Koinonia Gennaio 2018


“Fine della cristianità” e cambiamento d’epoca

secondo Raniero La Valle e Marcello Veneziani

 

DUE TESI A CONFRONTO

 

Nella sua relazione il 2 dicembre a Roma, Raniero La Valle ha presentato 4 piste che porterebbero a quel cambiamento d’epoca  che lui vede già in fase avanzata: interdizione della guerra, ius migrandi, nuovo nomos della terra, l’uscita dalla cristianità, e cioè dall’epoca costantiniana in cui la chiesa diventa “regime”  o sistema e assolve il ruolo di supplenza politica, culturale e civile, fino ad identificarsi con una sua forma istituzionale storica come civiltà e società cristiana, quando  il vangelo si propone in termini di potere. 

Questa però - sostiene La Valle - è la cristianità, non è il cristianesimo” - e “tutto questo finisce con la modernità e con Porta Pia”. Ma in realtà non finisce del tutto,  e “il Concilio stesso è rimasto dentro quella idea di cristianità”, per cui “la grande dimostrazione di debolezza data dalla Chiesa dopo il Concilio e nella fase della sua ricezione, aveva la sua causa proprio nel fatto che essa non era riuscita a venire fuori da quel modello, a metabolizzarne la fine”.

In effetti, il cordone ombelicale con l’ideale di cristianità – “era costantiniana” ed “epoca tridentina” – non è stato tagliato del tutto, e la partita chiesa-mondo ha continuato ad essere giocata dentro spazi contrassegnati da tracce di cristianità e regole già sperimentate di dialogo e di concordanze, mentre è rimasta tra parentesi la questione radicale del “credere al vangelo”  e quindi della fede nella sua verità sostanziale.

Qualche interrogativo, per la verità, si presenta davanti alla sicurezza con cui Raniero afferma che “ora l’attuale papato formalizza questa fine, e dichiara esso stesso che la cristianità è finita... Il cambiamento epocale è questo…  Gli atei devoti se ne sono accorti prima di noi, e sono furibondi. Finisce un’epoca di quasi due millenni, finisce l’idea di una istituzionalizzazione politica della città di Dio sulla terra. E il papa che fa?”.

“Il papa dunque - dice ancora Raniero - prende atto che c’è una forma religiosa che è finita. E in compenso ha la forza e la capacità di dar vita a una nuova predicazione cristiana. La predicazione nasce da una teologia, da una liturgia, da una lettura della Scrittura. Così infatti si era formata la cristianità, a partire da una teologia pervasa da una certa immagine di Dio, che era il Dio della potenza, del giudizio, della condanna, che aveva bisogno del sacrificio del Figlio per essere soddisfatto dell’offesa ricevuta. È dunque a partire da un nuovo annuncio di Dio, che la cristianità si converte in cristianesimo... Quando egli insiste sulla misericordia non fa solo allusione a uno dei tanti nomi di Dio, a un predicato come gli altri del nome divino, ma ne fa la sostanza della sua predicazione, della sua catechesi”.

Ma, si direbbe, basta una rondine per fare primavera? Basta la nuova predicazione cristiana di un Papa a ratificare il fatto che una certa forma religiosa sia finita? Più che giusto dire che “la predicazione nasce da una teologia, da una liturgia, da una lettura della Scrittura” - “così infatti si era formata la cristianità” -: ma dov’è oggi, a parte quella di Francesco, la predicazione di un nuovo annuncio di Dio, capace  di dare vita ad una nuova epoca della fede e ad un Popolo di credenti che sia il volto nuovo dell’intera chiesa? Perché di questo si tratta, e di questo si preoccupa papa Francesco, non solo di quanto fa presa sull’opinione pubblica e va in pasto ai mass-media, ingenerando spesso l’idea che un passaggio d’epoca ci sia già stato e basti prenderne atto.

