Koinonia Gennaio 2018


 “KAIROS PALESTINA”: UN GRIDO DI FEDE

PER UNA NUOVA TEOLOGIA

 

«Noi crediamo che Dio abbia parlato all’umanità, qui nella nostra terra. Noi crediamo che la nostra terra abbia una missione universale. In questa universalità, il senso della promessa, della terra, dell’elezione, del popolo di Dio, si aprono e includono tutta l’umanità, a cominciare dai popoli di questa terra, senza esclusivismi. Inoltre, alcuni teologi occidentali cercano di trovare una legittimità biblica e teologica all’ingiustizia che ci fu imposta. Quindi, le promesse, secondo la loro interpretazione, sono diventate una minaccia alla nostra esistenza reale. Di fronte a coloro che usano la Bibbia per minacciare la nostra esistenza di cristiani e musulmani palestinesi, rinnoviamo la nostra fede in Dio poiché sappiamo che la parola di Dio non può essere fonte della nostra distruzione».

Mai, come in questa fase storica del Medio Oriente è apparsa così necessaria una chiarezza di interpretazione teologica della Scrittura come quella che il documento Kairós Palestina ha finalmente definito. Prima ancora dell’evidenza definitoria arcui si è giunti con gli strumenti della teologia, è il sensus fidei dei cristiani, qui in Medio Oriente come in Occidente, che necessitava di essere purificato dall’interpretazione distorta che continua a essere alimentata per proteggere il progetto politico di occupazione militare della terra palestinese strumentalizzando la parola di Dio per proseguire nell’opera di distruzione di un intero popolo! Potessimo fare copia/incolla della parte teologica di Kairós Palestina sui libri dei nostri seminari e nelle bacheche di innumerevoli centri teologici che presumono di dimostrare il loro amore per (lo stato di Israele manipolando e stravolgendo la parola di Dio!

Negli ultimi trent’anni si è notato il tentativo da parte di alcuni palestinesi cristiani di spargere i semi di una teologia contestuale palestinese. Questi tentativi si sono concretizzati sia in articoli sulle riviste locali, sia nella pubblicazione di alcuni libri. Tra questi ricordo quelli del vescovo Chacour2, di padre Rafiq Khoury, del patriarca emerito Sabbah e i miei.

Nel 1985 è stata pubblicata una rivista semestrale con il nome «AI-Liga», nella quale sono stati pubblicati svariati articoli di teologia, letteratura e filosofia degli arabi cristiani nel Medio Evo. Nelle prime conferenze organizzate dal Centro AI-Liga per il dialogo interreligioso, sul dialogo arabo islamo-cristiano negli anni 1983-1986, si notava la necessità di una riflessione teologica palestinese per aiutare i cristiani palestinesi a leggere e capire meglio la Bibbia in un contesto complicato dal punto di vista politico, culturale e religioso e in special modo di fronte alle sfide teologiche degli ebrei e di tanti teologi cristiani dell’Occidente.

Kairós Palestina è un documento molto importante per la sua semplicità, chiarezza, sincerità e perché è stato scritto con un amore che non esclude nessuno, con un’apertura al dialogo e con una fede profonda guidata dallo Spirito Santo.

Fino all’anno 1054, era abitudine tra i cinque patriarchi di inviarsi reciprocamente, dopo la loro elezione, una «lettera sinodale», nella quale manifestavano la loro professione di fede; il patriarca appena nominato veniva o meno riconosciuto dagli altri solo dopo la lettura di questa lettera, che quindi doveva contenere elementi che testimoniassero l’ortodossia del nuovo pastore, e la sua comunione con gli altri, pena la scomunica.

Kairós Palestina non è altro che la professione di fede di un gruppo religioso e laico cristiano palestinese indirizzata alla chiesa universale, alla chiesa locale e ai musulmani palestinesi, agli ebrei e agli israeliani. Ciò che è scritto in Kairós è ciò in cui crediamo come cristiani palestinesi.

