Koinonia Luglio 2021


IL CONFLITTO FRA PALESTINESI E ISRAELIANI, OGGI

 

Solidarietà col popolo palestinese

 

Firenze, sabato 5 maggio pomeriggio. Piazza San Lorenzo è gremita di gente, tutti con la mascherina, ovviamente. Non mi sarei mai aspettato che in un periodo così caratterizzato dall’individualismo, dove ciascuno pensa ai fatti propri, e per giunta in tempo di covid, venissero tante persone. Eppure  la drammatica situazione di Palestina, un paese oppresso da Israele, un paese che non è ancora nazione, genera evidentemente un sussulto di coscienza, un bisogno di solidarietà, soprattutto fra i giovani che erano la grande maggioranza dei presenti.

Uno sventolio di bandiere. Quelle palestinesi innanzitutto, ma numerose anche quelle dei curdi, del popolo sarahui  gli abitanti del Sahara occidentale), dei latinoamericani, soprattutto cileni e colombiani. Una solidarietà internazionale quasi del tutto scomparsa, oggi, a livello delle istituzioni e dei partiti politici, ma sempre viva, e forse di nuovo in crescita, nell’arcipelago delle associazioni.

Triste storia, quella dello stato di Israele: la nascita di una nazione fondata da un popolo oppresso da secoli e vittima della shoah a scapito di un altro popolo, quello palestinese.

Nel 1948, dopo una guerra sanguinosa fra gli ebrei e i paesi arabi vicini, a seguito della quale i primi risultarono vincitori, l’ONU sanzionò la nascita di due stati; ma successivi conflitti, che videro il giovane stato di Israele sempre vincitore, ebbero come conseguenza la riduzione delle zone degli arabi; molte terre vennero occupate da un numero sempre maggiore di coloni ebrei, mentre lo stato di Israele si trasformava in una piccola ma agguerrita potenza, oggi dotata anche di armi nucleari.

Gerusalemme, che secondo l’ONU sarebbe stata divisa in due (Gerusalemme Ovest a Israele e Gerusalemme Est ai palestinesi), è stata dichiarata da Israele propria capitale con un atto unilaterale, condannato ovviamente, ma senza conseguenze, dalle Nazioni Unite.

Dal 1948 a oggi l’odio fra i due popoli non ha fatto che aumentare. Gli israeliani, circondati da paesi musulmani, si sono sempre sentiti sotto attacco (1), possibili vittime di attentati terroristici da parte dei palestinesi; mentre questi ultimi, cacciati da molte zone dove abitavano da tempo immemorabile, relegati per decenni in campi profughi nelle nazioni arabe vicine, o costretti all’esilio, o ghettizzati da muri e fili spinati in quelle poche zone loro rimaste, che non si possono chiamare stato, hanno reagito sempre, talvolta in modo pacifico, talvolta con la violenza, come nel caso dei razzi lanciati recentemente contro il paese nemico, per ritorsione verso gli atti aggressivi dello stato ebraico, e soprattutto dei coloni che stanno creando sempre nuovi insediamenti.

La risposta di Israele è stata di estrema violenza con bombardamenti devastanti che hanno provocato la distruzione di interi quartieri nella zona di Gaza. Alcuni cittadini israeliani morti, venti volte tanto i palestinesi.

Il governo israeliano che, appoggiato da sempre dagli USA, gode di un’impunità assoluta, sembra in preda a un delirio di onnipotenza.

L’amministrazione Biden, mentre sta attuando riforme di segno progressista in politica interna, si pone in sostanziale continuità con la politica estera di Trump, caratterizzata da un sostegno totale allo stato di Israele. Ma anche i governi europei si sono accodati. Così pure l’Italia. Abbandonata l’equidistanza tra Israele e i palestinesi che caratterizzava la nostra politica estera di qualche decennio fa, i governati italiani, in merito al recente conflitto, si sono limitati a condannare il lancio dei razzi da parte di Hamas, il partito fondamentalista islamico che oggi sembra essere quello egemone nei territori palestinesi (2). Nessun cenno ai soprusi perpetrati da sempre dallo stato di Israele che ha ridotto i palestinesi in una condizione di apartheid. Per fortuna non c’è coincidenza fra le scelte di quasi tutti i partiti politici dettate da una ottusa “fedeltà” agli USA, che vedono in Israele il loro principale alleato in Medio Oriente, e larghi settori della società italiana. Ne è prova una lettera aperta rivolta ai nostri governanti da parte dei sindacati confederali e da decine di associazioni nazionali, di diverso orientamento culturale (cito tra le altre, solo a titolo di esempio: ARCI. ANPI, Pax Christi, Beati i Costruttori di Pace, Libera) ma tutte ispirate ai principi della pace e della solidarietà fra i popoli (3).

Una novità interessante: la granitica solidarietà degli ebrei italiani, indipendentemente dalla loro colorazione politica, nei confronti dello stato di Israele comincia a rivelare qualche crepa. Decine di giovani cittadini ebrei hanno sottoscritto un documento dove condannano la politica dello stato ebraico nei confronti dei palestinesi. Un fatto forse marginale, ma da seguire con interesse.

