Koinonia Luglio 2018


Troverà ancora la fede sulla terra?

 

Riflettendo sulla questione «come va la Chiesa?», mi dicevo in questi giorni che essa va come è sempre andata. La risurrezione di Gesù ha provocato diverse reazioni: la reazione farisaica dura, ne è icona Saulo prima della conversione, che perseguita la «nuova via». La reazione giudeo-cristiana, secondo la quale la risurrezione di Gesù, che viene dopo il suo insegnamento, sottolinea la continuità tra lui e ciò che lo aveva preceduto; la circoncisione e la preghiera al Tempio fanno parte del quadro; Giacomo ne è l’icona. La reazione cristiana (dal nome dato al movimento di Gesù nella città pagana di Antiochia): la circoncisione non è più necessaria e il battesimo è sufficiente; la liturgia rimane probabilmente la stessa all’inizio, ma prende una certa libertà, cosa che le permetterà di sopravvivere dopo la distruzione del Tempio nel 70; ne sono icone Pietro e Paolo: entrambi del resto hanno avuto bisogno di un’esperienza forte dello Spirito, il primo grazie alla domanda del centurione Cornelio, il secondo atterrato dalla visione sulla via di Damasco. Pietro è più misurato e cerca l’unanimità (lo si vede nell’episodio di Antiochia, in cui sembra rifiutare di condividere il pasto con i cristiani provenienti dal paganesimo). Paolo è più drastico: considera come spazzatura ciò che aveva vissuto prima della conversione, si difende contro gli attacchi degli ebrei, nonché dei giudeo-cristiani, ma deve anche battersi contro le derive di certi pagano-cristiani, tentati dalla gnosi, gli amalgami, i riti pagani. Le lettere indirizzate dall’autore dell’Apocalisse alle sette Chiese dell’Asia ci manifestano anch’esse, già dal tempo apostolico, da una parte una grande fedeltà, dall’altra derive e allentamenti vari. Quando si considera tutto questo, si percepisce la portata ecclesiale delle parole di Paolo sulla diversità dei carismi e il primato concreto della carità.

Credo che queste quattro icone si ritrovino, si siano forse sempre ritrovate, nella vita della Chiesa. Per semplicità, si può dire che, dopo un periodo che va dal Concilio di Trento alla morte di Pio XII, passando per il Concilio Vaticano I, in cui la Chiesa si era costituita come «società perfetta», ben strutturata e chiusa, in conflitto con gli ambienti politici e culturali ostili, è venuto il Concilio Vaticano II. Questo è stato in linea di principio riconosciuto da tutti i cristiani, ma rapidamente si è posta la questione della sua interpretazione e della sua attuazione. C’è stato allora il rifiuto, fino allo scisma, per conservare la forma di Chiesa precedente – e questo può far pensare a «Saulo».

C’è stata l’ermeneutica della continuità, che ha accettato un aggiornamento limitato, un necessario «togliere la polvere», ma che lascia in vigore il più possibile il cristianesimo tridentino, si rammarica dell’aggiornamento liturgico, considerato come rottura dannosa, e conserva o restaura le forme cultuali e pastorali antiche: questo è «Giacomo». C’è stata, si direbbe in maggioranza, l’accettazione generosa del Concilio, la messa in atto della riforma liturgica, uno sforzo di uscita culturale e pastorale da ciò che era nel periodo precedente chiusura eccessiva, un rinnovamento del pensiero e l’apertura ecumenica: questo è «Paolo». Questa interpretazione aperta si è però scontrata con varie difficoltà, credo per due ragioni principali. Da una parte, la Chiesa precedente non aveva per nulla visto sopraggiungere o accettato ciò che si delineava di novità prima del Concilio: si è passati senza transizione da una chiusura eccessiva ad un’apertura a 360 gradi, è stato brutale, e si è talvolta passati da un estremo all’altro! Dall’altra parte, c’è stata la tentazione di nuove gnosi, delle ideologie, di orientamenti politico-sociali pericolosi per la fede e minacciosi per l’uomo. «Pietro» è allora intervenuto, cercando, in maniera più o meno felice e coerente, come si suol dire, di «salvare capra e cavoli»: di proclamare la validità del Concilio e di gestirla in un quadro ecclesialmente e culturalmente difficile.

A che punto siamo oggi? Mi sembra che «Giacomo» abbia prevalso in questi ultimi anni. Con papa Francesco, «Paolo» torna un po’, ma le resistenze sono grandi e pare che la Chiesa sia divisa piuttosto in profondità, in un mondo che non lo è di meno, e su una terra diventata fragile. Per conservare la speranza, possiamo ricordarci che l’esperienza della Risurrezione non è stata sufficiente agli apostoli per rendersi conto della novità portata da Gesù: c’è stato bisogno, per Pietro come per Paolo, di un’esperienza mistica folgorante. E anche quest’ultima non ha risolto tutti i problemi. Possiamo sperare che lo Spirito non venga a mancare alla Chiesa, non perché si realizzi l’unanimità, ma perché l’impulso del Concilio finisca per conquistare gli spiriti attraverso un lavoro discreto ma profondo.

A volte, penso alla parola di Gesù: «Quando il figlio dell’uomo verrà, troverà ancora la fede sulla terra?» – da commentare con quest’altra: «I giorni della tribolazione saranno abbreviati a causa degli eletti». Può anche darsi che sia il clima che costringerà Dio a intervenire, prima che la terra non sia diventata inabitabile!

 

Ghislain Lafont

Articolo ripreso da Settimananews

 

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