Il documento è stato scritto per dare conforto ai nostri fratelli palestinesi in un tempo in cui vedono che il processo di pace e il dialogo politico con gli israeliani non danno nessun frutto e nessuna speranza per una soluzione giusta al continuo conflitto tra i due popoli. Gli israeliani continuano a occupare e rubare sistematicamente la nostra terra e a umiliarci giorno e notte; ci privano dei nostri diritti umani e cercano di rendere impossibile la nostra vita quotidiana, facendoci perdere ogni speranza. In questo momento difficile abbiamo voluto gridare e alzare la nostra voce e indirizzare sia alla comunità internazionale sia alla chiesa universale queste parole sincere che esprimono profondamente la nostra fede e la nostra speranza; abbiamo voluto chiedere poi un immediato intervento internazionale per mettere fine alle nostre sofferenze che durano da più di un secolo.

Kairós Palestina è un documento teologico che si rivolge alla chiesa universale in generale, ma è anche rivolto ai teologi che contribuiscono alle nostre sofferenze per via delle loro teologie sbagliate e svuotate da qualsiasi spirito cristiano. Le loro teologie non solo interpretano erroneamente la Bibbia e la parola del Signore, ma l’hanno fatta diventare una ideologia esclusiva, una teologia_ che fa crescere l’odio invece che l’amore, una teologia che è portatrice di morte invece che di vita. Queste teologie politicizzate e sbagliate fungono da supporto a Israele (inteso come stato e non come «ebraismo») giustificando e incoraggiando a continuare con l’occupazione e a rubare terre ai palestinesi; esse non solo fanno male al popolo occupato, ma incoraggiano Israele a vivere con il suo male e con i peccati che sta commettendo. Questa teologia politicizzata e sbagliata fa diventare «le promesse divine» una minaccia alla nostra esistenza nella nostra terra madre, e trasforma la buona novella del vangelo in «precursore di morte». Perciò, noi chiediamo a questi teologi e a tutti gli altri di rileggere la santa Bibbia e di rifare un’ermeneutica sotto la luce e la guida dello Spirito Santo. Solo così potranno capire che «la promessa della terra non è mai stata un programma politico, ma piuttosto il preludio a completare la salvezza universale (2.3.)». E poiché noi cristiani palestinesi soffriamo «per l’errata interpretazione di alcuni teologi», sentiamo che il nostro dovere «è salvaguardare la parola di Dio come una sorgente di vita e non di morte» (2.3.4.). I cristiani di Terra Santa soffrono anche perché la teologia occidentale legittima ciò che fa e ciò che dice Israele. In questo modo la nostra identità di-fede viene posta in seria discussione. Ci hanno detto e fatto capire con i fatti che noi viviamo perseguitati e sotto occupazione da decenni «in nome di Dio», perché gli israeliani hanno dovuto liberare la terra che è stata loro promessa da Dio. Non si tratta di occupazione, ci dicono, ma della liberazione di Eretz lsrael!

Noi come cristiani viviamo questo dilemma: da una parte siamo palestinesi e soffriamo con il nostro popolo per l’occupazione ingiusta e terribile della nostra terra. Ma come cristiani dobbiamo sopportare quell’affermazione arrogante da parte degli ebrei che ci ricorda ogni giorno, alla televisione o sui giornali, che è proprio scritto nel nostro libro sacro, nella Bibbia, che questa nostra terra Dio l’ha preparata per loro. Dicono che noi palestinesi abbiamo ben ventidue stati dove poter andare a vivere, mentre gli ebrei hanno solo il loro stato, fondato sulla terra che proprio il loro e nostro Dio ha dato loro.