A sostenere che la fine della cristianità sia stata sancita dall’avvento di papa Francesco è anche Marcello Veneziani nel suo libro “I tramonti”, non però come nuovo inizio quanto piuttosto come morte dell’Europa cristiana e quindi della cristianità come civiltà.  Infatti ci sarebbe un “decentramento” del cristianesimo verso le periferie del pianeta: abbiamo “l’elezione di un papa venuto dalla fine del mondo e il segno del suo pontificato tutto rivolto all’esterno, fuori della cristianità, aprendosi al mondo, accogliendo gli altri, a partire dagli islamici, rivolgendosi a chi è più lontano dalla fede cristiana e dai suoi luoghi… Viene dalla periferia giovane e parla un linguaggio che sembra postconciliare ma talvolta è anche premoderno, quando la cristianità permeava la vita quotidiana e non era un fenomeno minoritario” (p.127). È senz’altro una tesi da tenere presente, per un confronto serio.

“Dal punto di vista religioso, evangelico e pastorale – scrive ancora Veneziani - è arduo esprimere un giudizio, soprattutto se si crede ai disegni imperscrutabili della Provvidenza. La Chiesa muta registro, e non si tratta banalmente di svolta a sinistra, di terzomondismo, anche se a volte il papa dà l’impressione di essere un sindacalista trascendentale o un presidente di una Ong, di Emergency, di Amnesty International. È un fenomeno più grande di come appare al momento, che reagisce a un evidente processo di espulsione del cristianesimo dalla vita reale e istituzionale europea. Certo, è vano arroccarsi in una posizione di pura difesa del cattolicesimo romano e della sua tradizione. Non si può pensare che la Chiesa possa ridursi a una setta di ortodossi, decisamente minoritaria ed estranea rispetto al mondo che la circonda, verso cui lanciare anatemi che scivolano nel nulla. La purezza si addice agli gnostici, agli iniziati, mentre il cristianesimo è una religione coram populo, perché lì avverte la voce di Dio; una religione che s’incarna, entra nella vita e nella storia del suo tempo. Però la Chiesa di Francesco sembra tutta immersa nello spirito del tempo, che è permeato di ateismo pratico e di umanitarismo laico; e spesso ammicca ai temi, ai dogmi e alle fisime del politically correct… L’Europa non sta sostituendo la visione cristiana della vita con un’altra visione, ma con la perdita di ogni visione e il primato del puro vivere. .. Non una nuova civiltà ma il decomporsi della precedente. Vive la sua provenienza come un puro disfarsi, a volte con cupio dissolvi, quasi una voluttà di dissoluzione. Reputa giusto ciò che è nuovo, ciò che smentisce l’esperienza dei secoli, la fede dei millenni, l’autorità dei padri” (pp.128-129).

“Invocare dunque il cristianesimo delle origini, lo spirito di povertà delle prime comunità cristiane, è un segno di comprensione del livello di crisi religiosa, istituzionale ed ecclesiastica. L’interrogativo vero è invece un altro: Papa Francesco suscita un vero risveglio spirituale nei popoli o resta invece nella dimensione della simpatia, e dunque nello spirito di ‘personaggio dell’anno’, figura di alto gradimento che ci esorta a essere tutti genericamente più buoni e altruisti? In una società di ipocredenti, com’è quella europea, il suo magistero aiuta a compiere un passo avanti nella riscoperta della fede o induce a compiere un passo fuori da essa, nello star system dei personaggi globali? Papa Francesco non porta sulle spalle la stanchezza dell’Europa, la sua vecchiaia disperata” (pp.142-143).

Forse manca in queste analisi la spinta propulsiva della fede, ma certamente non possiamo non tenerne conto come freno ad una spinta forse troppo entusiasta, per quanto fondata. Per il momento però importa avere presenti queste due versioni di un medesimo assunto, per partecipare consapevolmente ad un processo storico di cambiamento in cui siamo coinvolti, sia come ripensamento che come esperienza di vita.

 

ABS

 

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