliche in Italia o nell’ambito ecumenico, ma anche persone che, pur non essendo conosciute ai più, portano con sé un’esperienza di fede significativa per tutti e tutte noi. Sono delle “Fototessere” al cui numero 26 è riportato il colloquio che Paolo Ricca ha avuto con suo fratello Marco, che gentilmente ce lo ha segnalato. Lo riportiamo volentieri in spirito di viva condivisione.

 

FOTOTESSERE 26: VOCAZIONE E MISSIONE DELLA MEDICINA

Marco Ricca, le valli valdesi, la professione fra ospedale e Università, l’impegno civile e culturale a Firenze

 

Marco Ricca è nato a Luserna San Giovanni nel 1934. Dopo il Collegio valdese ha completato il liceo classico a Firenze. Laureato con lode in Medicina e Chirurgia, è stato assistente volontario e poi assistente ordinario nella Patologia speciale medica e poi nella Clinica medica generale dell’Università di Firenze. Ha conseguito la libera docenza in Semeiotica medica e le specializzazioni in Cardiologia, Pneumologia, Geriatria. Ha iniziato la carriera ospedaliera con il primariato di Medicina nell’ospedale di Cortona con associata la responsabilità di altri presidi minori della Val di Chiana. È stato Primario medico negli ospedali di Fiesole, Camerata e per 10 anni all’Ospedale di San Giovanni di Dio a Firenze. Dopo il pensionamento è stato direttore sanitario della Casa di cura “Il Pergolino” a Firenze e direttore sanitario del Centro sanitario pistoiese a Pistoia. Eletto consigliere comunale a Firenze quale indipendente nella lista Pd, si è fatto promotore di varie iniziative tra cui due significative Consulte. È autore di circa 130 pubblicazioni scientifiche.

 

Lei ha 60 anni di carriera, tante tappe fino al primariato di un grande ospedale pubblico a Firenze. Come è cambiata la Medicina?

«È cambiata sotto innumerevoli aspetti, in primis nel rapporto medico-paziente. Siamo passati dalla medicina paternalistica (autorevolezza del medico, sudditanza del paziente) a quella paritetica alleanza fra le due parti) e ora a quella tecnologica in cui l’uso dei sensi (vista, udito, tatto) è sostituito dall’impiego totalizzante del computer. Siamo così nella medicina sordo-muta in cui non si ascolta né si parla, si scruta il computer anziché il paziente. Il rapporto è in crisi e occorre quindi riscoprite oltre l’high tech l’high touch a salvaguardia della humanitas del medico. Quanto sopra vale soprattutto nella pratica ospedaliera, ma la situazione non è molto dissimile a livello territoriale».

 

Fare il medico oltre che professione è vocazione e anche missione?

«Vocazione e missione non sono sinonimi. Scegliere Medicina, percorso lungo e difficile, implica già una qualche vocazione. Per la vocazione nell’esercizio professionale vale il monito “age quod agis”, opera bene in scienza e coscienza e la tua professione sia di elevata professionalità. Nel concetto di vocazione il protagonista sei tu, in quello di missione, protagonista è il prossimo. Vocazione può coniugarsi con missione quando il lavoro medico è inteso come servizio rivolto al singolo o alla collettività».

 

La scienza ha fatto enormi progressi ma molto è ancora sconosciuto. È così anche per la medicina?

«È vero. Man mano che aumentano le conoscenze si allarga il campo dello scibile da scoprire: dai misteri della cellula ai mediatori chimici, dalle malattie degenerative a quelle neoplastiche e a tanti altri campi di investigazione».

 

Che cos’è la vita sul piano biologico?

«Per vita si intende un sistema capace di metabolizzare, evolvere, riprodursi. Nella sua forma primordiale è il risultato di numerosissime combinazioni di elementi chimici semplici (carbonio, idrogeno, ossigeno) da cui è derivata una struttura unicellulare con le prerogative sopra accennate. La vita, sotto forma di batterio unicellulare, è comparsa sulla terra 3,5 miliardi di anni fa, i primi ominidi 3 milioni di anni fa».

 

– Lei si è fatto un’idea sulla morte?