Allora quando il mio vicino di casa musulmano mi chiede: «Ma è vero che è scritto così?», la mia risposta deve essere o sì o no. Se dico sì, legittimo l’occupazione israeliana e divento un traditore del mio popolo e della causa palestinese. Se dico no, devo spiegare anche perché. Ecco allora che i cristiani di Terra Santa hanno cominciato a sforzarsi, a pensare a una teologia palestinese che aiuti la loro gente a sintetizzare positivamente la loro identità palestinese e la loro fede cristiana. Questo può aiutare anche la cristianità tutta, perché si fonda su una lettura biblica seria. O pensiamo veramente che questo libro sia fonte di speranza per tutti, di vita eterna e che appartenga alla nostra quotidianità

di uomini e donne in cammino; o crediamo davvero che questo Dio sia giusto e misericordioso, amante di tutti gli uomini in quanto creature create a sua immagine, oppure lasciamo perdere. Un Dio discriminatorio non lo vogliamo: se Dio mi opprime e mi priva della mia casa, della mia terra per darle a qualcun altro, che Dio è? Bisogna leggere la Bibbia a partire dal contesto in cui si vive: solo così si comprende che questi slogan sono menzogne. Solo una teologia terribilmente superficiale arriva a dire che Dio ha preso questa terra e l’ha data agli ebrei: non c’è questo nella Bibbia. Dio ha detto ad Abramo «Va’su quella terra, ma a queste condizioni, altrimenti non ti riconosco più!». Le condizioni riguardano il modo di vivere e di convivere con gli altri: rispettando il vicino, portando giustizia, ricercando la pace. Dio dà la terra al «suo» popolo: e il popolo di Dio sono le persone che vivono nella giustizia e nella pace. Altrimenti una lettura letterale del Vangelo di Giovanni ci indurrebbe ad affermare che solo chi ha accettato Gesù è diventato suo erede e figlio di Dio. E che gli altri devono andare tutti all’inferno, esclusi da qualsiasi promessa e da qualsiasi terra... Ma non si legge così la Bibbia. Questa è teologia politicizzata, strumentalizzata per giustificare le ingiustizie e gli scontri religiosi.

La nostra cultura non deve essere una cultura paurosa, ma aperta gioiosamente alla vita. Non chiediamo a nessuno di essere filo-palestinese.

La chiesa cattolica non deve essere filo-palestinese o filo-israeliana..., deve essere «filo»-vita, alla sequela coraggiosa e coerente di Cristo. Se non seguiamo la sua strada, che fede, che spiritualità, che cammino pratichiamo? Che comunità siamo e quale pace leggiamo nel vangelo? La chiesa deve essere quella di Gesù e testimoniare le sue parole e i suoi insegnamenti. Altrimenti non si può nemmeno definire cristiana. Credo allora che questo documento sia un invito alla chiesa universale a fare molto di più di quanto sta facendo per raggiungere una giusta soluzione per la pace nella Terra Santa. È un suo dovere far sentire la sua voce profetica in un modo più chiaro e più coraggioso. Non basta pregare per la pace, ma bisogna promuovere delle iniziative serie coinvolgendo l’intera comunità internazionale, per poter influire sulle parti in conflitto e soprattutto su Israele. Non bisogna aver paura di dire la verità e dire che l’occupazione è un peccato. Questa è la verità e questa è la nostra fede cristiana. Non si può tacere quando c’è il male, e non c’è un male peggiore di un’occupazione che dura da quarantatré anni, nel momento in cui il popolo occupato stende la sua mano per una giusta pace basata sulle risoluzioni internazionali, specialmente le risoluzioni 242 e 338.

Perciò Kairós è una professione di fede unita al grido proveniente da un popolo che soffre e chiede l’aiuto della comunità internazionale per una giusta pace. Questo documento teologico è scritto da cristiani palestinesi che rifiutano qualsiasi teologia esclusiva e offre la sua apertura per un dialogo teologico e politico con gli ebrei e con coloro, anche tra i cristiani, che portano avanti una teologia sbagliata, incoraggiando la violenza, l’oppressione invece che la pace e la degna vita per tutti, basata sulla giustizia, sull’amore e il rispetto reciproco.

 

Geries S. Khoury*

 

in Kairos Palestina un momento di verità, Edizioni messaggero, Padova 2010

*Geries S. Khoury è un teologo arabo-cristiano di Fassouta in Galilea. È direttore del Centro AI-Liga di Betlemme per il dialogo e gli studi religiosi in Terra Santa, intellettuale palestinese, cittadino israeliano, esperto attivo nel dialogo cristiano-islamico in Palestina, in Israele e all’estero.

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