Koinonia Luglio 2018


VERSO CELEBRAZIONI TELEMATICHE?

 

Nel nostro tempo tutto cambia con la rapidità di un lampo e certe abitudini chiedono, perciò, di essere rivisitate. Riflettendoci mi è tornata alla mente un evento piuttosto singolare che si è svolto circa sessant’anni fa nella nostra famiglia. Un parente anziano ha avuto improvvisamente un malore che subito gli ha fatto capire di essere alla fine dei suoi giorni. Era una persona indipendente, un libero pensatore piuttosto critico nei confronti della religione, e tuttavia, quando la figlia che lo assisteva amorevolmente gli domandò se avesse desideri da esprimere, rispose che tutto sommato avrebbe gradito confessarsi (non lo aveva più fatto da decenni). Nei dintorni però non c’erano sacerdoti disponibili, così la figlia interpellò per telefono un suo amico prete, che abitava lontano, chiedendogli se sarebbe stata possibile una confessione telefonica. Il prete restò qualche minuto perplesso, poi disse: «Credo che non dovrei, ma tutto sommato penso che lo Spirito Santo saprà lui come comportarsi». Poi seguì una lunghissima confessione con, alla fine, l’assoluzione canonica impartita per telefono solo poco prima che sorella morte gli spalancasse le porte.

Il Concilio Vaticano II non era ancora in vista, la religiosità ancorata a vecchi schemi, e anche per questo l’episodio fu occasione di accesi dibattiti tra familiari e amici, con differenti opinioni di vario tipo. Su un punto però si sono sempre trovati tutti d’accordo: il significato autentico di quanto accaduto lo conoscerà solo lo Spirito Santo.

Nel nostro tempo tutto sta cambiando, e da parecchi anni numerosi studiosi si stanno impegnando a fondo per rivedere antichi schemi, oggi difficilmente credibili alla luce del vertiginoso sviluppo della scienza e della tecnologia. Una desacralizzazione massiccia è in atto (purtroppo o per fortuna a seconda delle opinioni) e certi formalismi appaiono definitivamente tramontati. Ma quali saranno i confini del nuovo che avanza, quel nuovo incontenibile preannunciato a suo tempo anche dalla scrittura, là dove dice: «Io faccio nuove tutte le cose»? (Ap 21,5).

Se una volta c’era il telefono a favorire contatti interpersonali a distanza, oggi c’è la televisione che consente di assistere da tutte le parti del mondo a grandi liturgie eucaristiche, per esempio quelle celebrate dal Papa, che altrimenti sarebbero riservate a pochi. Secondo alcuni, guardare la messa in televisione equivale a vedere uno spettacolo, e tuttavia anche i più tradizionalisti considerano pienamente valido ricevere la solenne benedizione papale «urbi et orbi», con relativa indulgenza plenaria, anche se ascoltata per radio o TV.

La televisione, poi, può svolgere anche una funzione attiva quando, ad esempio, nelle varie megacelebrazioni tipo giornate mondiali della gioventù o simili, consente anche ai presenti molto lontani dall’altare, data la gran folla, di vedere e seguire su maxischermi appositamente allestiti le varie fasi del rito eucaristico, che altrimenti sarebbero invisibili ai più. E se nel caso di messe osservate in televisione da casa la partecipazione è passiva, come di fronte a uno show, nel caso degli schermi utilizzati sul luogo della celebrazione tale mezzo tecnico assume la funzione di favorire la partecipazione attiva dei presenti. Anzi, si potrebbe dire che è il mega schermo a rendere possibile a tutti i presenti, per lontani che siano dall’altare, di poter poi consumare pane e vino in piena consapevolezza e piena comunione con i celebranti.

Ma oggi abbiamo a disposizione anche un altro mezzo di contatto, ed è la possibilità di entrare in collegamento interattivo sul web, cosa che ormai avviene in molti altri settori della vita pubblica. Basta pensare alle videoconferenze o addirittura agli interrogatori giudiziari che assumono pieno valore legale. Così anche nelle celebrazioni eucaristiche, volendo, sarebbe possibile coinvolgersi pienamente da lontano, collegati in streaming, con canti, preghiere, domande, risposte da una parte e dall’altra che si mischierebbero assieme come all’interno di una grande chiesa. Una piena partecipazione, insomma, anche se mediata dai moderni mezzi tecnologici. E allora mi domando: che cosa accadrebbe se venissero organizzate tali celebrazione in modo da favorire fino in fondo la piena comunione?

È tradizionale patrimonio teologico/liturgico che quando il celebrante, durante la preghiera eucaristica, alza un pezzo di pane e il calice del vino pronunciando le parole rituali, anche tutto il pane e il vino posto sull’altare vengono consacrati. Ora supponiamo che il celebrante ponga sul tavolo/altare davanti a sé, oltre al pane e al vino, anche lo schermo attraverso il quale può vedere i partecipanti in streaming, e supponiamo che questi facciano altrettanto, ponendo sul loro tavolo/altare il loro schermo interattivo con davanti del pane e del vino ben visibili anche dal celebrante principale. Proprio come se si trattasse di un unico altare semplicemente sdoppiato dal collegamento a distanza, ma unito nella partecipazione attiva. Dopo di che tutto potrebbe svolgersi come in una qualsiasi celebrazione tradizionale, e al momento della comunione i diversi partecipanti sarebbero un grado di consumare il pane e il vino presenti per ciascuno dalla propria parte.

Di fronte all’ipotesi alcuni mi hanno fatto lunghe disquisizioni sulla presenza reale di Cristo nell’eucarestia, cosa che mi guardo bene dal mettere in discussione, ma confesso di non capire bene che cosa significhi, in concreto, e credo che non lo capisca nessuno, dal momento che pane e vino restano inequivocabilmente pane e vino. Del resto, da sempre la teologia ha ben spiegato che la presenza reale non si determina per azione umana o terrena (sul tipo di una magia) ma per azione divina. Ma se così è, potremmo pensare che lo Spirito Santo trovi difficoltà a operare in streaming? Se si tratta di azioni che provengono dall’oltreconfine mi sembra velleitaria la pretesa di comprenderle e definirle con i nostri criteri umani limitati. E per fare un altro esempio, mi domando: quando parlo al telefono con un amico sarebbe o non sarebbe corretto dire di sentirmi in contatto con la sua presenza reale? In fondo, anche per telefono può esserci un pieno coinvolgimento emotivo, mentale, spirituale.

In conclusione, fermo restando che nel “mistero della fede” (come recita la preghiera eucaristica) solo lo Spirito Santo può conoscere il significato di quanto avviene (e su questo punto non avrei proprio niente da obiettare) ecco la domanda che pongo a me stesso, e vorrei proporre a tutti: penso o mi sento portato a credere che al momento della comunione il pane e il vino che si trovano al di qua e al di là degli schermi in collegamento diretto siano esattamente la stessa cosa, oppure penso che ci siano delle differenze?

Aggiungo solo di aver posto il quesito a diverse persone competenti. Alcune non mi hanno risposto, le altre hanno dato tutte risposte dello stesso tipo, che si potrebbero riassumere sostanzialmente nella frase: «non saprei, ci devo pensare».

In sostanza, tenendo conto delle vertiginose innovazioni del nostro tempo, la domanda di fondo è questa: fino a che punto la realtà virtuale può coincidere con quella reale? A me sembra importante chiederselo, non tanto per il valore dell’esempio in se stesso, ma per capire meglio entro quali confini potrebbe muoversi il nuovo che avanza. E quale sia la nostra disponibilità ad accoglierlo.

 

Antonio Thellung           

 

 

 

 

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