Altro aspetto interessante è la maturità dei movimenti a favore della Palestina. Certi atteggiamenti antisemiti, presenti in passato in alcuni gruppi di partecipanti nel corso di manifestazioni contro la politica di Israele, sembrano del tutto scomparsi.

In piazza San Lorenzo i rappresentanti dei palestinesi, coloro che più di altri potevano esprimere rabbia per quanto sta avvenendo nella propria terra, pur durissimi nel condannare la politica di Israele, hanno sempre sottolineato che non percepiscono gli ebrei in quanto tali come un popolo nemico.

Mentre gli interventi, numerosissimi, si susseguivano nel corso del pomeriggio di sabato 5 maggio, a Firenze, un episodio mi ha particolarmente colpito. Una ragazza palestinese, studentessa dell’Università di Siena, originaria della striscia di Gaza, la zona più colpita dai bombardamenti, ha testimoniato la sua disperazione per i suoi familiari rimasti laggiù, in pericolo di vita. Ma ad aver suscitato grande emozione in me non è stata tanto la sua testimonianza in sé. La giovane, non sentendosi ancora padrona dell’italiano, ha parlato in inglese, senza che nessuno traducesse. Così molti dei presenti hanno capito solo in parte o non hanno capito affatto. No, non sono state le sue parole ad avermi colpito, ma il silenzio. Un silenzio magico, quasi religioso, impossibile da immaginare in presenza di una folla tanto numerosa.. E poi il grido collettivo e  liberatorio: Palestina libera!

 

 La Palestina e la scomparsa dei fatti                                                                                      

 

“La verità vi farà liberi” (San Paolo).

“Cos’è la verità?” (Pilato).

L’affermazione di Paolo è sacrosanta, e tuttavia il dubbio di Pilato non è del tutto fuori luogo. Come facciamo a conoscere quella che è di sicuro la verità?

Più modestamente possiamo affermare che il nostro compito è quello di ricercare la verità. Ma anche questo non è sempre facile, pur ritenendo che sia un nostro dovere.

Quanto sia difficile avvicinarci alla verità ce lo dimostra la stampa e la televisione di questo periodo in merito allo scontro tra Israele e Palestina. Allo scoppio del recente conflitto a leggere la grande stampa e a seguire i telegiornali sembrava che i responsabili di tanta violenza, di tanti morti innocenti siano stati solo i palestinesi di Hamas, che a lungo hanno martellato il territorio di Israele con migliaia di razzi, costringendo la popolazione a fuggire dalle case per mettersi al riparo nei rifugi, mentre i bombardamenti sulla striscia di Gaza sarebbero stati la dura, ma “necessaria” risposta di Israele.

Hamas veniva poi descritto come un’organizzazione terrorista. Lungi da noi apprezzare Hamas che si ispira a una visione fondamentalista dell’islam (anche se non va confuso con l’Isis, sia ben chiaro), e tuttavia non possiamo definire Hamas “terrorista”. Se volessimo chiamare “terroristi” i razzi lanciati contro Israele, a maggior ragione dovremmo usare questo termine quando parliamo delle bombe lanciate sui territori palestinesi, ben più devastanti dei razzi, se è vero che le vittime da parte palestinese sono state molto più di duecento, mentre quelle israeliane una dozzina (compresi tre operai immigrati).

Un altro elemento che rivela la parzialità della grande stampa è la scarsa contestualizzazione del conflitto. Non sempre viene ricordato, ad esempio, che centinaia di migliaia di palestinesi, a seguito della sconfitta subita nel 1948 dagli eserciti degli stati arabi vicini, furono cacciati dalle loro case; che a seguito di successive sconfitte subirono nuove occupazioni e che oggi molti di loro vivono in regime di apartheid.

Non possiamo poi tacere che proprio nei giorni passati le contestazioni alla politica di Israele sono state ovunque di un’ampiezza mai vista. Milioni di persone sono scese in piazza a manifestare in tutte le più importanti città del mondo: impressionanti i cortei nelle città americane, anche con la presenza di molti ebrei pacifisti. Eppure poche notizie sono circolate, e comunque tardivamente e con scarso rilievo.

I media nazionali continuano ad accreditare la favola di un accanimento antisemita da parte dei palestinesi di Palestina, dei palestinesi costretti alla diaspora e di un numero incalcolabile di cittadini di ogni nazione che condannano la politica di Israele. Che l’antisemitismo sia un cancro difficile da estirpare è una terribile verità, un virus presente anche là dove meno te lo aspetti. Ma i nemici del popolo ebraico non si annidano certo fra gli amici della Palestina, ma nelle formazioni di estrema destra, proprio quelle forze che oggi, paradossalmente, si dichiarano con convinzione dalla parte dello stato ebraico.

