UNA PRESENZA OLTRE LA MORTE

 

La linea metropolitana Etoile-Nation congiunge la parte occidentale a quella orientale di Parigi Sud. Alloggiando generalmente nel V o VI "arrondissement" durante i miei soggiorni in città, era questo il percorso che facevo per recarmi a quest’appuntamento. Scendevo alla stazione della "Glacière", e in pochi minuti giungevo al numero 20 di rue des Tanneries, sede del convento domenicano di Saint. Jacques. Era un percorso che compivo da tanti anni, almeno una volta all’anno, per stare un’ora a colloquio con Padre Chenu.

 

Un tempo era lui a discendere, e si andava a conversare nel parlatorio. Ma da diversi anni le forze gli venivano meno, ed allora venivo accompagnato nella sua camera, al piano superiore. Ho negli occhi questa piccola stanza, davvero conventuale: il letto, la scrivania, qualche sedia (i visitatori erano frequenti), qualche centinaio di libri alle pareti e molti dossiers pieni di carte (appunti, lettere...): segno di un impegno intellettuale vissuto sempre con grande sobrietà.

 

Scorgevo spesso delle riviste italiane, in particolare "Vita sociale", che egli seguiva con molta attenzione. Talora mi inviava una lettera di poche righe - scritta con la sua grafia irregolare - con un giudizio, spesso troppo elogiativo, a proposito di un mio articolo. Mi viene da pensare che il grande affetto che mi legava a Padre Chenu, e che egli mi ricambiava, sia stato dovuto, almeno in parte, al fatto che egli amava  molto l’Italia e che io sono innamorato della Francia. Il discorso tra noi iniziava sempre in francese, ma ben presto parlavamo in italiano: una volta mi chiese apertamente di parlare nella nostra lingua, perché voleva mantenersi in esercizio, e non erano frequenti le occasioni per farlo, specie da quando non viaggiava più.

 

Parlavamo di politica: le sue simpatie verso il socialismo erano note a tutti, mentre era decisamente contrario al dogmatismo del partito comunista  francese; in Italia  invece i comunisti si confrontavano di più con la realtà storica, per cui gli appariva più probabile una loro progressiva democratizzazione. Chiedeva il mio parere al riguardo, e non sempre le nostre opinioni coincidevano, io ero più scettico ed egli più ottimista.

 

 

Tuttavia, è ovvio, si conversava soprattutto della situazione della Chiesa (della Chiesa cattolica in particolare, ma anche delle altre Chiese cristiane): della Chiesa in generale, ma soprattutto di quanto avveniva in Italia e in Francia. Padre Chenu non è mai stato un estremista, le sue critiche alla gerarchia riguardavano soltanto i punti in cui essa si discostava dallo spirito del Concilio, che egli considerava non un punto d’arrivo ma di partenza, un’irruzione dello Spirito per una diversa evangelizzazione, per una diversa ecclesiologia, per un diverso rapporto con il mondo. E’ per questo motivo che egli si trovava in perfetta sintonia con il cardinal Pellegrino.

 

Parlavamo sempre di teologia, con una certa delusione e amarezza, rimpiangendo (e come non farlo?) i tempi di Paolo VI, in cui la ricerca era più libera e meno sospettata. Apprezzava Hans Kung, in modo particolare la sua profonda spiritualità, mentre non riusciva a darsi pace del mutamento del cardinale Ratzinger, suo compagno di lotte durante il Concilio e in seguito il più temuto "gendarme" della Curia romana.

 

Poco più di tre anni fa mi ero recato a Parigi con una mia ex-allieva, che desiderava conoscere di persona Padre Chenu. Io ero alquanto perplesso a recarmi con una donna nella stanza di un frate, ma quando gli telefonai mi rispose che non vi erano problemi: giunti che fummo, abbracciò prima me e poi lei, come se fosse stata una vecchia conoscenza, e poi rispose con molta affabilità a tutte le sue domande. Sono rimasto impressionato di questa sua semplicità di cuore e da questa assenza di pregiudizi sessuali.

 

La vista gli si indeboliva sempre di più ed aumentavano i dolori alle gambe, che lo costringevano ad una quasi totale immobilità. L’anno seguente la mia visita fu più breve del solito; l’anno scorso era ancora peggiorato, anche a causa di una bronchite, e mi dovetti accontentare di parlargli al telefono. Mi riproponevo comunque di rivederlo ancora, anche se non potevo ignorare che aveva gli anni - se non i giorni - contati. Mi ricordo di quanto mi aveva detto mons. Pellegrino, un mese prima della paresi che lo avrebbe costretto negli ultimi anni ad una sopravvivenza dolorosa: "La mia vita è conclusa, ogni giorno in più è un dono di cui ringrazio il Signore". Credo che Padre Chenu pensasse la stessa cosa.

 

Mi ero ripromesso di fare il possibile per essere presente al suo funerale. Ma una "straordinaria malignità di fortuna" (è l’espressione che usa Machiavelli per motivare il declino delle sorti di Cesare Borgia) ha voluto che in quell’occasione io fossi immobilizzato per una frattura ad un piede. Mi si è colmato l’animo di tristezza, pensando che mai più salirò in quella camera del convento di Saint Jacques, neppure per un estremo saluto. In parte vi sopperisce quest’articolo, ma lo sento troppo contingente, e quindi necessariamente alquanto banale. Per questo ho pensato di integrarlo con una "corbeille" di versi, meno legati all’attualità e pertanto più resistenti allo scorrere del tempo e all’usura della memoria.

 

Ettore De Giorgis

 

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"IN  HOC  SIGNO"

RICORDANDO P. MARIE-DOMINIQUE CHENU

 

 

                                   Una croce entro il cuore -

                                   sofferenza fraterna con i miseri

                                   condivisione di lutti e di lacrime

                                   con chi manca dell’avere e dell’essere.

 

                                               Una croce nella memoria -

                                               amarezza di antichi ricordi

                                               bufera di incomprensioni e di offese

                                               che danzanti riemergono nel sonno.

 

                                   Una croce con la speranza -

                                   unite le due dall’intuizione

                                   che l’annuncio del messaggio di pace

                                   affiora da un sovrumano dolore.

 

                                               Una croce sulla tomba -

                                               perché prima di destarsi alla vita

                                               si devono raggiunger gli antenati

                                               e tutti insieme alzar le mani al cielo.

                                              

                                                                                             

Ettore De Giorgis




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