Koinonia Luglio 2018


Un amico da ricordare

 

Addio a don Carlevaris il primo prete operaio

(che fu licenziato dalla Fiat)

 

È morto, a 92 anni, don Carlo Carlevaris, il primo prete operaio torinese che, con le sue scelte controcorrente, ha segnato una parte rilevante della vicenda della Chiesa italiana degli ultimi cinquant’anni. Nato in provincia di Cuneo nel 1926, Carlevaris si trasferisce con la sua famiglia a Torino. Qui, dopo aver frequentato i corsi di avviamento professionale, entra nel seminario del Cottolengo.

Ordinato prete nel 1950, si preoccupa per le condizioni malsane in cui vivono i giovani operai e per questo è chiamato a far parte del piccolo gruppo dei «cappellani del lavoro» della diocesi: sono sacerdoti che, con l’autorizzazione delle direzioni aziendali, possono circolare nei reparti per parlare con i lavoratori e garantire un’assistenza morale. Carlevaris dal 1952 è alla Lancia, alla Michelin e alla Fiat Grandi Motori, da cui è però allontanato dieci anni dopo: durante le lotte sindacali e gli scioperi dell’estate 1962, Carlevaris e un altro cappellano del lavoro solidarizzano apertamente con le ragioni dei lavoratori, rompendo la linea di estrema cautela solitamente seguita, anche a Torino, dalla Chiesa.

L’arrivo del nuovo vescovo, Michele Pellegrino, nel 1965 consente a Carlevaris di ritornare in fabbrica, ma questa volta come operaio, per lavorare in officina, continuando a rimanere prete. È tra i primi preti operai che lavorano in Italia, sull’esempio delle esperienze di alcuni sacerdoti francesi che Carlevaris conosce da tempo. Dal 1967 al 1986 lavora alla Lamet, un’azienda metalmeccanica che produce stampi. Essere «come gli operai» è il suo obiettivo, con una profonda ispirazione cristiana, che non abbandona mai. Testimoniare il Vangelo attraverso la «scelta di classe» lo avvicina a centinaia di uomini e donne che sono lontani dai luoghi tradizionali della presenza della Chiesa e lo rende un riferimento per giovani e seminaristi alla ricerca di un modo autentico di vivere il cristianesimo. Le sue scelte non sono facili: il suo impegno sindacale nella Cisl provoca ripetute tensioni con i datori di lavoro, ma anche con quella parte della Chiesa italiana che guarda con diffidenza questi preti, giudicati pericolosamente schierati con i partiti e i sindacati di sinistra.

Nonostante tutto, Carlevaris è convinto che, più che la conversione degli operai, sia necessaria la conversione della Chiesa alla radicalità della classe operaia: lotta contro le diseguaglianze, solidarietà tra gli esclusi dal potere, impegno per la giustizia e per la pace sono le mete da raggiungere insieme agli operai, ma esprimono anche un modo diverso di essere Chiesa. Carlevaris diventa presenza ascoltata nel gruppo dei circa duecento sacerdoti al lavoro in Italia, ma anche voce criticata da altri preti per la sua scelta di non rompere i ponti con la Chiesa e con i vescovi. Gli attacchi più forti ai preti operai continuano comunque ad arrivare da quei settori della Chiesa assestati su posizioni moderate e conservatrici. Nonostante la preoccupazione suscitata da alcune scelte di don Carlo, il cardinal Pellegrino gli conserva la fiducia e il prete operaio diventa il suo canale per capire cosa accada tra i lavoratori nei tesissimi anni Settanta, tra scioperi, referendum sul divorzio, crescita elettorale dei partiti di sinistra, terrorismo.

Collabora attivamente per preparare i materiali che saranno alla base della lettera pastorale di Pellegrino «Camminare insieme», che susciterà forti polemiche per la l’appello alla libertà, alla giustizia e alla fraternità. Intorno a don Carlevaris si raccolgono alcuni giovani, seminaristi e preti, per discutere e celebrare messa ogni settimana nella piccola mansarda dove don Carlo vive, nel quartiere di San Salvario, in mezzo ai libri, ai giornali e alle lettere. Quando arriva la pensione non smette il suo impegno per gli altri: viaggia a lungo, soprattutto in Sud America, per seguire i progetti di sviluppo promossi da Come Noi, l’associazione che ha fondato insieme a un gruppo di amici per costruire iniziative di solidarietà. La sua morte all’alba del 2 luglio nelle stanze del  Cottolegno, dove la sua avventura sacerdotale era iniziata quasi settant’anni fa, chiude idealmente il cerchio di un’esistenza eccezionale nella sua unicità, prete e operaio sino alla fine.

 

Marta Margotti

in “Corriere della Sera” - Torino – del 3 luglio 2018

 

 

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