Altro luogo comune, accreditato dalla grande stampa, è presentare Israele come un modello di democrazia in mezzo a paesi arabi che la democrazia non la conoscono neppure. Che Israele goda di istituzioni democratiche, non c’è alcun dubbio, ma questo riguarda solo i cittadini ebrei, non certo quel venti per cento di arabi presenti al suo interno. Anche quando i media riferiscono dei soprusi del governo israeliano sui palestinesi, e non sempre succede, lo fanno in modo asettico, come se tutto ciò rientrasse nella normalità. Ma se durante una manifestazione di protesta i giovani palestinesi lanciano pietre contro i soldati israeliani, o contro i coloni, il più delle volte sono presentati alla stregua di potenziali terroristi, se non terroristi tout-court, per cui la risposta armata diventa giustificata: “Non abbiamo forse diritto a difenderci?”.

Per alcuni giorni la grande stampa e i principali canali televisivi dell’Occidente hanno accreditato  la tesi di “Israele paese assediato”. Ma se ormai svariati paesi arabi, i meno democratici tra l’altro, hanno steso con Israele, sotto i buoni auspici degli Stati Uniti, un patto di alleanza, il “Patto di Abramo”? Ma se ormai da tempo, come tutti sanno, Israele, anche se rimane una piccola nazione, ha una potenza militare inaudita ed è pure in possesso di armi nucleari?

Alcuni giorni dopo l’inizio dell’attuale crisi l’atmosfera sembra leggermente cambiata. Non si è parlato più solo dei razzi di Hamas che costringono gli israeliani a trovare riparo nei rifugi antiaerei, ma anche del dolore dei palestinesi che piangono la morte dei loro cari, le loro case polverizzate dalle bombe, gli ospedali distrutti; e ancora i medici e gli infermieri morti, quegli eroi che sono rimasti nelle corsie a curare malati e feriti mentre piovevano le bombe. Tra gli altri è morto anche il primario che coordinava la vaccinazione contro il covid, estratto dopo ore di sotto alle macerie, mentre sua moglie è in fin di vita, con una scheggia nella colonna vertebrale. Ovviamente tutta la struttura per la vaccinazione è andata distrutta..

Finalmente, pur astenendosi da commenti e limitandosi alla sola descrizione dei fatti, alcuni giornalisti hanno espresso pietà per le vittime, per cui trapela un’implicita critica nei confronti della reazione sproporzionata di Israele al lancio dei razzi da parte dei palestinesi. Mettendo a confronto i morti dell’una e dell’altra parte possiamo dire che i razzi sparati da Hamas hanno generato paura, le bombe di Israele morte: una guerra asimmetrica.

Probabilmente riguardo all’atteggiamento più equilibrato dei media italiani ha avuto un suo peso un certo cambiamento nelle prese di posizione degli USA, che hanno sempre considerato Israele il loro più fedele alleato in tutto il Medio Oriente. All’appoggio senza se e senza nei confronti dell’intervento militare israeliano è seguito un atteggiamento più duttile, che ha certo favorito il cessate il fuoco. Sarà dovuto al fatto che, nonostante i raid devastanti dell’aviazione nemica, la resistenza dei palestinesi non è mai cessata? O per le imponenti manifestazioni filo-palestinesi che hanno scosso gli USA in questi giorni? O per le critiche dei parlamentari americani più progressisti?

 

Bruno D’Avanzo

 

NOTE

(1) La sindrome dell’ accerchiamento e di un pericolo imminente, se mai poteva avere un senso nel 1948, allo stato attuale è semplicemente anacronistica, dato l’assoluto squilibrio di forze a favore dello stato di Israele. Tale psicosi si può forse comprendere, ma in nessun modo giustificare, alla luce della storia passata del popolo ebraico, oppresso, emarginato e ghettizzato per secoli nell’Europa cristiana in quanto giudicato responsabile dell’uccisione di Cristo. Il dramma della shoah del ventesimo secolo ha infine rafforzato negli ebrei la ferma determinazione a non volere essere mai più vittime. Di qui, pochi in mezzo a popoli arabi numericamente di gran lunga più numerosi, la necessità di armarsi in modo di poter respingere ogni attacco. Il guaio è che il raggiungimento della sicurezza (di per sé legittimo) li ha portati ad opprimere i vicini palestinesi, al punto di invadere molte loro terre, di praticare vere forme di apartheid nei loro confronti, e di impedire loro di poter creare uno stato autonomo.

 

(2) La “fortuna” di Hamas, un partito che si ispira all’integralismo islamico, si deve almeno in parte, paradossalmente, proprio alla politica di Israele che, volta a  dividere i palestinesi, ha favorito questa piccola formazione politica di tendenze radicali per contrastare l’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina), il partito storico della resistenza palestinese, fondato da Arafat, di tendenze laiche e molto più disponibile a cercare accordi pace.       

 

(3) La lettera, oltre a invitare i due popoli  a cessare le ostilità, sottolinea che “pensare di risolvere la questione palestinese con espropri forzati, demolizioni di case e sostituendo la popolazione palestinese con nuovi insediamenti ebraici a Gerusalemme Est è quanto di più dannoso e contrario alla costruzione di una pace giusta e alla convivenza tra le due comunità”.

Tale appello chiede inoltre al nostro governo “di agire in sede ONU per un immediato riconoscimento dello Stato di Palestina come membro a pieno titolo delle Nazioni Unite, per permettere ai due stati di negoziare direttamente in condizioni di pari autorevolezza, legittimità e piena sovranità”.

.

.