Koinonia Luglio 2018


LE DUE ANIME DEL CRISTIANESIMO

 

Gesù è un fondatore o un riformatore? Teologi ed esegeti concordano nel dire che Gesù non intendeva fondare una religione nuova e altamente competitiva, ma voleva riformare la religione. Diceva che bisogna mettere al di sopra di tutto la regalità di Dio Padre che vuole un mondo di giustizia e pace. E che questo è possibile e “prossimo”, grazie all’intervento salvatore di Dio e all’unione dei discepoli in comunità. Ad essere sincero, non mi piace il verbo “riformare” che suggerisce l’idea di un’azione superficiale, come aggiustare un meccanismo difettoso. Sarebbe meglio parlare in termini organici piuttosto che meccanici, di innesto e di fecondazione: Gesù volle fecondare la religione, la sua, giudaica, e anche le altre, attraverso i suoi discepoli.

Ma le comunità primitive diedero vita al cristianesimo come religione. Lo strappo dal giudaismo risale a Paolo. È stato un bene? Qualcuno ritiene di no, specie dopo che il cristianesimo ha unito la croce e la spada, accettando di sacralizzare le strutture (pericolanti) dell’impero costantiniano.

Non serve però almanaccare oggi sul “se” e sul “ma”: il cristianesimo è una religione da quasi duemila anni, anzi è la prima del pianeta per numero di fedeli, con tutti gli obblighi anche sociali che questo comporta. Siccome poi il cristianesimo non può abdicare alla sua vocazione di annunciare il regno, esso possiede due anime: quella “kerigmatica” e quella “religiosa”.

Il cristianesimo-religione ha privilegiato il patrimonio culturale e religioso del popolo ebraico, in particolare la trascendenza di Dio e la linearità della storia. Ha poi accettato altre tradizioni, specie la filosofia della cultura greca. Ha insistito sulla salvezza personale eterna. Ha goduto del contributo di Tommaso d’Aquino, che ha unito filosofia e rivelazione in un sistema teo-logico, quasi positivista (ma la teologia cristiana non è libera da dogmatismi sconcertanti, come su angeli e demoni, paradiso-inferno-purgatorio, fine del mondo e eternità...).

Il cristianesimo-vangelo (o kerigmatico) si propone di riformare “evangelizzando”. Paolo VI, nell’Evangelii Nuntiandi, dice: “Non c’è vera evangelizzazione se il nome, l’insegnamento, la vita, le promesse, il regno, il mistero di Gesù di Nazaret, figlio di Dio, non siano proclamati” (22).

Paolo VI suggerisce che le due anime convivono: “Nel messaggio che la chiesa annunzia, ci sono certamente molti elementi secondari. ... Ma c’è il contenuto essenziale, la sostanza viva, che non si può modificare...” (25).

È proprio su questa “convivenza” che sorgono dubbi. Oggi il cristianesimo-religione soffoca il cristianesimo-vangelo. Noi cristiani ritmiamo con celebrazioni liturgiche la nostra vita (specialmente la nascita e la morte), ma non ci impegniamo per il regno. Non riconosciamo, per esempio, che la nostra ingiustizia passata e attuale è la causa delle migrazioni; accettiamo che l’Italia sia la maggiore fornitrice di armi agli israeliani... Il regno è “giustizia, pace e gioia nello Spirito” (Rom 14,17), ma noi accettiamo a cuor leggero che ci siano drammi immani, vittime di ingiustizie e guerre senza fine, dovute all’anti-regno. Quindi, noi siamo religiosi. Ma siamo evangelici? Siamo cattolici, ma siamo cristiani?

Mi pare che abbiamo qui una chiave di discernimento. Per non sbagliare il focus. Per esempio: il Rinnovamento dello Spirito e la devozione alla Madonna, che con le sue apparizioni converte molti, sono nella linea della religione o del vangelo? Della religione, perché rispondono a esigenze religiose, “individuali e di massa”, del mondo moderno. Non voglio dire che questo sia negativo, perché la religione è un valore. Ma non sono d’accordo con chi ritiene che il pentecostalismo - cattolico e protestante - sarà quello che salverà il mondo nel terzo millennio. La religione cristiana non salva più delle altre religioni.

Che salva è la missione di Gesù, che lui ci chiede di continuare: annunciare la speranza e lottare comunitariamente perché il nostro sia un mondo dove Dio regna, senza esclusi né profughi né affamati, senza potenti né speculatori né il moloc della ricchezza. Un modo riconciliato e benedetto, di fratelli e sorelle, tutti figli di Dio. Su questo abbiamo progredito poco. Eppure è su questo che noi battezzati saremo giudicati.

 

Arnaldo De Vidi

 

 

 

.