Koinonia Febbraio 2018


Qualche annotazione…

 

         Al momento in cui ripercorrevo le relazioni dell’assemblea di Roma (vedi a pp.36 e ss.), per prendere sul serio - e non come slogan, - il “cambiamento d’epoca” che ne è il motivo conduttore, il pensiero è andato spontaneamente alla necessità di liberare l’esperienza e la visione della fede dal suo rivestimento “confessionale”: quello che in fondo emerge anche dalle riflessioni precedenti. 

 

         Parlare di una fede “non confessionale” dice certamente qualcosa di intuitivo, ma quando ne vogliamo fare un discorso è necessario un chiarimento di significato. È questa ricerca che ha portato a sapere del libro di Luca Diotallevi da cui sono state riprese queste poche pagine. Non solo questa scoperta ha avvalorato la tesi di copertina, ma dovrebbe aprire gli occhi su quanto sta avvenendo e indurci a farne un motivo di impegno corale e convergente, al fine di scrutare gli orizzonti futuri per orientarci nel presente, e magari renderci conto anche dei rischi. Lorenzo Prezzi, in una intervista (in settimananews) fa una domanda a Luca Diotallevi, la cui risposta non ci può lasciare indifferenti.

 

          - La forma confessionale del cristianesimo ha suscitato strutture sociali e organizzazioni che amministrano i mezzi di salvezza, consentendo alla religione di fungere da “infrastruttura statale” e di contribuire alla definizione dell’identità pubblica e alla legittimazione del potere politico, anche attraverso il contenimento delle espressioni eversive rispetto all’ordine sociale. Quali effetti sociali può produrre la fine della forma confessionale del cristianesimo?     

         Il principale è che la religione (che non se la passa affatto male, anzi è in corso un religious booming per ogni forma di religione diversa da quella confessionale), quando si libera dal disciplinamento confessionale, vaga per la società a disposizione per qualsiasi strumentalizzazione: economica (religione come intrattenimento e bene o servizio a disposizione nel mercato ricreativo) o politica (si pensi alla strumentalizzazione della religione a fini elettorali da parte dei più improbabili leader politici).

In questo contesto maturano anche forti tentazioni nel mondo cattolico, come quella di liberarsi della forma-Chiesa. L’ipertrofia delle “pastorali” e il consenso del magistero verso le forme più estreme di differenziazione interna dell’offerta religiosa cattolica ne sono solo alcuni degli aspetti. L’indulgenza verso movimenti o culti o gruppi auto-cefali (forse detti “ecclesiali” perché sono di fatto “chiese diverse da quella cattolica”) così come l’invenzione e il crescente ricorso alla forma della prelatura personale sono due tra gli indizi più visibili, due delle politiche interne che, al di là delle superficiali differenze, ci mostrano elementi di forte continuità tra Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco.

Sullo sfondo incombe l’abbandono della riforma conciliare (poco cambia se operato “verso destra” o “verso sinistra”) e la riduzione del cattolicesimo ad una religione a bassa intensità (low intensity religion).

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