Koinonia Luglio 2019


I CARISMI PER LA COSTRUZIONE DELLA CHIESA

 

Tutti in generale e ciascuno in particolare, chierici e laici, nel popolo di Dio dobbiamo esercitarci a diagnosticare il post-concilio per discernere le sue incertezze, le contestazioni, le oscurità, ma anche per osservare i tentativi progressivi i quali aiutano a far entrare, nella realtà quotidiana della chiesa e del mondo, il capitale evangelico investito dal concilio, secondo la sua dimensione profetica.

Ora, da quattro o cinque anni a questa parte, tutti gli osservatori, non soltanto gli esperti e i teologi, ma soprattutto i pastori e il cristiano medio, sono d’accordo per riconoscere una presa di coscienza attiva e critica della fede nello Spirito santo.

Il primo quaderno ‘79 di Servitium registrava questo salto qualitativo; il presente quaderno apporta non soltanto un complemento, ma tutta un’altra prospettiva per cogliere l’azione dello Spirito santo. Perché la signoria dello Spirito, annunciata dal Cristo, si sviluppa su due dimensioni: l’una concerne la santificazione interiore delle persone nella comunione alla vita di Dio; l’altra ha per campo le grazie collettive richieste per costruire la chiesa come comunità.

Nel vocabolario classico, le prime risorse sono chiamate, al di là delle virtù teologali, i doni dello Spirito santo, nel senso proprio della parola, le seconde sono chiamate carismi. Il loro scopo, l’oggetto, le loro dinamiche, sono differenti, anche quando si armonizzano nella pratica.

In questo quaderno, consacrato alla presenza dello Spirito santo nella vita ecclesiale, si tratta precisamente dei carismi: in essi e per essi, si articolano espressamente l’ispirazione e l’istituzione, la libertà e la fedeltà, la spontaneità e la struttura, l’esperienza e la storia. Essi sono “costitutivi” della chiesa. Come si sa, il concilio Vaticano II ha  definito questa potenza costituzionale dei carismi, proclamandone il ruolo e il valore, per superare una certa svalutazione teologica e spirituale che durava da due o tre secoli. Ci si riferirà ai numerosi testi, in particolare alla costituzione Lumen Gentium 12,2 e al decreto Apostolicam actuositatem 3,4, fondati sulla lettera di S. Paolo 1Cor 12. A differenza della grazia santificante abituale, che realizza una presenza permanente dello Spirito, una inabitazione nell’anima, le grazie “carismatiche” sono provocate da congiunture, da situazioni che mettono in causa, a un dato momento, l’edificazione della chiesa. Come dice il concilio:

Queste grazie speciali rendono il cristiano atto e pronto ad assumersi vari impegni ed uffici, utili al rinnovamento della chiesa, alla sua espansione, alla sua costruzione. Questi carismi, più luminosi o anche più semplici e più comuni, sono soprattutto adattati alle necessità della chiesa.

Così si manifestano quelle capacità d’invenzione, di creatività, che l’istituzione non ha previsto nelle sue leggi e costumi e non modera direttamente.

Oggi, in tempi di mutazione e di trasformazione, nel mondo e nella chiesa, queste capacità sono i princìpi della riforma delle strutture, per una nuova architettura, nell’evoluzione e nella diversità delle culture. Se, un tempo, si qualificavano di grazie “straordinarie”, e dunque indesiderabili, è perché esisteva una concezione di chiesa immobilista, quella d’una fortezza chiusa ai problemi e ai disordini del mondo. Rinnovando la visione della chiesa, d’una chiesa incarnata nel mondo e nella storia, il concilio ha ritrovato la dignità e la necessità dei carismi. Noi oggi li vediamo all’opera, con grande speranza. L’operazione specifica di queste grazie non è dunque più il discernimento dei movimenti dello Spirito all’interno delle anime, di cui i maestri spirituali, un sant’Ignazio, una santa Teresa al XVI sec., hanno analizzato eccellentemente le leggi; si tratta di discernere, nel movimento del mondo, nei nuovi umanismi, le capacità evangeliche che racchiudono e che, forse, non sono state ancora attualizzate. Una celebre frase di Giovanni XXIII nella Pacem in terris, ripresa più volte nel concilio, poi spesso ripetuta da Paolo VI, è divenuta ormai ufficiale nel linguaggio magisteriale e pastorale della chiesa: discernere i segni dei tempi. In questa frase risiede il primo atto, la legge elementare dell’evangelizzazione, dove i laici stessi sono attori per il fatto che hanno sposato i bisogni e le speranze del mondo. Così la costituzione Gaudium et Spes:

 

È compito di tutto il popolo di Dio, con l’aiuto dello Spirito santo, di scrutare, discernere, interpretare i molteplici linguaggi del nostro tempo, e di giudicarli alla luce del vangelo, perché la verità rivelata possa essere instancabilmente meglio percepita, più compresa e presentata sotto una forma più adatta.

 

Ultima osservazione nella logica di questa economia: è normale che questa operazione di discernimento sia più particolarmente attuata, senza detrimento della chiesa-istituzione e in comunione con essa, per mezzo e nelle piccole comunità, comunità di base, viventi relazioni orizzontali di fraternità e responsabilità, spazi di libertà e d’invenzione.

 

Marie-Dominique Chenu op

In  Servitium 6, novembre-dicembre 1979, pp. 75-77

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