AMEN PER L’ECUMENISMO?

 

Nel mese di gennaio si è celebrato, nella Chiesa universale, l'ottavario di preghiera per l'unità dei cristiani, e tutti i battezzati sono stati chiamati a implorare il Signore perché affretti il giorno in cui tutti potremo ritrovarci in un’unica famiglia, in modo da poter ottemperare - dopo secoli di smarrimento nel deserto della divisione - al comando di Gesù, di essere uni perché il mondo creda.

Eppure non si può tacere il senso di malessere che molti di noi, ecumenici di antica data, provano di fronte a quest’invito, che da esigenza vitale pare da alcuni anni essersi trasformato in una ricorrenza rituale. Questo almeno nella Chiesa cattolica. Lo so che in Italia siamo poco sensibili al problema ecumenico, abituati fino a poco tempo fa a vivere in una società che si proclamava cattolica, in cui gli altri cristiani erano un numero troppo esiguo per poter parlare di convivenza.

Non si tratta di questo, e neppure dì certi atti discu-tibili di alcune Chiese, che hanno provocato le reazioni di altre, Che gli anglicani ammettano alla dignità episcopale le donne spiace alle gerarchie romana ed ortodossa, ma anche tra i cattolici molti sono i fautori dell'ordinazione femminile (e una volta accettato il sacerdozio non vedo quale ostacolo teologico vieti alle donne l'accesso al vescovato), mentre tra gli anglicani ve ne sono di contrari tanto che l'idea di uno scisma non è da escludersi, Che la Chiesa di Roma assuma posizioni intransigenti in materia di morale sessuale è criticato da altri cristiani; tra i cattolici, alcuni protestano apertamente come Bernard Haering (ma sono sempre di meno a farlo), i più tacciono e paiono anche consentire, salvo poi a comportarsi secondo quella che si è usi definire la "coscienza individuale". E così aumenta la "schizofrenia cattolica”,  quella separazione tra fede e morale che pure si dice di voler combattere.

No, c'è qualcosa di più grave nell'atteggiamento della gerarchia romana. C'è il tentativo, abbastanza palese, di riportare tutto all’"ordine": è ciò che va sotto il nome dì "restaurazione", e che Mounier chiamerebbe un “disordine stabilito”. Se i cattolici, specie quelli italiani, si informassero di più sulla vita della loro Chiesa, vedrebbero quale fosco avvenire si profila. Con le 'accorte' nomine di vescovi si distrugge la vitalità, forse un po' indisciplinata ma senz'altro creativa, di comunità ecclesiali che in anni recenti hanno sviluppato una gran mole dì lavoro in più direzioni, attività che rischia di venire per molto tempo compromessa. E' accaduto così con la Chiesa del Perù e sta capitando lo stesso con quella del Brasile (cfr. al riguardo su "Actualité religieuse dans le monde" del 15 novembre scorso l'articolo del domenicano francese Charles Antoine, dal titolo. preoccupato:  “Lo smantellamento di una Chiesa”), le più avanzate dell'America Latina. Lo stesso comportamento adottano i vertici vaticani imponendo vescovi non graditi nelle diocesi di Germania, d'Austria e di Spagna (cfr. su "El Ciervo" di dicembre l'articolo del gesuita spagnolo Joaquim Gomis: “Restaurazionisino nella Chiesa cattolica”). La Chiesa di Francia, anch'essa in parte “normalizzata”, ha un atteggiamento di gran prudenza, forse per evitare un'ulteriore romanizzazione.

Non si tratta soltanto di far tacere i teologi meno cortigiani: questo non è stato che il primo atto di un piano più elaborato. Ora sono i fedeli ad essere toccati direttamente da tale politica ecclesiastica. E non ci si preoccupa nemmeno di pregiudicare l'avvenire. La lezione olandese non ha insegnato nulla: questa Chiesa che era l'onore della cattolicità alla fine degli anni '60, privata della sua genialità creativa, è oggi smorta e non fa più notizia. I cattolici hanno rivolto altrove le loro energie, si battono per i diritti umani, ma si sono "laicizzati" e molto spesso non fanno più riferimento alla Chiesa.

Ora, se ciò rende perplessi molti di noi cattolici, figuriamoci se non incide sulla sensibilità religiosa dei cristiani non-cattolici. Essi devono pur domandarsi: nell'eventualità di una ritrovata unità cristiana, anch'essi vedrebbero diminuire le loro autonomie e la loro libertà? Forse per il Vaticano la sola virtù che conta è l'obbedienza?

Paolo VI affermava che il più grande ostacolo sulla via dell'unità era costituito dai modo diverso di intendere la funzione del Papa. Oggi il problema non si è decantato, come si poteva sperare, ma si è ingigantito. Pertanto il compito ecumenico più urgente consiste nello stabilire quale rapporto vi sia tra i fedeli ed i loro pastori, tra questi e il Pontefice: e in modo particolare se il Papa sia nella Chiesa (al vertice, naturalmente) o se la Chiesa sia del Papa. E' un modo un po' troppo schematico e brutale di porre il problema, me ne rendo ben conto. Ma giunge un tempo in cui si è saturi di prudenza, e in cui l'”aut ..aut” kierkegaardiano diventa di rigore.

 

 

Ettore De Giorgis

 




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