«Ho assistito alla morte, qualche volta ho accompagnato alla morte. Penso che sia la fine totale. Non credo all’immortalità dell’anima quale sostenuta da Platone né alle varie concezioni animistiche. Ritengo che la morte sia la conclusione di tutto e che la speranza, sostenuta dalla fede, sia la risurrezione».

 

Ogni persona è unità inscindibile di corpo e anima, ma c’è chi sostiene che l’anima non esiste. Lei cosa pensa?

«Ogni persona è unità di corpo e spirito. Quest’ultimo comprende tre sfere o facoltà: intellettiva, volitiva, sensoriale; ciascuna di esse ha una ben documentata localizzazione a livello encefalico; l’anima non l’ha. Comunque credo che essa esista quale sintesi ed espressione delle tre facoltà e che, come tale, sia parte integrante e caratterizzante della persona».

 

– Che cosa pensa del Servizio sanitario nazionale?

«È un’Istituzione di grande valore sociale e sanitario in quanto eroga l’assistenza sanitaria a tutti i cittadini italiani, a immigrati e rifugiati: gratuita per quanto concerne i ricoveri ospedalieri, con un modesto contributo proporzionale al reddito per farmaceutica e specialistica. È tra i Sistemi sanitari più avanzati al mondo e ne dò un giudizio molto positivo».

 

Lei ha svolto attività politica nel Consiglio comunale di Firenze. Quale è stata la sua esperienza?

«Sono stato eletto nel Consiglio comunale di Firenze, come indipendente nella lista Pd. Ho proposto l’istituzione di una Consulta per il Dialogo tra Confessioni religiose e Istituzione (il Comune) e di una Consulta per la Laicità. Entrambe sono diventate esecutive nel 2009. Le Consulte sono organismi di partecipazione dei cittadini promotori di istanze di vario genere: hanno uno statuto e sede al Comune. La mia esperienza al Consilio Comunale è stata positiva, fattiva, gratificante».

 

A me sembra che l’arte di governare sia la più difficile di tutte, in qualsiasi ambito essa si svolga. Lei è d’accordo?

«Sono d’accordo. Occorre recepire le diverse istanze della cittadinanza, comprenderne le motivazioni; operare con equità e visibilità perseguendo obiettivi di sviluppo socialmente equilibrato e compatibile con la fisionomia della città e l’ambiente».

 

Lei è stato per molti anni presidente del Centro culturale protestante di Firenze intestato al Riformatore italiano e fiorentino Pietro Martire Vermigli (1500-1562). Lei ha voluto che si chiamasse “protestante” e non ”evangelico”. Perché?

«Inizialmente il Centro si chiamava “evangelico”. Era necessario dargli uno Statuto (non esisteva in precedenza) e volevo la dizione “protestante” per definire in maniera chiara natura e finalità del Centro culturale. Alcune Denominazioni erano riluttanti in quanto si dichiaravano evangeliche piuttosto che protestanti. Peraltro, avuta l’assicurazione che il Centro sarebbe stato rappresentativo delle diverse voci evangeliche fiorentine, lo Statuto, redatto in sede notarile, è stato sottoscritto unanimemente».

 

Quale è stata la sua esperienza svolgendo questa attività in una città culturalmente esigente come Firenze?

«Mi sono convinto dell’importanza della identità protestante in una città ricca di disparate espressioni culturali. Il Centro tratta temi di varia attualità, anche con la collaborazione di cultori della materia del mondo accademico, religioso e della società civile».

 

Lungo quali linee lei ha orientato l’attività del Centro?

«La linea direttiva del Centro è essere voce protestante nel contesto culturale della città».

 

Benché viva a Firenze da 70 anni circa, lei è molto legato alle valli valdesi. Perché?

«A Bobbio Pellice ho avuto un’infanzia bellissima. Sono grato al Collegio Valdese per la formazione ricevuta. In Toscana ho avuto pieno inserimento sociale, una bella famiglia, ottima carriera, ricca vita comunitaria ma amo le Valli: storia, cultura, casa, amicizie, ricordi, paesaggi; ancora, alle Valli avranno dimora le mie ceneri»

 

Paolo Ricca

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