Koinonia Febbraio 2018


Uno era fariseo, l’altro pubblicano

(Luca 18, 9-14)

 

La lezione della parabola è per l’evangelista sempre attuale, opportuna, urgente. Tutti possono avere nell’animo qualcosa dell’atteggiamento religioso del fariseo o della condotta affaristica del pubblicano; per questo le due figure rimangono sempre ammonitrici. Tutti sono esortati al contrario a evitare gli abbagli della pietà farisaica e a far propri i sentimenti del pubblicano. La frase finale (v. 14) riassume il messaggio della parabola.

 

La giustificazione che i farisei credevano, all’inizio, di possedere (poti eisin dikaioi) si ritrova invece in coloro che essi disprezzano e ritengono «ingiusti» (v. 11). Nel linguaggio biblico la «giustizia» è sinonimo di rettitudine, pietà, santità. La via per conseguirla è però opposta a quella praticata dal fariseo. Egli «confidava in se stesso» (v. 9), nelle sue «devozioni», bisognava invece confidare prima di tutto in Dio.

 

Il discorso evangelico riappare ancora una volta paradossale. Il successo, la riuscita delle proprie imprese, anche le più ardue, dipende sempre dall’impegno personale che gli evangelisti non mancano in varie circostanze di raccomandare, ma è egualmente condizionato dall’atteggiamento assunto davanti a Dio.

 

Il credere troppo alle proprie capacità, doti, rischia di far dimenticare l’aiuto primo, insostituibile che  viene da lui, addirittura di veder compromessa o di vedere andare all’aria tutta l’opera. Umiliarsi, «abbassarsi» davanti a Dio non è frustrazione o avvilimento, ma condizione per essere rialzati da lui. Elevarsi invece spavaldamente fino a lui è la condizione per essere rilasciati a se stessi e precipitare nel vuoto.

 

Ortensio da Spinetoli

in Luca, Cittadella editrice 1986, pp.567-68

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